Il vigneto svizzero e la sua vocazione multilingue

Il vigneto svizzero e la sua vocazione multilingue

Mondo Vino
di Florence Reydellet
23 agosto 2021

Per il nuovo incontro della rassegna Annessi & Connessi Luisito Perazzo ci porta a scoprire uno dei territori vitivinicoli più sconosciuti e forse meno apprezzati al mondo: la Svizzera. Un viaggio nel dedalo del vigneto elvetico con l’intento di sfatare fuorvianti luoghi comuni.

Delle origini storiche del vigneto si sa ben poco. Probabilmente introdotto dai Greci focesi, poi ampliato dagli antichi Romani, è invece accertato che fu l’avvento degli ordini ecclesiastici nel Medioevo a determinarne - grossomodo - l’odierna fisionomia. La nascita delle prime abbazie cistercensi permise ai monaci di portare migliorie e sviluppi in un territorio dalla ragguardevole giacitura orografica: essi individuarono i terroir più adatti e costruirono, a titolo di esempio, i primi vertiginosi terrazzamenti del Lavaux nel XII secolo. La fortuna commerciale iniziò ad arridere ai loro vini e, nel Seicento, vi furono floride esportazioni verso l’Alsazia e il vicino Württemberg.

A partire della seconda metà del XIX secolo, lo slancio della coltivazione della vite fu però minato dalle tre famigerate avversità - fillossera, peronospora, oidio - che mandarono in rovina i tre quarti della superficie vitata del paese. Bisognerà attendere il secondo dopoguerra per assistere alla rinascita dell’esangue vigneto, mentre la costruzione di un sentiero qualitativo avvenne a mano a mano in virtù di una gerarchizzazione dei terroir e con l’adozione di appellazioni (la prima risalente al 1988) che tendono a riprodurre lo schema francese. La Svizzera odierna latita un poco sul mercato internazionale e la sua superficie vitata continua a rispecchiare un contesto a dimensione umana, persino confidenziale: conta 14.700 ettari scarsi di vigneto - i cui tre quarti vengono distribuiti nella Svizzera romanda - e vi è all’incirca una produzione annuale di soli 83 milioni di litri di vino. Facile intuire che la reperibilità dei vini svizzeri non sia del tutto agevole e, difatti, solamente l’1-2% delle bottiglie perviene fuori dai confini nazionali.

Vallese centraleGeograficamente parlando, le aree produttive del vigneto svizzero si segmentano in sei comparti vinicoli. Procedendo per ordine produttivo, vi si ritrova per primo il Vallese (4.766 ettari vitati) alla base meridionale della Confederazione, nel cuore delle Alpi; il Vaud (3.787 ha), seconda regione vinicola per estensione, che fiancheggia la sponda occidentale del lago Lemano; a sud-ovest, la regione francofona di Ginevra (1.391 ha). Infine, compressa tra il Massiccio del Giura e i primi contrafforti delle Alpi, vi è la zona di Neuchâtel (605 ha). Sarebbe ingiusto dimenticare che il comprensorio tedesco propone anch’esso qualche perla che sia nella Svizzera orientale (2.590 ha) contigua a est con la Germania e l’Austria o nella puntiforme zona viticola del Ticino (1.105 ha) affacciata a meridione sull’Italia. Dovendo citare qualche nome nel groviglio delle sottozone vitivinicole, proponiamo alcune del Vallese (Viège, Sierre, Vétroz, Chamoson) e le quattro del Vaud (Lavaux, Côtes de l'Orbe, La Côte, Chablais). Quanto al sistema enografico dei 26 cantoni, si suddivide in 59 Appelations d’Origine Controllées che propongono sul mercato pressoché tutte le tipologie: ritroviamo, quindi, le AOC regionali, cantonali e locali, e, per le aree più vocate vi è anche la menzione Grand Cru. Ricordiamo, infine, che il cantone Ticino non si avvale dell’AOC ma della Denominazioni di Origine Controllata.

