Il mito di Fiorano. Verticale storica 2015-1987

Il mito di Fiorano. Verticale storica 2015-1987

La Verticale
di Valeria Mulas
08 giugno 2023

Questa è la favola di un Principe illuminato e del suo amore per la terra e la vigna. Questo è il racconto di una famiglia che ha attraversato la storia d’Italia, lasciando tracce originali e discrete. Questo è il mito che ne è nato sotto forma di mosto fermentato e che Armando Castagno con il Principe Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi - titolare della Tenuta di Fiorano – hanno narrato in una serata memorabile, esperienziale ed emozionante.

Fiorano: storia, filosofia e intuito tra passato e futuro

Milano impazzita sotto la scure dello sciopero dei mezzi pubblici riempie le strade di clacson e passi celeri. È pur sempre un venerdì di grandi movimenti verso il gioire del fine-settimana e a nulla valgono le scaramanzie contro il temuto 17, che oggi campeggia su ogni calendario. Tra chi parte e chi cerca di tornare a casa, c’è un popolo ansioso ed eccitato che tende solo verso la sala del The Westin Palace per incontrare un mito, per toccarne con mano la storia, bevendone calici di memoria e di rinnovato futuro. Armando Castagno - giornalista e scrittore, firma della rivista associativa «Viniplus di Lombardia», degustatore, relatore AIS e storico dell’arte - ha il sorriso fanciullo di chi può condividere, finalmente, una fiaba, una scoperta, un gioiello. Al suo fianco siede elegante e altrettanto emozionato il Principe Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi, artefice del recupero e del rilancio della produzione di Fiorano. Una tenuta storica e millenaria (esiste almeno dal 960 d.C.) alle porte di Roma - vicino all’aeroporto di Ciampino, nel quadrante nord-ovest del Vulcano laziale - di 200 ettari da sempre dedicati a pascolo, a coltivazione di grano, trifoglio, erba medica e, in piccola parte, a vigneto.

Ci vuole poco a lasciare il caos della città, anche a Roma: superato il raccordo anulare verso sud-est, lungo la via Appia Antica, ci si immerge facilmente in distese oro di spighe assonnate sotto il sole, cullate dal frinire delle cicale. Il paesaggio agreste, pur ancora in comune di Roma, è rimasto invariato da che se ne ha memoria, complice, certo, la tutela paesaggistica, architettonica e urbanistica del Parco Regionale dell’Appia Antica, ma prima ancora, grazie alla filosofia illuminata e pionieristica del Principe Alberico Boncompagni Ludovisi, – classe 1918 e cugino di Alessandrojacopo – che, dagli anni ’40 del secolo scorso, cura i campi con metodo biologico e secondo i principi di “agricoltura a circuito chiuso”. Gli ovini e i bovini che qui pascolano concorrono con il proprio letame alla concimazione dei terreni, così come l’inerbimento tra i filari e la rotazione delle colture contribuiscono alla prosperità dell’habitat naturale e alla ricchezza della biodiversità. I terreni, poi, pur aridi e altamente drenanti, sono ricchi in profondità di minerali vulcanici, fosforo, potassio, rame e zolfo ed è proprio lì che le radici delle viti di Alberico si spingono in cerca di sostentamento.

«A Fiorano, il vino si cominciò a produrlo all’incirca nel 1930, ma da viti locali. Fu nel 1946, quando ricevetti da mio padre la proprietà agricola di Fiorano, che giudicai scadente il vino prodotto e consultai l’enologo dottor Giuseppe Palieri, il quale mi propose di innestare sulle viti di Fiorano il cabernet e il merlot alla proporzione reciproca del 50% e, separatamente, la malvasia di Candia e il sémillon per il bianco. Così feci subito e mi valsi poi del dottor Palieri finché visse» dichiara Alberico Boncompagni Ludovisi. Non solo, quindi, viti non concimate chimicamente, ma anche il primo taglio bordolese della storia d’Italia. D’altronde i Boncompagni Ludovisi non hanno mai attraversato la Storia, proprio quella con la esse maiuscola, senza lasciare tracce importanti. Il nostro Principe Alberico, che descrive l’inizio della sua avventura con Bacco, è il figlio di Francesco Boncompagni Ludovisi. Francesco, ex parlamentare e senatore del Regno d’Italia, ex Governatore di Roma (1929-1935), ha una collezione di diciotto titoli nobiliari e sfoggia, tra gli avi più illustri, 11 papi di cui un paio in linea diretta; tra questi, giusto per citarne uno, ricordiamo Papa Gregorio XIII, cui dobbiamo il calendario gregoriano (1582).

