Assaggiatori d'oli d'oliva

Assaggiatori d'oli d'oliva

Non solo vino
di Luigi Caricato
08 dicembre 2011

Ai sommelier posso confidarlo senza alcuna esitazione. So che mi capiranno perché hanno a che fare con gli assaggi e già conoscono le problematiche più frequenti cui si può incorrere soprattutto nell’ambito delle sedute di assaggio ufficiali, quelle strettamente professionali. Sul fronte dell’analisi sensoriale degli oli di oliva resta ancora da fare un po’ di chiarezza; e con una certa urgenza.

Luigi Caricato

Tratto da Viniplus di Lombardia N°1

Alcune questioni vanno considerate il prima possibile, per essere chiarite e risolte. Inizio dalla figura del cosiddetto “capo panel”. Una figura centrale, determinante per gli esiti che derivano dalle sedute di assaggio: sia quando si valuta l’esatta corrispondenza di un campione ai profili sensoriali riportati in un disciplinare di produzione, come nel caso degli oli a denominazione di origine protetta, sia quando, ai concorsi oleari, si fa parte di una giuria che si assume il compito di conferire premi ai migliori prodotti in gara. Sono due modi di esercitare la professione di assaggiatore, due situazioni che pongono in essere questioni molto delicate, in quanto possono dar luogo a conseguenze condizionanti sul piano commerciale. Nel caso delle commissioni d’assaggio per le Dop, la bocciatura di uno o più campioni d’olio a denominazione di origine protetta comporta conseguenze ben immaginabili, e così pure, allo stesso modo, un via libera dato con eccessiva disinvoltura: è il caso di oli certificati Dop con vistosi difetti sensoriali che non dovrebbero invece essere presenti. Quella dell’assaggiatore d’olio è una professione che va necessariamente disciplinata con la massima serietà e regole ben chiare da cui non si può prescindere facendo eccezioni. Per questo mi sento di scrivere e sottoporre alla vostra attenzione alcune mie riflessioni maturate dopo tante esperienze sul campo. Lo faccio qui, perché so di trovare in voi professionisti sensibili e capaci, disposti anche a formulare soluzioni utili nel caso vi venisse qualche idea al riguardo.

I capi panel*? Ce ne sono troppi

Chi non si occupa specificatamente d’olio magari non se ne renderà nemmeno conto, ma in circolazione ci sono effettivamente troppi soggetti, presunti esperti, che si spacciano per capi panel. Ovviamente lo fanno perché hanno frequentato un corso, sia ben chiaro, non certo per autoproclamazione, ma ci sono davvero molti capi panel senza di fatto esserlo concretamente, non essendo, per intenderci, a capo di nulla. Sorge dunque il sospetto che in tanti ne approfittino, frequentando corsi non sempre riconosciuti ufficialmente, o fintamente autorizzati, o comunque riconosciuti ma di dubbia utilità pratica, visto che alla fine i panel ufficialmente riconosciuti in tutta Italia sono davvero poche decine. E, a questo punto, sorge spontanea con una certa insistenza la seguente domanda: a che serve avere un esercito di capi panel se poi vi sono pochi soldati a costituire la truppa? C’è una vistosa anomalia da chiarire prima possibile. Posso capire che chi ha già conseguito l’idoneità all’assaggio e faccia parte dell’albo nazionale ci tenga a elevarsi di ruolo e diventare un capo, ma capo di che cosa se i panel di assaggio sono pochi? Bisogna pensare piuttosto a mettere in piedi una formazione continua, in modo che gli assaggiatori già iscritti all’albo siano come tali bravi e preparati per davvero, costantemente in allenamento, senza fermarsi agli oli riconducibili unicamente ad alcune specifiche zone di produzione, come spesso accade. Un assaggiatore deve essere aperto ad assaggi di oli dalla provenienza più disparata, espressione di ogni angolo del mondo e non di una zona ristretta e circoscritta. Di conseguenza, il capo panel deve essere un assaggiatore dalla provata esperienza, possibilmente impegnato quotidianamente a lavorare con gli oli, non un assaggiatore da tempo libero. Il capo panel deve essere realmente un capo, ma non per compiacere ai voleri di qualche politico o amministratore di ente pubblico che lo voglia collocare in qualche struttura apposita per amicizia o, peggio, per soddisfare l’ego smisurato dell’assaggiatore che si sente capo per definizione. Non sempre fila liscio come l’olio, come ben potete immaginare: continuano a esserci capi panel senza panel. Un’assurdità che va presto risolta.

