Il pugnitello, l’autoctono salvato nel Vitiarium di San Felice

Il pugnitello, l’autoctono salvato nel Vitiarium di San Felice

La Verticale
di Alessandro Franceschini
28 maggio 2024

L’azienda di Castelnuovo Berardenga, nel Chianti Classico, sceglie il nome del famoso vigneto sperimentale Vitiarium per lanciare la nuova linea che comprende anche uno degli autoctoni recuperati alla fine degli anni '80

Hanno iniziato a fare le prime prove alla fine degli anni ’80, ma per vedere la prima bottiglia in commercio hanno atteso fino al 2006. Ora, nel 2024, oltre a un restyling dell’etichetta, il Pugnitello entra a far parte di una nuova linea aziendale dedicata solo all’alta ristorazione e alle enoteche. È il viaggio percorso da questa varietà a bacca rossa toscana, recuperata dall’azienda San Felice di Castelnuovo Berardenga nel Chianti Classico, di proprietà del Gruppo Allianz dal 1978, dal suo recupero sino a oggi.

Vitiarium, il vigneto collezione di San Felice

Oggi i vitigni autoctoni, specie se particolarmente rari e legati a specifici areali, stanno vivendo un vero e proprio nuovo Rinascimento, ma negli anni ’90 non erano certo al centro dell’interesse e dei pensieri di buona parte delle aziende italiane. Anzi, dovevano sgomitare per trovare spazio e non rischiare l’estinzione, in molti casi, rispetto a vitigni internazionali come merlot e cabernet sauvignon ad esempio, che avevano conquistato ettari e notorietà, anche e soprattutto in Toscana.
San Felice, sotto la direzione di Enzo Morganti, già nota per aver lanciato il primo supertuscans nel 1968, il Vigorello, valorizzando il sangiovese in purezza, nel 1987 crea il Vitiarium, in collaborazione con le università di Firenze e Pisa. Si tratta di una sorta di vigneto collezione, sperimentale, della grandezza di 2,5 ettari, all’interno del quale vengono piantati 273 vitigni definiti “minori”, di cui 161 a bacca rossa. «Nel corso degli anni abbiamo scoperto che il 50% non era autoctono, ma 105 sì e circa 30 erano fuori da ogni database» ci racconta Leonardo Bellaccini, storico enologo dell’azienda che quest’anno compie 41 vendemmie tra i vigneti di Castelnuovo Berardenga. Tra i vitigni che vengono così recuperati ci sono abrusco, ciliegiolo, mazzese e malvasia nera, che risultano interessanti da usare soprattutto in blend con il sangiovese. 

Leonardo BellacciniDall’estinzione a eccellenza

E poi anche il pugnitello. «Produce pochissimo, ecco perché stava scomparendo. Ma tra i vitigni recuperati emerse perché dotato di grande personalità: colore molto intenso e una qualità del tannino ideale da unire perfettamente con il sangiovese, perché in grado di togliergli quell’asprezza presente in fase giovanile». Oggi, sui terreni calcarei intorno a San Felice, in una zona posta a sud della denominazione del Chianti Classico, questa varietà autoctona, che prende il nome dalla forma del suo grappolo che ricorda un piccolo pugno, ha conquistato 12 ettari ed è diventata centrale per l’azienda, naturalmente dopo il sangiovese dal punto di vista quantitativo, non solo perché usato in blend con l’uva principe di questo territorio, ma anche perché vinificato in purezza. «Siamo l’azienda con più ettari dedicati a questa varietà, su un totale di 35/40 presenti in Italia, soprattutto in provincia di Grosseto» continua Bellacini. «L’ultima pianta di pugnitello fu trovata nella località Poggi del Sasso, a Montecucco, nel 1981: da quella sono state riprodotte tutte le altre». 

Nella nuova linea lanciata da San Felice, che porta proprio il nome di Vitiarium – termine che richiama la parola latina “vitis”, ma anche il fatto che in questo vigneto vengano custodite gelosamente varietà che rendono il vino un “vizio” –, oltre al Pugnitello IGT, sono stati inseriti anche due Chianti Classico DOCG, uno Gran Selezione che entrerà in commercio a luglio, e uno Chardonnay IGT che ha piccoli saldi di semillon. «Pensavamo fosse un vitigno autoctono di nome volpola, ma poi Attilio Scienza si accorse solo guardandolo che era semillon, come poi gli studi del DNA hanno certificato».   

La verticale

Tre annate, degustate durante la presentazione della nuova linea a Milano, ci offrono l’opportunità di confrontarci con un vino che certo non manca di carattere, vuoi per il colore, vuoi per una trama tannica serrata, ma al tempo stesso sempre morbida. I vigneti si trovano a Castelnuovo Berardenga su terreni a prevalenza di argille di origine calcareo-marnosa, che derivano dalla disgregazione di alberese e galestro. La vendemmia avviene solitamente tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre. Circa 25 giorni di fermentazione, poi maturazione in barrique da 225 litri per 18/20 mesi e un affinamento di 8 mesi in bottiglia prima della commercializzazione. 

Pugnitello IGT 2021
Nel bicchiere certo non passa inosservato, con il suo rosso rubino impenetrabile, ricchissimo di materia colorante. Il frutto è altrettanto ricco nella sua intensità, ricorda la confettura di ciliegie, la crema di marroni, ma anche il mirto e il tabacco. Il tannino è importante, deciso, ma morbido e avvolgente, al palato è più sapido che fresco e dotato di ottima bevibilità nonostante una ricchezza estrattiva da peso massimo. 

Pugnitello IGT 2010
Il colore non ha cedimenti, mentre il quadro olfattivo vira in modo deciso su note speziate, di pepe in particolare, con cenni quasi fumé. Il frutto ricorda la confettura di prugne e si fonde con sfumature di eucalipto e terra bagnata. Il tannino è vivo, di grana grossa, la sapidità preponderante, le note gusto-olfattive donano cenni di sottobosco e qualche lieve sensazione terziaria

Pugnitello IGT 2006
Il colore comincia ad offrire sfumature più tenui, quasi granate. Le spezie caratterizzano sempre i profumi, con piacevoli cenni di erbe aromatiche e note terziarie sempre più evidenti, di sottobosco. L’acidità non manca, anzi è molto viva in questo campione e va a braccetto con tannino ancora scorbutico e scalpitante.