Massifitti, il pioniere del trebbiano di Soave

Massifitti, il pioniere del trebbiano di Soave

La Verticale
di Alessandro Franceschini
07 novembre 2022

Nove annate per ripercorrere la storia di un vitigno quasi dimenticato, il trebbiano di Soave, e riscoperto con determinazione e tenacia dalla famiglia Tessari dell'azienda Suavia

Nella storia della viticoltura italiana non è così difficile imbattersi in varietà date per defunte o accantonate in qualche angolo di vigna, ma poi risorte conquistandosi un palcoscenico un tempo insperato. Scarsa produzione, difficoltà di conduzione, mancanza di conoscenza, situazioni di mercato sfavorevoli. Sono tante le motivazioni che hanno portato spesso molti vitigni difficili, ma di carattere, a lasciare il passo ad altri più generosi e facili da approcciare. Tre queste rientrano anche quelle che hanno, anzi, avevano, portato il trebbiano di Soave e finire in soffitta, ritagliandosi un ruolo di comprimario rispetto alla locale garganega. Poi qualcosa è cambiato e quel qualcosa porta un nome, Massifitti, e un cognome, Suavia.

Il trebbiano di Soave era quasi scomparso, poi è partito proprio da Milano il progetto che lo ha fatto rinascere” ci hanno spiegato qualche tempo fa, nella sala di un ristorante del capoluogo lombardo, le sorelle Meri e Valentina Tessari, che insieme ad Alessandra, compongono il terzetto alla guida di Suavia, realtà che da tempo si è conquistata un posto di primo piano nell’universo bianchista non solo del Veneto, ma d’Italia, con vini di grande personalità come il Soave Monte Carbonare o il Le Rive. 

Nel cuore del Soave classico resisteva questa varietà, un trebbiano locale, certamente sottovalutato e spesso confuso con altri vitigni – la famiglia dei trebbiani è molto numerosa – e che aveva tutte le carte in regola per puntare all’estinzione: produce poco, è molto delicato, ha un grappolo compatto che quando piove può agevolare l’insorgere di muffe, matura 15 giorni prima della garganega. La scommessa di Suavia inizia con uno studio condotto in collaborazione con l’Università di Milano, guidato dal professor Attilio Scienza, che consente di ottenere un “autentico” trebbiano di Soave, ottenuto da cloni delle vigne più vecchie e selezionate. Prosegue con la nascita del Massifitti nel 2008, che vede il nostro autoctono ritagliarsi uno spazio in purezza. Partiti con 2000 esemplari, oggi ha raggiunto le 20mila bottiglie provenienti da circa 7 ettari di vigna dedicati, ma ha anche risvegliato la curiosità e l’interesse di altri produttori che lo stanno piantando, studiando e vinificando a loro volta in purezza.

La verticale 2019 - 2008 

Massifitti viene commercializzato come Igt Bianco Veronese, non avendo ancora la possibilità di avere una Doc tutta sua. Le uve, selezionate e moltiplicate tra quelle ritenute più interessanti fra le vecchie vigne di Trebbiano di Soave presenti nei vigneti di alta collina dell’azienda, provengono dal cru Fittà, caratterizzato da terreni di origine vulcanica. Vengono raccolte solitamente nella seconda decade di settembre e vinificate con lieviti indigeni in acciaio. Qui il vino, che non svolge la fermentazione malolattica, riposa per 15 mesi a contatto con le fecce fini, per poi passare in bottiglia dove si affina ancora per un anno prima di essere commercializzato. Dal 2018 l’azienda ha deciso di imbottigliarlo con il tappo a vite. “I risultati sono ottimi e ci siamo definitivamente convinti” spiegano le sorelle Tessari.

2019
Dal tratto delicatamente floreale, ha note di miele di acacia e qualche accenno alle erbe aromatiche. Fine, di ottima personalità, al sorso colpisce per una prorompente acidità che lo rende particolarmente bevibile già ora, ma invita a conservarlo ancora per un bel po’ prima di riprovarlo.

2018
Inizialmente introverso, sfoggia una paletta di profumi molto intrigante che fonde qualche nota di idrocarburi con quelle più rinfrescanti di menta e caramella al limone. Al palato ha non solo freschezza e sapidità di grande incisività, ma anche una ricchezza avvolgente e strutturata, con un allungo finale di ottima progressione.         

2015
Il tratto minerale, sulfureo e in parte agrumato domina incontrastato, senza lasciare particolare spazio alle note più fruttate e floreali. Ha un incedere severo, quasi austero, al quale non a caso si affianca al sorso un’acidità altrettanto importante e succosa.

2014 (magnum) 
Dal timo alla camomilla, dalla nepetella alla genziana, qui le erbe certo non mancano e si sposano con note balsamiche e idrocarburiche, con un tocco lievemente ossidato che si integra perfettamente. Al palato la trama sapida è protagonista rispetto a una freschezza sempre ben presente. Ottima anche in questo caso la persistenza.

2013
La diffusa mineralità, la florealità molto delicata, le note agrumante, donano un quadro di grande eleganza e piacevolezza, quasi sussurrata. Anche al palato, le componenti acide e soprattutto sapide, sebbene molto presenti, sono sempre ben equilibrate e sostengono un sorso anche in questo caso di bella personalità.

2011
Un’altra annata di grande respiro e carattere, dove l’anima rocciosa emerge con grande forza, ma lascia spazio anche a delicate note fruttate e al solito tocco mentolato che dona freschezza e verticalità. L’acidità, ben presente, qui cede il passo ad una trama più delicata, suadente, ricca, sempre di grande allungo.

2010
Si cambia registro e le note più terziarie si impongono nella sua prima fase nel bicchiere, con tocchi di fiori secchi e, anche in questo caso, una lieve, ma presente, componente ossidativa. L’ossigeno apre completamente il vino ed emergono note di miele e di canditi di arance e cedro, che donano grande complessità. Quasi salato al palato, ha spessore e ricchezza.

2009
Forse il vino più stanco e meno in forma della batteria dal punto di vista olfattivo, nonostante due bottiglie aperte. Non manca, però, al palato, una grinta sapida e acida che al Massifitti non è mai in secondo piano.

2008
Il profilo aromatico è di quelli che ti fanno stare molto tempo con il naso sul bicchiere: gesso, idrocarburi, frutta secca di nocciole, tanti agrumi e un tocco fumé quasi magnetico. Il sorso è ancora molto severo, dominato da una sapidità che catalizza quasi completamente l’impatto gustolfattivo. Chapeau!