Duca Enrico: eleganza, sorpresa, emozione

Duca Enrico: eleganza, sorpresa, emozione

La Verticale
di Sara Missaglia
14 febbraio 2023

Una straordinaria verticale di sei annate, a partire dalla vendemmia 1985, del Nero d'Avola che ha scritto (e fatto) la storia della viticoltura siciliana, con risultati al di fuori di ogni schema, controllo e previsione.

Duca di Salaparuta e Duca Enrico: il legame tra cantina e vino non è solo per via del titolo nobiliare. Il Duca Enrico è il primo Nero d'Avola a essere stato messo in bottiglia, aver dismesso gli abiti di un vino da taglio e non esser più relegato al ruolo di compartecipante nei blend. Grazie all'intuizione di Franco Giacosa diventa protagonista non solo della Regione ma del panorama nazionale e internazionale. Al The Westin Palace Hotel c’è grande attesa per la verticale che vede la presenza degli enologi della cantina, Barbara Tamburini e Salvo Tomasello, del Direttore Roberto Magnesi e di Davide Garofalo che conduce una degustazione al tempo stesso tecnica ed emozionale.

Duca di Salaparuta, la Sicilia e il Nero d'Avola

La Sicilia è un vero continente che contiene e trattiene intrecci culturali, storici, religiosi, artistici. Bizantini, Greci, Romani, Normanni, Arabi: un crogiolo di pratiche di culture e di colture. Ma se la storia è un alternarsi di vicende umane, la pasticceria è storia. E la pasticceria siciliana rappresenta un vero unicum nel panorama mondiale, per ricchezza e finezza espressiva.

Il Duca Enrico ha reso la Sicilia immortale: con lui il Nero d'Avola ha trovato la sua massima espressione. La Sicilia è la seconda Regione più vitata d'Italia, con 98.000 ettari a vigneto: un territorio che ha dato spazio alla creatività, esaltando l'unicità dei diversi ambienti pedoclimatici. 24 Denominazioni d’Origine e 7 Indicazioni Geografiche per vini dal carattere molteplice, con la straordinaria capacità di essere poliedrici, tra vigneti quasi al di sotto del livello del mare o a più di 1000 metri di quota.

L’intuizione (e il coraggio) di Franco Giacosa

Nel 1984 Franco Giacosa decise di imbottigliare il Nero d'Avola in purezza. Scelse gli areali di Butera (dove il vitigno era allevato ad alberello) e di Gela (dove la coltivazione era a spalliera e a tendone). Giacosa intuì che aveva tra le mani un purosangue che non poteva essere relegato al ruolo di un'uva da taglio. La prima reazione fu di esaltazione, con un importante riconoscimento: fu un vino che diede all’epoca una vera e propria scossa enologica all’intera Regione, avviando un processo di riscatto dal punto di vista qualitativo. Per il nero d'Avola ci troviamo nella tenuta di Suor Marchesa, 127 ettari di vigna che insistono su un terreno calcareo e argilloso. La qualità del vino è legata anche alla bassissima produzione per pianta che non supera 1,2 kg, in un rapporto 1:1 tra pianta e bottiglia. Nella Tenuta il clima è caratterizzato da una grande ventilazione, condizione che assicura una maturità e una sanità alle uve di grande rilevanza. Il vitigno si esprime quindi con una concentrazione tale da raggiungere un altissimo profilo qualitativo.

La verticale

2013
L'annata è stata caratterizzata da autunno e inverno piuttosto piovosi, seguiti da primavera ed estate asciutte. Le uve sono state raccolte a fine settembre. Rosso rubino integro. A bicchiere fermo sentori di prugna, susina, ciliegia nera, frutti maturi con una nota floreale: sbuffi di petalo di rosa molto intriganti, che anticipano la vivacità del vino. Un bouquet speziato di primissimo livello: anice stellato, cardamomo, ricordi di caramella Rossana. Una tensione incredibile, una rabbia sottesa, una vena sapida impreziosita da sentori di fiori di cappero. Se il naso è integro, la struttura è bellezza, caratterizzata da un'acidità che lo completa. Un vino agile, dinamico, con un finale piuttosto lungo. Il 2013 ha già la fisionomia di un grande vino: «sembra essere già educato, come se avesse in sé qualcosa di innato, di precostituito», commenta Davide. Il tannino è scorrevolissimo, interpretato in sottrazione al palato, dinamico, con un'acidità perfettamente controllata: un vino che è già sorpresa.

2009
Un inverno mite, una primavera fresca e un'estate piuttosto calde: la vendemmia è avvenuta nella terza settimana di settembre. Rubino intenso, con l’orlo che vira al granato. Il naso esprime sensazioni di grande eleganza, complessità, ricchezza di aromi terziari, con note di maturazione in legno che ci riportano al terreno, grazie a evidenze di grafite. Sentori di ardesia, roccia, chiodi di garofano: il frutto appare più selvatico, con un tannino al centro dell'attenzione su uno sfondo balsamico. Il tannino, setoso e fitto, è arricchito da sensazioni minerali. Un naso sciolto ed eloquente, una bevanda ricca, lunghissima, agile al punto da espandersi e contrarsi di continuo per regalare sensazioni tra loro diverse e infinite.

