Un viaggio alla scoperta dei vini di Tokaj

Un viaggio alla scoperta dei vini di Tokaj

Mondo Vino
di Daniela Recalcati
15 febbraio 2021

Nessuno conosce l’Ungheria con tanta competenza e passione come Mariano Francesconi. E proprio lui ci ha guidati in un fantastico viaggio fino a Tokaj–Heigyalja, dove le cantine e le vigne sono Patrimonio dell’Umanità e dove, da 500 anni, si producono leggendari vini da muffa nobile.

Tokaj–Heigyalja è una storica regione vitivinicola, con una superficie vitata di circa 6000 ha, situata nel nord-est ungherese. La classificazione delle aree viticole risale al 1720, la prima in tutto il mondo del vino.

Le aree viticole comprendono: i versanti del Kopasz, con la cittadina di Tokaj, i cui terreni sono costituiti da strati molto profondi di löss; il bacino di Mád, con terreni rocciosi e ricchi di scheletro; la valle di Erdôbénye piuttosto chiusa e fredda; la valle di Tolcsva aperta e ricca di vigneti importanti; la valle di Sárospatak e i versanti di Satorche arrivano fino al confine con la Slovacchia.

Il terroir è straordinario e ha un‘incredibile complessità geologica. Si è formato circa 150 milioni di anni fa a opera di 450 vulcani. Sopra la roccia è presente uno strato di argilla, il nyirok, che ha la capacità di trattenere acqua, penetrare nelle fessure delle rocce sottostanti e mettere in sicurezza le radici nei periodi più siccitosi.

Il più antico sistema di allevamento è il fej-vagy bakművelés, una sorta di alberello i cui tralci non vengono lasciati liberi, ma raccolti attorno a un tutore ligneo. Nelle vigne più recenti i sistemi usati sono il cordone, il guyot e il sylvoz.

Il furmint (4000 ha circa) è il vitigno più importante. Dotato di grande personalità, secondo solo al riesling, ma con una struttura e un potenziale zuccherino molto più elevati. Sensibilissimo alla botrite con un patrimonio d’acidità formidabile, è un perfetto mediatore nel trasmettere al vino tutta la diversità e tutto il carattere delle rocce vulcaniche su cui cresce. Complementare è l’hárslevelű (circa 1050 ha) che non ha l’acidità del furmint, ma riesce a raggiungere una maggiore concentrazione zuccherina e a conferire più avvolgenza al vino. Cresce molto bene sui terreni di löss. Abbiamo poi il sárga muskotály (460 ha), un moscato bianco, che talvolta botritizza molto bene.


L’uvaVitigni minori sono lo zéta (120 ha), un incrocio tra furminte bouvier che dà vini molto piacevoli in gioventù; il Kövérszölö (40 ha) è usato di solito in assemblaggio; il kabar (8 ha) è un incrocio tra bouvier e hárslevelű, molto interessante nelle vendemmie tardive; il gohér è un vitigno antico, quasi del tutto abbandonato.

Le tipologie di vino prodotte comprendono gli Száraz bőr, vini secchi da monovitigno prodotti con grappoli sani e gli Szamorodni e i vini da vendemmia tardiva prodotti con grappoli o parti di grappolo botritizzati. Lo Szamorodni viene prodotto con grappoli interi in due versioni: secca (Száraz Szamorodni) e dolce (Édes Szamorodni) con almeno 10 grammi di zucchero per litro.

Esistono due vini rari e antichi: il Máslás, che prevede l’aggiunta di vino nuovo alla feccia del vino Aszú rimasta dopo i travasi, e il Forditás prodotto aggiungendo del vino nuovo alla pasta di acini Aszú rimasta dopo la pressatura. Gli Aszú sono i vini più rappresentativi, prodotti con acini botritizzati raccolti manualmente uno per uno. Infine, la leggendaria Esszencia che altro non è che il succo che trasuda dagli acini Aszú durante il loro stoccaggio e viene recuperato dal fondo dei contenitori. Ha una concentrazione zuccherina elevatissima (600–900 g/L) e viene conservata in damigiane, piccole botticelle o anfore. Serve a dare più ricchezza e concentrazione agli Aszú, ma può essere consumata direttamente o imbottigliata. Per poterla imbottigliare va filtrata e diluita con il vino. Il disciplinare permette un residuo zuccherino minimo di 400 g/L.

