Caratteri ed espressioni dei whisky torbati di Scozia – Prima parte
Non solo vino
di Susi Bonomi
07 giugno 2021
Il mondo dei distillati è vasto e complesso, ma non ha segreti per Fiorenzo Detti, uno dei massimi esperti italiani del settore che, per la rassegna di “Annessi e Connessi”, si è presentato con il suo cavallo di battaglia, il whisky torbato.
I whisky torbati nascono indiscutibilmente in Scozia, ma oggi, nel mondo, sono molti i produttori che, nella loro vasta gamma di prodotti, propongono anche dei whisky “fumosi”, iodati, salati, torbati. La Scozia detiene il primato con 120 distillerie che producono i famosissimi “Single Malt Scotch Whisky”, ma anche Irlanda, India, Giappone, Australia e Tasmania hanno deciso di intraprendere questa strada. E fra queste spicca il Giappone che è riuscito addirittura a ottenere il riconoscimento - dalla famosa World Whisky Bible - di miglior whisky torbato del mondo per il pregiatissimo Yamazaki Single Malt Sherry Cask 2013 di Suntory.
La storia del whisky
Scozia e Irlanda si contendono da sempre sia la paternità del nome whisky (in gaelico Uisge Beatha, letteralmente “acqua della vita”) sia la nascita di questo distillato che si ottiene da un cereale e la cui tecnica di produzione era inizialmente detenuta dai monaci. Certo è che nelle abbazie e nei monasteri era nota da tempo immemorabile l’arte distillatoria appresa, molto probabilmente, nel bacino del Mediterraneo. Nella missione di diffondere la religione, i monaci cominciarono a spostarsi verso il nord Europa diffondendo e divulgando anche le loro innumerevoli conoscenze tecniche, fra le quali anche la distillazione, raggiungendo - presumibilmente - prima l’Irlanda, trovandosi a sud della Scozia.
Come sia veramente andata non lo sapremo mai, ma è fuor di dubbio che oggi è comunque la Scozia a vantare il maggior numero di distillerie che producono una vasta gamma di distillati di malto con sfaccettature molto differenti fra loro.
Il primo scritto in cui si cita un’Aqua Vitae ottenuta in Scozia dall’orzo risale al 1494 e si trova nel registro dei Conti dello Scacchiere scozzese, l’Exchequer Roll, dove si legge che Giacomo IV commissionò otto boll di malto a un certo Frate John Corr della Lindores Abbey (la boll era un'antica misura scozzese equivalente a circa 25 kg). Non essendo più attiva dal 1559, ai giorni nostri non rimane molto di questa abbazia se non qualche rovina, ma accanto al sito originale, il 13 dicembre del 2017, è stata inaugurata la Lindores Abbey Distillery i cui proprietari - Drew ed Helen McKenzie Smith - hanno deciso di mantenere i dettagli tradizionali realizzando tuttavia una distilleria di concezione moderna.
Le bevande alcoliche hanno sempre dovuto combattere contro avversità di ogni ordine e grado. Le sorti del whisky si intrecciarono, a un certo punto, con quelle del Gin nato in Olanda all’Università di Leiden dagli esperimenti del dott. Prof. Franciscus Sylvius che creò, distillando un composto a base di olio di ginepro infuso in alcol, un elisir adatto come digestivo e protettivo dei reni, piacevole al gusto. Ben presto questo rimedio medico ebbe così successo che, durante la Guerra dei Trent’anni (1618-1648), le truppe inglesi usarono e abusarono di tale ritrovato per affrontare le avversità della guerra e farsi forza, tanto che fu denominato “Dutch Courage”, ovvero coraggio olandese. Rientrati in patria, i soldati inglesi portarono con loro tale elisir che ben presto perse i connotati medicamentosi diventando una vera bevanda alcolica, prodotta in loco non sempre con buoni risultati, ma generando, invece, una massa di popolazione povera e alcolizzata.
L’alcol, tra abusi e tasse
Purtroppo, l’abuso di alcol divenne così frequente che, per scoraggiarlo, nel 1644 Carlo I fu costretto a imporre le prime imposte sulle entrate dovute alla produzione di distillati spingendo così anche il Parlamento scozzese a introdurre, a sua volta, una tassa sull'aqua vitae. Tuttavia, ciò non risolse il problema poiché gli esattori erano pochi e le distillerie collocate in luoghi piuttosto remoti, difficili da raggiungere. Solo nel 1707, quando la Scozia perse la sua indipendenza e fu inclusa nella giurisdizione inglese, vennero intensificati i controlli da parte dei funzionari. Tutto ciò proseguì fino ai primi anni dell’800 quando il Parlamento inglese rese legale la distillazione a fronte del pagamento di una tassa di concessione per le produzioni che superavano i 40 galloni l’anno.