Assaggiatori d'olio d'olivaI condizionamenti dell’assaggiatore

Prendendo in esame gli assaggiatori d’olio tout court, c’è un’anomalia che mi sento in dovere di presentare alla vostra attenzione. Tale anomalia è spesso il frutto, il più delle volte inconsapevole, di certe mode che tendono a privilegiare alcuni profili di oli extra vergini di oliva piuttosto che altri. Scelta che risponde a una propria personale idea di qualità, che non è detto sia da considerarsi come tale oggettiva. Faccio l’esempio del grande successo degli oli siciliani nei concorsi oleari. Sia ben chiaro, la Sicilia vanta profili sensoriali davvero intriganti, con un sentore di pomodoro che seduce, una buona sensazione tattile-chinestetica al palato che cattura l’attenzione anche dei non esperti, ma tutto ciò non può bastare. Ho come la sensazione che si tenda a privilegiare uno specifico profilo sensoriale indipendentemente dalla qualità degli altri profili. Insomma, quando si giudica la straordinarietà di un extra vergine, a farlo preferire non deve essere quel dato sentore piuttosto che altri: il pomodoro, per esempio, anziché il cardo, o la banana anziché la nota floreale. Accade così che si tenda ad accordare una preferenza basandosi più sul proprio gusto personale, o comunque fondandosi su una tendenza di gusto in voga in un dato momento storico, anziché attribuire, come si dovrebbe, la palma di migliore anche a oli eccellenti dal profilo meno appariscente, o meno ruffiano. Pensiamo agli oli dal fruttato leggero: all’interno della categoria dei fruttati leggeri, nei concorsi si afferma soprattutto l’olio più vicino ai fruttati medi. Di conseguenza, a essere penalizzati sono certi oli tradizionalmente leggeri e delicati, come quelli della Riviera Ligure o del Garda, con in più un’altra anomalia che si va registrando ormai da qualche anno a questa parte: dopo varie (e ingiuste, evidenzio io) sconfitte maturate sul campo, sono proprio gli oli che non rispondono più ai profili classici propri di un determinato territorio a vincere i concorsi o a piazzarsi ai primi posti. Un esempio concreto: c’è ormai più di un olio gardesano in circolazione che si impone nei concorsi, proprio perché all’assaggio si percepisce marcatamente più fruttato rispetto a un tempo, decisamente più amaro e piccante come non lo era mai stato.

Assaggiatori d'olio d'olivaQueste nuove versioni di extra vergini muscolari evidentemente seducono, in quanto più caratterizzati sul piano sensoriale. Mi chiedo però se sia giusto stravolgere le peculiarità di un territorio e le caratteristiche delle stesse cultivar autoctone, arrivando a estremizzare fino al parossismo tali oli. Da qualsiasi varietà di olive, anche da quelle tradizionalmente orientate a conferire morbidezza e delicatezza agli oli, si possono ottenere extra vergini amari e piccanti, dai profumi e dai sapori più marcati: è sufficiente anticipare brutalmente la raccolta dei frutti, quando si presentano ancora verdi, non invaiati, e agire sulla tecnologia di estrazione a proprio piacimento, così da condizionarne le evoluzioni aromatiche. Se si intende rispondere a una data tendenza di gusto, si possono ottenere, volontariamente, oli funzionali ai concorsi e ai panel di assaggio che tendono a premiare tali distorsioni: ma a che pro? Ha senso tutto ciò? Il traguardo non dovrebbe essere la qualità intesa in senso oggettivo? Pongo una domanda a voi tutti: è o non è un’anomalia questa? È un po’ quanto accade con i corpi di uomini e donne alla moda, che pur di rispondere a certi dettami vengono fatti smagrire in maniera esasperata, snaturandone l’identità originaria. È forse ciò che vogliamo ottenere anche con gli oli extra vergini di oliva? Non ci basta più la qualità oggettivamene intesa? Vogliamo forse soddisfare le tendenze imposte al momento dal capriccioso di turno, così da costruire una qualità che risponda in pieno alle mode? Ritornando ai corpi magri, gli eccessi, si sa, si pagano. Si pagano a caro prezzo, con modelle che si ammalano fino a morire di anoressia, senza che nessuno ne abbia più notizia. Ci sono purtroppo condizionamenti culturali che tendono far sentire a disagio quanti indossano le taglie forti. Ora, per tornare all’olio: quale prezzo dobbiamo pagare per non fare smarrire le più elementari regole del buon senso?

*La figura del Capo Panel - Il Capo Panel, altrimenti detto Panel leader, è una figura centrale e significativa nella corretta conduzione del gruppo di giudici chiamati a esprimere una valutazione sensoriale degli oli extra vergini di oliva. Il Capo Panel è tenuto a possedere una consolidata professionalità, unitamente a una esperienza pluriennale maturata nel campo dell’assaggio. È direttamente responsabile del Panel, nonché della sua organizzazione e gestione, oltre che della preparazione, codificazione e presentazione dei campioni agli assaggiatori, fino a considerare, non ultimo per importanza, il compendio dei dati, il loro trattamento statistico e la redazione del certificato ufficiale di assaggio. È infine compito del Capo Panel selezionare gli assaggiatori, provvedere al loro addestramento, verificare il loro operato.

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