Alberico, dal canto suo, sarà un vero pioniere nell’enologia italiana, producendo da subito degli autentici gioielli sia rossi che bianchi. Un uomo riservato e preciso, dall’intuito sorprendente che, dopo Palieri, si affidò all’enologo Tancredi Biondi Santi a metà degli anni ’50, per altro senza aver assaggiato il suo famoso Brunello di Montalcino fino al 1966. In Tancredi Biondi Santi, Alberico trova un’altra validissima spalla per trasformare i suoi Fiorano Rosso (a base cabernet sauvignon e merlot), Fiorano Bianco (a base malvasia di Candia) e Fiorano Sémillon in miti senza tempo: è l’epoca dell’impronta stilistica, che ancora oggi viene seguita, così come di alcune scelte in cantina. Tancredi Biondi Santi sarà l’artefice del grande rigore stilistico di questi vini e dell’introduzione delle botti grandi da dieci ettolitri, in rovere di Slavonia e tutte numerate.

Se Fiorano ha avuto la possibilità di risplendere tra le gemme dell’enologia italiana è merito di questi piccoli grandi incastri di filosofia, tecnica e intuito, ma anche della penna di Luigi Veronelli. Sarà il giornalista, infatti, a dare voce a questa produzione così sui generis per l’Italia dell’epoca, eppure così in linea con le sue stesse idee: nessun concime chimico, solfitazione praticamente nulla eseguita con un disco di zolfo in infusione nelle botti e allevamento a sesto di impianto ampio, con viti molto vecchie e dalle produzioni molto ristrette. I giudizi e gli articoli di Veronelli aiutarono quello sviluppo commerciale, sia in Italia sia all’estero, reso difficile dalla rarità del prodotto – circa 2000 bottiglie complessive, divise per tre tipologie di vino – e dalla difficoltà di reperimento delle stesse. Si racconta che la modalità di acquisto all’ingrosso avvenisse previo appuntamento telefonico e con il pagamento in contanti della somma precisa, spiccioli inclusi e senza resti. Quasi un riscatto, diremmo, al punto che il rilascio si compiva rigorosamente solo in seguito al saldo e dopo un piccolo sequestro di persona in una saletta-biblioteca chiusa a chiave. Alla libertà, gli acquirenti trovavano il tesoro inscatolato sulla soglia, ma senza logistica di aiuto per il trasporto.

Fiorano oggi

Come tutti i miti anche quello di Fiorano, nato dalla genialità del Principe Alberico Boncompagni Ludovisi, si interrompe brutalmente e all’improvviso. Nel 1998 cala il sipario sulla Tenuta con la distruzione di tutto il vigneto: il principe, a ottant’anni, stanco e senza eredi maschi, tra figli e nipoti, chiude semplicemente un capitolo. Tutto sembra perduto e l’enologia italiana piange una perdita inestimabile. Eppure, la capacità dei miti è anche quella di risorgere dalle proprie ceneri; ed è così che, con un coup de theatre, entra in gioco Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi: «arrivai a Fiorano pochi mesi dopo l’estirpazione dei vigneti per ristrutturare un casale insieme a mio padre. Ero presente ogni giorno per seguire i lavori e con il passare dei mesi chiesi ad Alberico perché non si potesse ridare vita alla fama del Fiorano. Fu allora che Alberico mi concesse con grande gioia i diritti di reimpianto dei vigneti originari e mi accompagnò con consigli e supporto in questa nuova rinascita, fino alla morte nel 2005».
Barbatelle di cabernet sauvignon e di merlot sono state reimpiantate e hanno iniziato un nuovo ciclo nel solco della tradizione segnata prima dall’enologo Palieri e poi da Tancredi Biondi Santi. Stessa metodologia biologica e stessa impronta stilistica votata a vini rigorosi, austeri e longevi. Alessandrojacopo prosegue la storia e si fa guidare dall’intuito ancora vigile e visionario del cugino: sul bianco si cambia rotta!
Al sémillon e alla malvasia di Candia si preferiscono il grechetto e il viognier. Si ricomincia a produrre con l’annata 2003 il Fiorano Rosso e il Fiorano Bianco con le stesse identiche metodologie di Alberico. A queste due etichette storiche si aggiungono due nuove produzioni, Fioranello Rosso e Bianco. Dal 2010 la Tenuta si avvale del supporto dell’enologo Lorenzo Costantini che ha saputo inserirsi perfettamente nella trama di tradizione e filosofia che abbiamo visto sinora. Oggi l’estensione dei vigneti è di 12 ettari, con una produzione di quarantamila bottiglie divise tra le quattro tipologie, vendute equamente tra Italia ed estero grazie a una rete commerciale moderna. Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi sottolinea come alla fermentazione in tini di legno e alla maturazione in botti da dieci ettolitri, segua un affinamento molto ragionato e lungo sia in botti sia in bottiglia: «mentre nel passato si tendeva a far uscire il vino dopo cinque anni, oggi preferisco attendere anche sei anni per avere un prodotto più equilibrato». La grande selezione con tagli e potature in vigna, inoltre, porta a una produzione massima di un chilo di uva per pianta, per un totale di 40-45 quintali per ettaro, ben al di sotto dei limiti imposti dalle denominazioni.