A partire dal 1863 l’avvento della fillossera, dapprima in Francia e successivamente in tutta Europa, fu un colpo di fortuna per il whisky e per tutti i distillati alternativi la cui materia prima non prevedeva l’impiego del frutto della vite. Cognac e Armagnac non poterono essere più prodotti a causa della decimazione dei vigneti da parte dell’afide e il mercato del whisky si fece così sempre più importante. Questo periodo florido continuò fino al 1919 quando, a causa del proibizionismo americano, la produzione, l’esportazione e il consumo di bevande alcoliche furono vietati, facendo crollare soprattutto il mercato dei whisky irlandesi, i maggiori fornitori verso gli Stati Uniti, con più di 400 etichette.
Nel 1933, alla riapertura del mercato americano, le distillerie irlandesi sopravvissute erano ridotte a una sola manciata mentre altre, più piccole, si erano consorziate fra loro, ma non avevano più la forza economica per riprendere il loro posto e così ne approfittarono gli scozzesi.
Gli ingredienti del whisky
Ma cos’è il whisky e quali sono i suoi ingredienti? Il whisky o whiskey è un distillato la cui materia prima è un cereale e che, nel lungo processo di produzione, richiede soltanto acqua e lievito. Nelle diverse zone del mondo i cereali che si possono impiegare sono molteplici, ma i whisky “fumosi” possono essere prodotti solo con orzo.
In Scozia il 40% dell’orzo utilizzato è locale, il 30% proviene dall’Inghilterra mentre il resto da Germania, Canada e Australia. Della ventina di varietà conosciute si impiega soprattutto il distico, a semina primaverile e dal ciclo biologico breve, dalla grande forza germinativa e carica enzimatica. Queste sono le caratteristiche più importanti se la coltivazione avviene in luoghi in cui le stagioni sono brevi e le estati non molto calde, come in Scozia e in Irlanda. Dopo il raccolto si passa alla maltazione per trasformare i polisaccaridi - gli amidi insolubili contenuti nel chicco - in zuccheri solubili fermentescibili.
Fino agli anni ‘60 del secolo scorso, ogni distilleria era dotata di una propria sala di maltazione sul cui pavimento (malting floor) l’orzo, precedentemente immerso in acqua e poi sgrondato, veniva deposto in uno strato di 30-40 cm per la germinazione. Il processo durava dagli 8 ai 15 giorni, era gestito manualmente e consisteva nel rimescolare continuamente il cereale per impedire la formazione di muffe, ossigenare la massa e smaltire il calore prodotto dalla trasformazione dell’amido in malto. Oggi tutto questo avviene nei malting drum, cilindri girevoli dove all’interno si depone il cereale bagnato che permane fino a germinazione completa. Il chicco d’orzo inumidito emette una radichetta mentre al suo interno si sviluppa un germoglio che, secondo natura, darà origine a una piantina. Per impedire che ciò avvenga si deve bloccarne la crescita mediante essiccazione nel preciso momento in cui la radichetta raggiunge all’incirca la dimensione del chicco, indice del fatto che la trasformazione dell’amido è completa.
Un tempo l’essiccazione avveniva in forni riconoscibili per i tetti a pagoda che caratterizzano ancora un certo numero di distillerie storiche. I pavimenti dei forni erano forellati per permettere al calore di circolare, alimentati solo con torba, l’unico fossile a costo zero disponibile, particolarmente compatto e dal buon potere calorifico. Raccolta a mano nelle torbiere scozzesi, in primavera-inizio estate, lasciata asciugare al sole in blocchi prima di poterla utilizzare, la torba è bruciata per essiccare il cereale che si impregna di fumo acre conferendo ai whisky che ne derivano la caratteristica nota fumosa.
