Fuori l'olio dalle ampolle, preservando la qualità

Fuori l'olio dalle ampolle, preservando la qualità

Non solo vino
di Luigi Caricato
27 febbraio 2008

Chi decide di farlo può anche guadagnarci . I condimenti devono essere presentati e conservati nel miglior modo possibile. Difendere le ampolle è solo un segno di forte arretramento culturale e civile

L’olio nelle ampolle al ristorante. E’ una storia molto complessa e delicata da affrontare, pur nella sua semplicità e immediatezza. La questione è banalissima: nelle classiche oliere, quelle che dominavano incontrastate soprattutto negli anni passati le tavole di molti pubblici esercizi, anche la buona qualità di un olio è di fatto compromessa. Qualsiasi olio venga infatti inserito, mediocre o di pregio che sia, è destinato inevitabilmente a peggiorare la propria natura compositiva, complice in particolare l’azione nefasta di luce, calore e aria. E’ un fatto elementare, eppure difficile da far percepire ai tanti ristoratori. Infatti c’è una forma di resistenza che non trova giustificazioni razionali.
Per questo, per l’ennesima volta, mi accingo a spiegarne i motivi. E parto da un ricordo lontano, da quando ancora fanciullo, lamentandomi della sensazione cattiva di rancido di un olio, nessuno mi dava retta, sia per la mia giovanissima età, poco meno di dieci anni, sia per il fatto che, trovandomi in una terra olivicola altamente vocata, qual è il Salento, tutti pensavano di capirne qualcosa.
Da parte mia avevo il vantaggio di beneficiare dell’esperienza di mio nonno, un assaggiatore d’olio ante litteram, che mi aveva fatto capire le differenze olfattive e gustative di ciascun olio che capitasse sotto il naso. Per me era come un gioco, ma i miei disappunti mossi all’indirizzo dei ristoratori venivano percepiti con fastidio, come se insultassi la loro professionalità. Invece era un fatto certo e indiscutibile, che quegli oli erano difettati. Per un motivo molto semplice: l’olio è destinato inevitabilmente a ossidarsi, anche il più buono e strutturato degli oli, il più ricco in antiossidanti naturali e dalla bassa acidità libera. Figuriamoci dunque il declino organolettico di quelli che cattivi lo sono già in partenza! Ecco, a distanza di trent’anni e passa, da allora è cambiato ben poco: le oliere resistono impavide, il pregiudizio rimane. Non capisco, mi sforzo in qualche modo, ma non riesco comunque a capire. Si è certamente più attenti e sensibili verso la qualità della materia prima, si è altrettanto consapevoli che in cucina la bravura di uno chef non possa bastare da sola, ma non comprendiamo tuttavia un concetto alquanto elementare: anche i condimenti devono essere buoni.
Non solo: devono essere conservati e presentati nel miglior modo possibile. Nel frattempo, avendo acquisito negli anni una conoscenza altamente specialistica – al punto da inventare perfino la professione dell’oleologo, coniandone il nome – mi preme ora ritornare sull’argomento, e, rispetto a quando ero ragazzino, oggi mi avvalgo evidentemente di una serie di dati scientifici inappuntabili. Così, di fronte a dati oggettivi, non diventa più una questione tra le tante, quindi opinabile, sulla quale poter discutere. Resta pertanto un dato di fatto: nelle ampolle, in vetro chiaro e spesso senza nemmeno una chiusura, continuamente rabboccate, l’olio perde le sue caratteristiche.
Fin qui sembra che non si debba aggiungere altro, invece occorre rilevare una certa resistenza da parte di taluni ristoratori, e perfino dei rappresentanti di alcune organizzazioni di categoria. Ciò che non è piaciuto ai più, è che ora vi sia una norma che imponga l’eliminazione delle oliere. Il primo marzo del 2006, infatti, il Senato della Repubblica italiana ha approvato e convertito in legge il decreto del 10 gennaio dello stesso anno. Un risultato importante, sul piano formale, con sanzioni pesanti, da mille a tre mila euro, per quanti non si adegueranno alla direttiva.
E’ evidente che una simile norma scuota i già fragili equilibri, tant’è che si è assistito
a una corsa alle interpretazioni, pur di impedirne l’applicazione. D’altra parte, quando intorno a un argomento serio si intromette la politica, tutto viene a perdere di significato, rispetto allo spirito originario. Vengo così alla pura cronaca: l’iniziativa di una proposta di legge in tal senso parte dal settimanale “Teatro Naturale”, da me diretto, a fini propositivi, con un testo semplice, destinato unicamente a favorire un passaggio culturale e non invece a punire i trasgressori.
Nel testo da me formulato, in particolare, si faceva riferimento all’olio extra vergine di oliva, vietando di conseguenza la sua somministrazione in ampolle o in altri contenitori non etichettati secondo la normativa vigente. E cosa accade, invece? Succede che la senatrice Loredana De Petris, dei Verdi, si appropria dell’iniziativa, mutandone però la sostanza: infatti nel testo divenuto legge si fa riferimento non più agli extra vergini, ma, genericamente, all’olio di oliva. Grave errore, questo ed altri, dettato da purtroppo da sprovvedutezza.
Da qui, purtroppo, un rincorrersi di circolari pro e contro. A sostenere la legge il Ministero delle Politiche agricole, che è costretto a intervenire il 9 giugno 2006, specificando che la norma sia a esclusiva tutela del consumatore. In controtendenza il Ministero delle Attività produttive, che, sollecitato da Confesercenti, con un documento del 14 novembre 2006 ha tentato di trovare scappatoie. Risultato: tanta confusione, anche se per fortuna qualcosa sembra stia cambiando, seppure lentamente.
Ciò che più amareggia, è la posizione contro espressa dalla Fipe, la Federazione dei pubblici esercizi. Ma, la verità è che difendere le ampolle è solo un segno di forte
arretramento culturale e civile. Non è una questione secondaria: per mantenere integre
le proprietà nutrizionali e salutistiche di un extra vergine, oltre che la qualità
organolettica, è necessario preservarlo, presentandolo in bottigliette chiuse. Non c’è più da discutere. Intanto, nel gennaio 2007 i funzionari dell'Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari, l’ex Ispettorato repressione frodi, hanno ispezionato, nell'ambito di ciascuna regione italiana, 319 ristoranti nei principali centri urbani, 57 dei quali – corrispondente al 18% del totale – hanno continuato, nonostante le imposizioni della norma, a presentare alla propria clientela l’olio, sfuso, in ampolle anonime. Da parte mia, sono espressamente contrario alla repressione. L’unica risposta possibile è adeguarsi all’esigenza di eliminare le oliere, ma non perché lo dice la legge, semplicemente perché lo richiede l’intelligenza e il buon senso. I ristoratori potrebbero addirittura guadagnarci, promuovendo l’olio extra vergine di oliva di qualità proveniente dalle differenti aree produttive, proponendolo ai proprio clienti in bottiglie mignon da 100 ml o in altre soluzioni monodose. Si tratta solo di crederci.

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