La degustazione

Fiorano Rosso 2015
cabernet sauvignon 65%, merlot 35%
L’ultima annata in commercio, a riprova del lungo affinamento, ha sentori di ciliegia sotto spirito, ginepro ed erba tagliata. Con l’aumentare della temperatura il calice si sposta sul fondo di caffè e poi su una nota di burro fuso e zucchero. Un vino di estremo garbo a livello tattile, con un tannino sorprendente, dalla trama ricamata e perfettamente integrata. Scorrevole e fresco, è un’interpretazione d’antan e colta del taglio bordolese: la raffinatezza è protagonista, invece, della stratificazione di una materia muscolosa.
Non si discosta dall’idea tradizionale del Fiorano pur nella sua prevalenza di frutto. Non seduce per i suoi caratteri accattivanti, ma per la finezza proporzionata e l’austerità elegante: «un vino in gessato grigio» per citare il “mitografo” Armando Castagno.

I viniFiorano Rosso 2013
cabernet sauvignon 65%, merlot 35%
Il 2013 è stato tardivo, buio e problematico per la mancanza di luce rispetto agli standard, ma comunque asciutto grazie alla costanza dei venti in arrivo dal mare e all’attrazione del vulcano nei confronti delle nubi. Il risultato nel calice è un estratto e un contenuto alcolico più contenuti, con valori di acidità importanti. Sfumature cupe di ciliegia nera e gelso iniziano a sprigionarsi dopo un’apertura su ricordi di acetaldeide e cavolo nero. Un passaggio breve che ci dà il senso di abbottonatura dell’annata, pur senza alcun indizio di ossidazione: le nuances cambiano nell’arco della serata regalandoci in poco tempo sentori più dolci e fini, con bouquet di peonia e di gardenia, e una punta di pepe. Sono vini di tempra, questi, dopo dieci anni ancora ai blocchi di partenza: in particolare questo millesimo, che regalerà grandi soddisfazioni, dimentichiamolo in cantina.

Fiorano Rosso 2012
cabernet sauvignon 65%, merlot 35%
Un’annata - con una maturazione perfetta per il merlot, ma non per il cabernet sauvignon - per la quale Castagno evoca, a ragione, l’aggettivo gourmand. Un colore perfettamente integro e ancora rubino con qualche leggerissima striatura verso il granato. Apertura di naso su scaglie di ferro, poi il gelso e il mirtillo emergono insieme al cuoio e a punte rinfrescanti di anice. In bocca le note verdi sono invece le protagoniste unite ad un tannino più astringente rispetto ai precedenti, ma che si allunga su un finale di frutta nera.

