Birrificio Hibu. Piccoli passi portano lontano

Birrificio Hibu. Piccoli passi portano lontano

Non solo vino
di Maurizio Maestrelli
25 giugno 2015

Partito come homebrewer, poi beerfirm, infine microbirrificio. La storia di Raimondo Cetani e del suo birrificio Hibu di Bernareggio è per molti aspetti simile a quella di tanti suoi colleghi. Con la differenza che lui non teme di schiacciare sull’acceleratore…

Tratto da Viniplus di Lombardia N°8 - Marzo 2015

Birrificio HibuCrescere. Oppure perire. Potrebbe sembrare strano iniziare così un articolo che parla di birra artigianale in un momento dove questo settore sembra godere di uno stato di salute eccellente, con un brulicare di nuove aperture, un valore di mercato in crescita, birrifici che ampliano l'impianto o aprono nuovi locali e una ormai moltitudine di esercizi pubblici che offrono almeno una birra artigianale.

Ma una riflessione s'impone quando si ripassano velocemente alcuni dati: il numero, tra microbirrifici e brewpub, si aggira oggi attorno alle 500 unità; a questa cifra si devono sommare le cosiddette "beerfirm" ovvero società che non possiedono l'impianto e si fanno produrre la loro birra da chi invece l'impianto lo possiede. In circolazione oggi in Italia ci sono qualcosa come migliaia e migliaia di etichette diverse: da quelle note e diffuse praticamente su tutto il territorio nazionale a quelle a distribuzione ultralocalizzata. A fronte di ciò, il consumo pro capite è praticamente fermo suppergiù a quota trenta litri, una delle medie più basse in Europa.

A chi scrive questa appare come una situazione a lungo non sostenibile: per fare un paragone, il Belgio ha un numero decisamente inferiore di produttori e un numero considerevolmente più elevato per quanto riguarda il consumo pro capite. Ergo, ecco la necessità di crescere o perire.

E a dire il vero non sono pochi i birrifici che hanno capito la situazione, lavorando con decisione sul fronte della produzione e della distribuzione. La storia che andiamo a raccontare nelle prossime righe riguarda proprio uno di questi birrifici.

Raimondo Cetani ha 39 anni, una chioma folta e un fisico da lottatore. Appartiene alla nutrita schiera di tecnici informatici convertiti al verbo della birra non pastorizzata (altri sono Beppe Vento del BiDu, Marco Ligas del Birrificio Geco, Valter Loverier di Loverbeer), una schiera che permetterebbe di porsi la domanda su quale misterioso nesso psicologico ci deve essere tra le due professioni. Ma non è questo lo spazio e il momento.

Raimondo inizia come hombrewer. Un impiantino da trenta litri buono per giocare, imparare, dare da bere qualcosa di piacevole agli amici. Ma evidentemente la passione lo morde a fondo perché dal primo impiantino passa rapidamente a un altro da cento litri. E già qui la birra la devi fare buona davvero se vuoi che la beva anche un estraneo. I primi test li fa con i Gruppi di Acquisto Solidale. Le sue birre piacciono e allora decide di provare a fare sul serio.

Team Hibu«Già nel 2007 avevamo fondato la nostra società con il nome Hibu», ci racconta Raimondo. «La H iniziale sta per homebrewer e "ibu" significa "international bitterness unit" ovvero le unità d'amaro presenti nella birra. Fin dall'inizio mi ero innamorato delle birre luppolate...». Il 2010 è comunque l'anno della svolta, Raimondo e soci trovano uno spazio a Bernareggio, provincia di Milano, dove produrre sul serio e acquistano contestualmente un impianto da 500 litri. Che hanno ancora oggi...

«Lo so, dovremmo cambiare e aumentare le capacità», confessa il nostro. «Ma sono soldi e a questa passione professione stiamo sacrificando praticamente la vita. Facciamo un passo dopo l'altro». E un passo dopo l'altro Hibu (www.birrificiohibu.it) cresce. Spremendo come un limone l'impianto parte con appena 200 ettolitri l'anno del debutto ufficiale, già nel 2011 raddoppia pur con una sosta di alcuni mesi causa trasloco, nel 2012 raggiunge i 1200 ettolitri e nel 2014 chiude con 2100 ettolitri. Una galoppata entusiasmante fatta tuttavia a prezzo di orari di lavoro folli e cotte a raffica (circa 400 nel 2013). «Faccio sempre doppia cotta e spesso anche tripla. Per fortuna mi diverto ancora!», sogghigna Raimondo.