2004
Annata con temperature inferiori rispetto alla media e piogge copiose soprattutto in primavera. Per queste ragioni si è deciso di procedere alla surmaturazione in pianta. Il colore è amaranto, intenso e profondo, anticipando l'elevata concentrazione già all'aspetto visivo. I profumi virano dalla frutta essiccata, in particolare fichi caramellati, con note terziarie e sensazioni di grafite da sottosuolo, all’incenso, noce moscata, more di gelso, lentisco, confettura di corbezzolo, nocciolo del dattero: una grandissima suadenza, legata a una surmaturazione dotata di grande stoffa. Un ordito di una nobiltà assoluta, ricchezza e pienezza, in un corpo importante.

1999
Inverno e primavera piovosi, un'estate calda e siccitosa e, soprattutto, un agosto caldissimo che ha rallentato il ciclo vegetativo. Rosso intenso con note terziarie di ciliegia sotto spirito, cuoio lavorato, pellame, mentolo che ricorda il cioccolatino After Eight, fieno e fiore di camomilla, caffè d'orzo, note di sandalo, frutta matura in confettura. Bellissima freschezza e struttura: un vino vibrante dal tannino maturo ma non surmaturo, che conferisce piacevolezza, equilibrato e dalle note sussurrate e audaci, vivido, scalpitante senza essere prepotente. Bellissima geometria, dialettica avvincente e appagante finale piacevolmente lungo.

I vini1985
Si tratta di un vino che è nato in un momento storico particolare, solo un anno dopo la prima annata: un viaggio che ci porta a 37 anni indietro nel tempo e genera emozione. Fu un'estate molto calda quella del 1985, non solo per le temperature ma anche per l'entusiasmo di aver tracciato una nuova strada dal punto di vista enologico. Il colore manifesta il carattere della sua evoluzione e si presenta comunque integro e molto ben conservato, giocato su sfumature granato. Note terziarie che ci riportano al legno e al lucido da scarpe, a sensazioni nobili e complesse, a sbuffi di torrefazione e caffè tostato. Frutti di bosco sotto spirito, tabacco da pipa, liquirizia, petali di rosa essiccati. Una bellissima acidità che supporta l'elevata struttura. Un vino di grande equilibrio, armonioso nella complementarietà delle sue componenti, lungo e persistente. Un vino che ha un potere narrativo sorprendente, la cui grandezza è nel potere immaginifico. La degustazione regala infatti una sorta di proiezione tra luoghi, con la sensazione di essere catapultato in mondi diversi, dal cassetto di un mobile antico alle navate di una chiesa. Teletrasporto enoico: questo millesimo è un ciclo della vita, con solennità cimiteriali da fiori appassiti. La vera magia arriva al sorso: il 1985 sembra aver fatto un patto con il diavolo, dotato di una freschezza incredibile, sorprendente per l'annata. È talmente vivo da disorientare, con una rabbia sapida quasi minerale e un finale lunghissimo. Un vino infinito con una geometria verticale, tagliente e graffiante al palato, dalla bellezza culturale.

2018
L'ultimo calice è l'annata che è oggi disponibile sul mercato. Un inverno piuttosto freddo e piovoso, dalla primavera e dall'estate miti, con una raccolta avvenuta nella seconda metà di settembre. Dal calice esce immediatamente il frutto grazie alla vena aromatica del vitigno. Tanta amarena, seguita da spezie come vaniglia e cannella e da note di cacao. I tannini vellutati sono maturi e assicurano comunque lunga vita alla bottiglia, per un vino che presenta elevate possibilità di abbinamenti e che già promette tanta meraviglia. Non si svela completamente, ma lascia intendere la sua bellezza futura e le potenzialità di evoluzione. Una nota leggermente polverosa, seguita dall'agrume scuro di chinotto, da note di liquirizia, lavanda, lentisco, china e genziana. La bocca è ricca e promettente, con un tannino foderante ancora embrionale. Un vino dotato di una metrica incalzante, che procede a tambur battente al palato, in grande coerenza con le note agrumate lievemente amaricanti al naso. Un vino che è una promessa.

Genialità liquida in Giacosa e in chi lo ha seguito: grazie a Duca Enrico è cambiato il volto della Sicilia e il suo percorso enologico. Non è stato creato da un siciliano, a conferma del fatto che l'isola e le sue ricchezze nascono dalla contaminazione e dall'accoglienza. Il Duca Enrico è eleganza innata, con una straordinaria dotazione di un equilibrio fatto di proporzione, emozione e sorpresa. «La vera eleganza genera emozioni e sorpresa», sottolinea Davide, «con una modulazione sempre diversa. L'eleganza vince sempre su tutto. Vini euritmici, dove il ritmo non è solo lo scorrere nella lingua greco antica: è più dell'equilibrio, è la compartecipazione in eterna armonia, in perenne dialettica».

La serata si chiude con una degustazione di due Marsala Florio, cantina appartenente allo stesso Gruppo vitivinicolo: un Marsala Vergine 2004 e un Semi Secco del 2007.

E con questo siamo in Sicilia: Milano sullo sfondo è solo un ricordo geografico, l’emozione è nei calici (e nei cuori).