Pievalta e la longevità del Verdicchio

Pievalta e la longevità del Verdicchio

La Verticale
di Sara Missaglia
10 ottobre 2024

Sei annate di Verdicchio dei Castelli di Jesi Riserva San Paolo per testimoniare la capacità di cavalcare il tempo dell’autoctono marchigiano.

Se è vero che, citando Oscar Wilde, "ciò che non abbiamo osato, lo abbiamo certamente perduto", Silvano Brescianini parte dalla Franciacorta di Barone Pizzini e approda nel 2002 nelle Marche, vincendo la sua scommessa: un fiuto incredibile e una competenza che solo i visionari possiedono per capire che valeva la pena puntare su un vitigno, il verdicchio dei Castelli di Jesi. Da inguaribile bianchista, non poteva non lasciare spazio a quell'impulso irrefrenabile che nel calice vuole la luce. 

Un po' come Yves Klein, che ha concentrato la propria ricerca artistica nella creazione di un colore che fosse “la più perfetta espressione” tra le tonalità di blu, così l’idea del percorso di Silvano Brescianini a Pievalta è tutta all’insegna del “verdicchio che vorrei”: parte dal biologico per arrivare al biodinamico e, nel mentre, si domanda di continuo cosa e come fare per avere quel punto di giallo, quel gusto agile e fresco e l’eternità che solo il sale della terra sa dare. Pragmatico e veloce  nel prendere le decisioni, Silvano Brescianini si affida per questo progetto all’enologo Alessandro Fenino, con cui aveva già costruito un rapporto di stima e fiducia in Barone Pizzini, affiancato dall’agronomo Pierluigi Donna e dall’enologo Sergio Paolucci. Alessandro cambia vita, lascia Milano e si trasferisce a Maiolati Spontini, sede della cantina. È una bella storia, di vita, di lavoro e di famiglia, che Armando Castagno ha raccontato nel marzo 2019 sulla rivista ViniPlus di Lombardia n° 16 (vedi qui). 

Pievalta

Nasce nel 2002 dall’iniziativa di Barone Pizzini e di Silvano Brescianini, che individuano nei Castelli di Jesi il luogo di elezione per esprimere le straordinarie potenzialità del verdicchio: autoctono bianco, un binomio di cui Silvano si innamora. Vengono prima acquistati a Maiolati Spontini 24 ettari e oggi la proprietà si estende su un totale di 44 ettari, di cui poco più di 30 vitati. La conduzione è in biologico e, dal 2008, Pievalta è la prima azienda biodinamica certificata nelle Marche. Pionieri nella regione ma con una esperienza già consolidata in Franciacorta: Silvano e il suo team sanno perfettamente che, quando si hanno meno armi per difendere il vino, è necessario essere ancora più presenti, selettivi, capaci di ottenere uve di ottima qualità. L’approccio non fa riferimento ad esoterismo, magia o misticismo, ma è estremamente razionale: in vigneto viene praticato il sovescio da leguminose tra i filari e il terreno è sempre al centro, nei confronti del quale vengono messe in atto azioni per consentirne il massimo rispetto attraverso il recupero della biodiversità e la connessione con gli ecosistemi naturali. Obiettivi sono l’aumento e il mantenimento di un’alta fertilità del suolo, unita al rafforzamento di meccanismi di resistenza delle piante, con inerbimento totale, la distribuzione del compost e la semina che va a migliorare il suolo stesso. «Non trasformiamo l’uva in vino, ma la accompagniamo nel suo divenire, sempre un passo indietro per non rompere l’armonia del luogo con il nostro intervento ma, al contrario, per lasciarla esprimere liberamente prima allo sguardo di chi attraversa queste colline e poi al gusto di chi la sorseggia nel bicchiere»: così Alessandro Fenino.

Alessandro Fenino e Silvano Brescianini

Il terroir

I filari di Pievalta sono l’essenzialità delle linee del panorama dei Castelli di Jesi, territorio disseminato da piccoli borghi medioevali tra castelli e antichi abbazie. Sul Monte Follonica, un’altura a metà tra l’Appennino e il mare, si trovano le vigne del San Paolo di Jesi di 5,30 ettari, dedicati al verdicchio con il quale viene prodotta la Riserva. «Abbiamo scoperto che i suoli erano molto interessanti: formazioni sedimentarie di origine alpina erano state trasportate sulla dorsale adriatica dalle correnti marine tra i 4 e i 5 milioni di anni fa. Roccia arenaria friabile silico-calcarea, inframmezzata da marne dotate di argilla e siltose, derivanti dalla formazione delle argille azzurre, depositi sub appenninici risalenti al Pliocene. Per noi, che arrivavamo dalla Lombardia, sapere di calpestare della roccia alpina era qualcosa che ci faceva sentire un po’ più a casa», commenta Silvano Brescianini. Dal mare arrivano le brezze, che accarezzano i vigneti posti sul versante nord est del Monte Follonica a quota 350 metri s.l.m.. I vigneti a verdicchio sono due: il più giovane di 2 ettari piantato nel 2009, posto a fianco della vigna di 3 ettari piantata anni prima, nel 1992.