Che si diverta non c'è dubbio: le birre prodotte dall'Hibu sono sei tutto l'anno ma, contando le stagionali e le specialità che sforna con generosità, si arriva a circa venticinque birre diverse. Non solo, perché Hibu è stato un birrificio conto terzi quando ancora le beer firm erano un fenomeno controllato se non sparuto. Tanto per non fare nomi, il bergamasco birrificio Via Priula ha, almeno parzialmente, le birre firmate proprio da Raimondo e il suo Hibu. «Abbiamo iniziato a fare birre conto terzi forse per primi in Italia», ci spiega Raimondo, «e ne facciamo ancora oggi anche se stiamo cercando di diminuire questo tipo di lavoro a favore della produzione dei nostri marchi. Il contoterzismo a volte è una necessità, ma ho sempre voluto fare birre per altri solo qualora ci fosse un vero progetto alle spalle. Se mi rendo conto che si tratta solo di un'avventura, se chi ci scrive non ha nemmeno l'idea di cosa sia un business plan, preferisco lasciar perdere». E per scrivere, scrivono. Le mail di richiesta, ma questo non è un fenomeno circostanziato all'Hibu, arrivano a ritmo forsennato. Raimondo e i suoi collaboratori hanno intelligentemente sfruttato l'opportunità, non hanno però ecceduto e oggi possono virare decisamente verso la valorizzazione del loro marchio. Marchio che può contare anche su alcuni locali di riferimento. Non solo quello ufficiale di Concorezzo, Hibu on Tap, ma pure due Impronta Birraia in quel di Milano (in via Tucidide e in via Sciesa).

L'obiettivo è piuttosto semplice da intuire. Oltre a produrre si deve vendere. Ed è più facile costruire dei punti vendita "propri" che organizzare una rete vendita vera e propria. Che poi, di questi tempi, deve andare a competere con una concorrenza fittissima, fatta non solo di altre centinaia di birre artigianali italiane ma anche dell'onda lunga di specialità birrarie straniere che sono arrivate, e continuano ad arrivare, sul mercato. Molto spesso gestite da distributori molto più organizzati e di lungo corso.

Insomma, la storia dell'Hibu ci appare come una di quelle belle da raccontare. Partito in piccolo, si è mosso silenziosamente per prendere l'abbrivio necessario a costruire, passo dopo passo, una crescita solida. Confidando, non c'è niente di male, nella moda del momento che sembra voler dire "basta che sia artigianale", ma sapendo che, presto o tardi, il vento potrebbe girare. O quanto meno soffiare con minor impeto.

Ecco che, dunque, la storia dell'Hibu è anche una lezione. La lezione millenaria dei piccoli passi che sarà pure noiosa quanto volete. Ma che è quella che porta lontano...

 

Le birre da non perdere

Birre Hibu

Mood - Imperial Porter, 7,5% vol.

Poderosa birra scura dalla lunga persistenza e ingannevole dal punto di vista della gradazione alcolica. Nel senso che la prima sensazione dà da pensare a una birra più leggera. Il naso è articolato e intrigante tra note di liquirizia, caffè e cioccolato amaro; molto equilibrata al palato dove le note più amare dettate dai malti tostati si integrano bene con quelle dolci di liquirizia e di prugna.

Entropia - Golden Ale, 4,5% vol.

Se cercate una birra da approcciare senza porvi troppi interrogativi o concentrarvi eccessivamente sul rito della degustazione, questa golden ale è ciò che fa per voi. Colore giallo paglierino, bella schiuma, delicate note erbacee e agrumate al naso, una sottile eleganza, secca e pulita in bocca con un finale gradevolmente amaricante. Da bere e ribere con soddisfazione.

Avanti March! - Saison, 6,5% vol.

Avendo un conclamato debole per le saison si potrebbe sospettare che, non appena ne abbiamo una davanti, ecco che la segnaliamo immediatamente. Vero, ma questa di Raimondo Cetani merita per davvero. Intrigante nella sua speziatura che prevede sambuco, pepe rosa e zenzero (tutti molto ben dosati), secca e dissetante in bocca. L'amaro è delicato e non invasivo, una birra estremamente godibile e originale.

Tony Solo - Sperimentale, 6,5% vol.

Nove mesi di maturazione in botti da Amarone usate lasciano il segno su questa birra originale. Una sperimentazione che poteva risultare un azzardo ma che è stata ben giocata. Dalle botti, non completamente colmate, è saltata fuori una birra leggermente ossidata, dal bouquet molto complesso in cui si alternano note fruttate (prugna, uvetta), un tocco lieve di caramello e sentori di cuoio, mandorla tostata... Non per tutti, ma da provare.