Se si vogliono vinificare uve non botritizzate la vendemmia inizia ai primi di settembre; normalmente, infatti, la botrite si sviluppa verso la metà del mese. I produttori di qualità devono lasciare a lungo l’uva sulla pianta per permettere la corretta disidratazione dell’acino e la concentrazione degli zuccheri. Ciò comporta il rischio di perdere il raccolto a causa degli stormi di uccelli migratori, dei cinghiali, dei caprioli e dei cervi che popolano, numerosi, i boschi ungheresi. Gli acini vengono raccolti manualmente, uno per uno e poi essere trasportati in cantina per lo stoccaggio.

I due principali contenitori delle uve e del vino di Tokaj sono la Puttony, che è una gerla di legno da 27 litri e che serve per il trasporto delle uve, e la storica botte del villaggio di Gönc (Gönci Hordó) da 136 litri. I due contenitori hanno la funzione di stabilire la quantità di vino o di mosto e la quantità di acini che verranno assemblati. A seconda del numero di gerle (da 3 a 6) riempite con acini Aszú e unite a 136 litri di vino nuovo o di mosto, si otterranno le diverse tipologie di Aszú. Gli acini, completamente asciutti, devono per forza macerare nel vino o nel mosto per poter essere pigiati. Oggi i rotovinificatori e le presse pneumatiche riescono a pigiare molti più acini e quindi a ottenere dei vini con una maggiore concentrazione zuccherina.

Il disciplinare prevede uno zucchero residuo di almeno 60 g/L nei 3 puttonyos, 90 nei 4, 120 nei 5, 150 nei 6 e 180 nell’Aszú Esszencia. Da circa tre anni le prime due categorie non vengono più prodotte. Attualmente, infatti, il disciplinare consente una quantità minima di zuccheri di 120 g/L e prevede anche l’eliminazione della categoria Aszú Esszenzia.

A Tokaj–Hegyalja ci sono le più belle cantine del mondo. I loro suggestivi ingressi possono trovarsi inaspettatamente un po‘ ovunque, sotto il sagrato di una chiesa, dentro il giardino di una casa, ai margini del bosco, appena fuori da un villaggio o al suo interno. Sono strutturate in maniera molto variegata. Le più semplici hanno una scala che porta diversi metri sottoterra per accedere a un piccolo cunicolo. In altre le gallerie si diramano su più livelli e per diversi chilometri. La loro profondità può raggiungere decine di metri e alcune hanno, al loro interno, delle sale di degustazione sotterranee. Sono affascinanti perché si intravedono le rocce vulcaniche e le piccole radici delle piante che penetrano dal terreno sovrastante.


Le cantineCol tempo, se il vino è presente nelle botti, le pareti vengono ricoperte da un fungo, il Cladosporium cellare che avvolge tutto ciò che trova. All’inizio è bianco, poi diventa grigio via via più scuro. È molto suggestivo non solo visivamente ma anche perché si impregna degli aromi del vino creando il tipico “profumo di Tokaj”. Il fungo agisce come regolatore dell’umidità e permette una perfetta conservazione delle bottiglie anche in verticale. All’interno dei cunicoli la temperatura è costante, attorno ai 10–11 °C.

Concludendo, Mariano decide di degustare un vino che testimonia quanto sia affascinante e seducente l’esperienza sensoriale che ci regala l’Aszú.

La bottiglia è anonima, frutto di una vendemmia particolare, il 1997. La botrite si è formata su un’uva che non era perfettamente matura e questo ha preservato un patrimonio acidico potente. Il problema è stato la scarsa stabilità della botrite, tanto che solo 4 produttori hanno vinificato gli Aszú in questa annata (Disznókö, Orosz Gabor, Pajzos e Istvan Szepsy).

205 g/L di zucchero, 14 g/L di acidità espressa in acido tartarico; 7% volume di alcool.

Colore mogano con tonalità brune. Concentrazione importante. Al naso si apprezzano note di cioccolato, cacao, tostatura di fava, caffè, noce, miele di castagno, sentori balsamici e di erboristeria, di cipria, di pesca e albicocca caramellata, di agrume candito, di fumo e di brace. In bocca lo zucchero si coglie solo nell’impatto iniziale perché in seguito il vino si dimostra vibrante con sfumature di incenso.