La degustazione

Obiettivo è il viaggio, senza soste intermedie: lungo l’asse del tempo Silvano Brescianini e il suo team hanno messo a punto il percorso corretto alla ricerca del “loro” verdicchio. La degustazione si compone di due batterie: la prima ricomprende le annate 2008, 2009 e 2015, partendo sempre dall’annata più vecchia, mentre la seconda le annate 2017, 2019 e 2021, appena entrata in commercio,

Annata 2008

Quando ancora si parlava di DOC e non di DOCG, Pievalta realizza la prima e unica vendemmia fatta in una cantina in affitto. Quella di proprietà è in costruzione, ma il desiderio di vinificare il verdicchio è tantissima. Il colore è molto fitto e concentrato, ma dotato di ottima luminosità, considerato il tempo trascorso in bottiglia. Le sensazioni sono più legate all’idrocarburo, ai fiori e al vegetale secco da tabacco biondo e da foglie nel sottobosco. Il frutto presenta comunque una buona croccantezza, sorprendente considerato il millesimo. Il sorso è pieno, carnoso, con rimandi a distillato di pera e al cedro. Lo stile è indubbiamente più canonico, così come la componente fenolica gioca ancora un ruolo da primadonna. Il profilo nel suo complesso è sostenuto e fiero, ma ha lasciato sul campo le vibrazioni che le annate più recenti sanno invece donare. È nel passato ma non vinto o arreso, con ancora un po’ di storie – ed emozioni - da raccontare. 

Annata 2009

Nella nuova cantina vengono impiegati lieviti selezionati bio, a differenza della precedente vinificazione realizzata con lieviti indigeni. Pur essendo tra loro molto vicine, le annate si presentano differenti: la prima giocata più sul frutto, la seconda che invece punta più alla speziatura fresca, con il cardamomo e il cumino e chiare evidenze agrumate da pompelmo. Sbuffi di idrocarburo completano un quadro più interessante rispetto al precedente calice per via di una spiccata acidità, accompagnata da una corretta gestione dell’alcol e da una sapidità che sembra dotare il sorso di personalità. Indomito, fiero e concentrato sul frutto, è verticale e continua a guardare in alto. 

Annata 2015

Rispetto ai due calici precedenti questa sembra essere la tempesta perfetta: fiori, frutto e spezie appaiono perfettamente integrati, a differenza in particolare della 2008 che si presentava invece con una metrica degustativa a tratti meno composta. Qui funziona tutto e nel momento corretto, inclusa la sequenza e la riconoscibilità dei descrittori, con un’agilità in bocca diversa rispetto ai precedenti assaggi e profondità e agilità che coabitano. Erbe aromatiche, bergamotto, pesca e tonalità minerali e delicatamente talcate da muschio bianco e scoglio di mare: in un assoluto stato di grazia, tradisce l’età reale e appare decisamente più performante. Sapidità sul finale per una chiusura elegante, con ottime prospettive evolutive.

Annata 2017

Si tratta dell’ultimo anno in cui il San Paolo matura esclusivamente in acciaio, con due anni sulle fecce fini e sei mesi in bottiglia, in una vendemmia più precoce del solito. Il colore è delicato rispetto ai campioni precedente e tra le note olfattive spicca in modo molto particolare quella che ricorda il cedro. Il sottofondo agrumato rende questo vino molto attraente, con bellissime acidità e sapidità che attivano non solo i recettori del cervello, ma anche le emozioni. Il vino è accogliente e decifrabile, per certi versi ricorda la 2015 ma con una acidità ancora più spiccata e un’eleganza che dona una memoria lunghissima.

Annata 2019

Per il primo anno un quarto del vino ha fermentato e affinato un anno in una botte di rovere da 25 ettolitri. La parte residua ha proseguito la fermentazione in acciaio con la permanenza sulle fecce in cemento. Con questa annata il San Paolo riceve dalla combinazione acciaio, cemento e botte grande la migliore espressività di sempre. Al naso si presenta con una flora da gelsomino e fiori di sambuco di elevata eleganza. È ammaliante, magnetico, perfettamente dosato e calibrato in ogni aspetto. Equilibrio, senza perdere in potenza. La differenza è data dalla cura dei dettagli, dalle cesellature di alcuni profumi, dalla finezza nel suo complesso. Il vino vola, pur rimanendo estremamente ancorato, identitario ed espressivo della terra in cui è nato. Il suo profilo aromatico soddisfa Silvano Brescianini e la tonalità di grande luminosità accende il sorriso di chi ha trovato il suo punto di arrivo anche cromatico.

Annata 2021

Promettente, solo come i primi della classe sanno esserlo. Sorprende già l’eleganza nella gioventù, con quote di erbe aromatiche e di vegetale molto fresco: melissa, verbena, timo limonato e un pizzico di pepe bianco regalano un bouquet olfattivo di straordinaria bellezza. Il vino è verticale e sapido, a tratti totalmente dissetante. Si farà, ma è già ad un ottimo punto.

I vini selezionati per questa doppia verticale raccontano la gioia nel veder realizzare il sogno. Il verdicchio di Silvano Brescianini ha preso non solo forma, ma anche carattere e bellezza: speranza e sapienza si sono fuse in un progetto che, prima che di business, è fatto d’amore lungo una direttrice dalla Franciacorta alla Marche.