La torbatura e le note fumose
A seguito della combustione della torba si formano dei polifenoli, composti volatili che si uniscono a quelli del malto e che conferiscono ai whisky torbati i caratteristici sentori. Il profilo aromatico ottenuto e le note empireumatiche che si sviluppano sono comunque diversi a seconda del luogo in cui la torbiera è situata. La torba raccolta nell’entroterra genera sentori completamente differenti da quella delle isole dove l’acqua del mare, le alghe, i pesci hanno agito nei secoli. Così, fra i diversi aromi fenolici(torbati) conferiti dalla torba possiamo avere note medicinali (iodio, alga marina, salmastro), affumicate (fumo di torba, carbonella, falò, incenso, tabacco da pipa, sigaro), di pesce affumicato (acciuga, aringa, crostaceo, conchiglia e salmone affumicato) o di muschio (betulla, terra, torbiera, canapa).
L’intensità della nota fumosa di un whisky dipende dal tempo di permanenza del malto nel forno alimentato da torba e alla quantità di polifenoli trasmessi da questa al malto misurati in ppm (parti per milione). Da questi scaturisce una classificazione dei whisky: quelli molto torbati derivano da malti con oltre 50 ppm, i torbati da 30 a 50 ppm, i mediamente torbati da 15 a 30 ppm e quelli poco torbati meno di 15 ppm. Un malto definito non torbato contiene comunque da 0,5 a 3 ppm di polifenoli che si formano durante l’essiccazione del malto dovuta all’aria calda.
Il numero di distillerie che ancora maltano in casa il cereale si è ridotto moltissimo e oggi la stragrande maggioranza compra direttamente l’orzo maltato dalle malterie con il grado di torbatura voluto in funzione del tipo di whisky che si desidera produrre.
Il gusto dei consumatori nel tempo si è evoluto e pertanto in Scozia si sono indirizzati verso la produzione di whisky non “fumosi” usando, al posto della torba, fonti di calore alternative come gas naturale. Così, mentre un tempo i whisky scozzesi erano tutti torbati, talvolta al limite della bevibilità, oggi ogni distilleria è in grado di offrire una vasta gamma di prodotti, considerato anche il fatto che il mercato dei whisky torbati, ormai destinato a un pubblico di soli intenditori ma sempre più esigente, copre meno del 2% dell’intero comparto.
Dalla maltazione alla distillazione
Ottenuto il malto essiccato e ripulito da tutte le radichette, questo va macinato grossolanamente nei malt mill (mulini per il malto) e poi immerso in acqua calda in vasche chiamate mash tun. Durante questo processo gli zuccheri presenti nel malto si dissolvono in acqua - aggiunta e prelevata per tre volte - aumentandone man mano la temperatura, dai 65 °C sino a un massimo di 85 °C, per poter estrarre la maggior parte degli zuccheri presenti nel malto. Dopo tale infusione si filtra il liquido (mosto) separandolo dalle trebbie e lo si raffredda in uno scambiatore di calore che lo porta a una temperatura tra gli 8 e i 20 °C per la successiva fermentazione.
Riversato il mosto in contenitori cilindrici tozzi di legno, washback, sostituiti dall’acciaio solo in pochi casi, viene aggiunto del lievito selezionato ottenendo mosto fermentato, wash o beer, contenente dal 6 all’8 % vol di alcol. A questo punto si procede con la distillazione discontinua, in alambicchi di rame, riscaldando il liquido mediante vapore. Una prima distillazione (della durata di circa 5 h per un wash di 10000 litri) consente di eliminare i volatili ottenendo un low wine con una gradazione alcolica del 26-28% vol. Si ricorre successivamente a una seconda distillazione, con tempistiche diverse per le varie sezioni: per le teste 45 min, per il cuore 3h e 30 min e per le code circa 2 h. Eliminando teste e code si ottiene il new make spirit, con una gradazione di circa il 68-70% poiché per legge, nella distillazione discontinua, la gradazione alcolica non può superare il 72%.
Ogni alambicco produce il proprio whisky e anche in una stessa distilleria gli alambicchi sono tutti diversi fra loro: è proprio questo il segreto che caratterizza il prodotto finale e determina lo stile. Curioso è il fatto che, quando si deve sostituire un alambicco, su quello nuovo che ne prenderà il posto verranno riprodotte esattamente le stesse ammaccature di quello vecchio, ritenendo in questo modo di mantenere nel whisky l’identico profilo aromatico.
Il nuovo distillato, a cui viene aggiunta eventualmente dell’acqua, è maturato in botti di rovere, precedentemente utilizzate per l’invecchiamento del Bourbon americano o dello Sherry spagnolo. Qui sosta per almeno tre anni affinché possa assumere la denominazione di “Single Malt Scotch Whisky”.