Fiorano Rosso 2009
cabernet sauvignon 65%, merlot 35%
Molto simile alla 2015 per ore solari e luminosità, con una raccolta abbastanza precoce e un valore alcolico più importante, la 2009 ci regala un vino di una certa maturità improntato più sulla sapidità che sull’acidità. Colore insensibile al passare del tempo, molto simile ai precedenti: un brillante e seducente rubino. Anche in questo caso l’apertura è sul ferro, poi cuoio, ciliegia e ancora finocchietto e anice. In bocca la mora e l’amarena sono protagoniste, con ritorni di aromi che virano sul cacao, la mimosa e la propoli. Grande sapidità come da indicazione d’annata.

Fiorano Rosso 2003
cabernet sauvignon 65%, merlot 35%
Si tratta della prima produzione sotto la direzione di Alessandrojacopo. Un millesimo estremamente sottovalutato nelle sue potenzialità: il caldo eccessivo di quell’estate, che perdurò per settimane, portò le vigne ad attivare l’autolisi dell’acido malico e il blocco di tutti i processi metabolici, dando priorità alla sopravvivenza più che alla maturità del frutto. Il risultato è ovviamente l’assenza totale di acido malico, un’acidità depressa e valori alcolici molto alti. La concentrazione del colore è però vincente, così come la resistenza all’ossidazione, e il calice ce lo conferma con un fitto e denso rubino. L’olfatto è un concentrato di colla vinilica calda e visciole, di amarene sotto spirito e confettura ai frutti di bosco. Fiori spampanati di gardenia danno ulteriore dolcezza al naso. In bocca il frutto è predominante con un tocco finale astringente. Un calice davvero intenso e lunghissimo che richiama il cioccolato fondente, un tortino al cacao amaro o ancora dei formaggi.

Fiorano Rosso 1993
cabernet sauvignon 50%, merlot 50%
Trent’anni di solidità in questo calice, che si apre con una piccola “nota di Brett” (da lieviti Brettanomyces) per poi virare sulle sfumature del sottobosco, della corteccia, della carruba, del fungo, delle erbe da vermouth. L’amarena e il mirtillo si alternano a sprazzi ematici in una sommatoria totale cupa e autunnale. La bocca potente, giovane, ricca di vigoria e tannino si allunga sul succo di mirtillo.

Fiorano Rosso 1990 – botte 29
cabernet sauvignon 50%, merlot 50%
Terziarizzazione molto spinta per il Fiorano Rosso 1990, da cuvée da singola botte: siamo nell’epoca d’oro ancora sotto la mano ferma di Alberico, il quale mai seguì le sirene della concentrazione a tutti i costi, la barrique, i salassi, ecc. Vino rubino trasparente. Smalto e olive nere cotte al forno, pepe nero e grano arso, more nere e sentori empireumatici, al naso. In bocca la sorpresa è data da una grande acidità e sapidità, con una leggerezza che si fa finezza e giovinezza in una scia di ribes rosso.

Fiorano Rosso 1988 – botte 30
cabernet sauvignon 50%, merlot 50%
La botte 30 ha dato sempre grandi vini e il 1988 ne è una conferma: anice, amarena, arancia rossa, visciola e ancora sentori di canfora, chicchi di caffè, legno di cedro e tabacco. Un tourbillon di olfatto, per un calice che avvolge il palato di amarena, arancia amara e chinotto, con equilibrio, freschezza e balsamicità. Un vino prodigioso.

Fiorano Rosso 1987 – botte 15
cabernet sauvignon 50%, merlot 50%
Annata disperante, con un clima improvvisamente virato verso il brutto, senza più alcuna ripresa, e sorretta dall’esplosività dell’uva precoce, il merlot. Un’apertura olfattiva anche per questo calice su sentori di terziarizzazione, cenere di vulcano e grafite, e poi liquore al caffè, erbe medicinali, catrame, carcadè e radice di liquirizia. Grande acidità in bocca, lunghissimo con i suoi aromi di melagrana e anice.

La nostra passeggiata nel tempo si è spinta fino a 36 anni fa e ci ha permesso di toccare con mano la continuità di una filosofia enologica nata con Alberico e ripresa da Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi. Fiorano è una scrittura di tradizione e nello stesso tempo un matrimonio con il contemporaneo, nel miglioramento continuo di un’identità nata avanguardistica. E noi, con lo sguardo stupito, ora possiamo soppesare il mito e il suo essersi fatto esperienza, con le mani spellate dagli applausi di ringraziamenti e il palato ricco di vera nobiltà.