Come accennato, risulta arduo parlare di uniformità quando ci si approccia allo studio della conformazione territoriale. A cominciare dalle fasce altimetriche: si sale dai 270 m s.l.m. nel Ticino ai 1150 m s.l.m. nell’ultima propaggine del Vallese, a Visperterminen, che compete per il primato del vigneto più alto in Europa. Si suole affermare che il dato climatologico, commistione di mesoclimi influenzati dalla prossimità di luoghi lacustri e gruppi montuosi, sia anch’esso responsabile della notevole eterogeneità del luogo. La zona più siccitosa rimane certamente l’area del Vallese, le cui precipitazioniammontano a 587 mm medi annui. Questa carenza idrica impose, peraltro, fin dal Medioevo, la costruzione dei famosi bisses, canali di irrigazione che consentono tutt’oggi di veicolare l’acqua dai ghiacciai in discioglimento. Un dato peculiare, se confrontato con le precipitazioni di Vully nei pressi del lago di Neuchâtel (963 mm) o di Vico Morcote nel Ticino (1760 mm). Per buona sorte, il Favonio ha rilevanza mitigatrice pressappoco su tutto il territorio e concorre a garantire una maturazione aromatica delle uve senza intralci a ridosso della vendemmia. La matrice geo-litologica del territorio è, giocoforza, anch’essa caleidoscopica: il Vallais poggia su terreni prevalentemente morenico-glaciali (Chamoson) e accanto ai calcari di Sierre e Loèche, si rivengono les brisés, particolari scisti della zona di Sion (soprattutto sulla sponda destra del Rodano), banchi di terreno molto sottili che si sovrappongono creando un profilo visivo che ricorda la millefoglie. Il Vaud, dal canto suo, alterna alla puddinga - un calcare sgretolato misto a ciottoli tondi, somigliante al cemento - terreni ghiaiosi (Chablais) e argillosi-calcarei (Lavaux e la Côte).

ChasselasL’eclettismo dello spartito ambientale fu, e rimane sinora, determinante nel salvaguardare l’ampio spettro ampelografico del paese: annovera circa 240 cultivar (56% a bacca rossa) benché siano soltanto 75 a comparire ufficialmente nei dati dell’Ufficio Federale dell’Agricoltura (UFAG). Il terroir del Vallese ha storicamente permesso di eleggere anzitutto il pinot nero a vitigno principale (tre quarti del totale nella regione, e un terzo per l’intero del paese): amante dei suoli argilloso-calcarei, nei casi migliori regala vini sostenuti dall’alleanza acidi-sali e di notevole freschezza nel ricamo aromatico. Al pinot nero fa da comprimario lo chasselas, che però non ne insidia la veste di protagonista. Sempre nel Vallese ritroviamo di frequente l’amigne, uva bianca tipica di Vétroz, dalla quale si ottengono vini di buona definizione, dagli aromi profumati e inebrianti, o la petite arvine, declinata secca e passita. Seguono una cornucopia di vitigni autoctoni a bacca bianca - spesso strappati all’oblio e tutt’altro che ubiquitari - come il rèze, confacente alla produzione dei vins de glaciers nella Val d'Anniviers; l’himbertscha, figlio di Viège, dalla connaturata propensione al floreale; nonché l’antichissimo humagne blanc, avvincente per il vino dall’impronta erbacea cui dà vita. Quanto alle uve alloctone, troviamo la syrah, invalsa da un secolo nella regione, con il suo carattere speziato e tannico.

Nel Vaud, dei circa 3.800 ettari vitati, 2.500 sono destinati ai vitigni a bacca chiara. Lo chasselas occupa il primo gradino del podio per volumi prodotti e non è un caso che vanti un’abbondante messe di sinonimi quali, ad esempio, fendant e dorin. Uva precoce e di estrema sensibilità alle caratteristiche della matrice geologica, quando viene portata a soddisfacente maturità, offre vini dalla particolare raffinatezza espressiva, vocati ad aromi muschiati e talora in grado di rivelare schiettamente la mineralità del terreno. Altri vitigni prevalenti, a bacca rossa, sono il pinot noir e il plant Robert. Infine, dai circa 1500 ettari della zona di Ginevra, merita una particolare attenzione il gamay, dal quale nascono vini generosi nella dotazione aromatica e tutt’altro che statici nella trama del sapore.

Ecco quindi che la composita ricchezza del territorio, l’ampia gamma delle sue cultivar, la cognizione e la sensibilità dei suoi vignaioli, potrebbero avere ragione di ogni scetticismo. Invero, la degustazione di Luisito ha evidenziato vini articolati, lunghi e distanti anni luce dall’insipidezza. E ne deduciamo che la vitivinicoltura elvetica possa lasciar trapelare abbacinanti livelli di espressività.

La degustazione

Vini bianchi degustati dal relatore, in ordine di preferenza:

  • Vaud, La Côte AOC Mont-sur-Rolle Chardonnay Grand Cru 2017 - Domaine de Crochet
  • Vaud, La Côte AOC Morges 2016 - Henry Badoux
  • Valais, Fendant Balavaud Vétroz Grand Cru 2015 - Jean-René Germanier
  • Ticino Malcantone, Bianco di Cademario 2006 - Cantina Monti (a pari merito con il precedente)

Vini rossi, in ordine di preferenza per il relatore:

  • Vaud, La Côte AOC La Colombe Noire Réserve 2013 - Raymond Paccot
  • Valais, Cornalin Réserve 2014 - Jean-René Germanier
  • Ticino DOC, Merlot Sassi Grossi 2006 - Gialdi
  • Graubunden, Pinot Noir 2017 - Gantenbein (a pari merito con il precedente)