Il Vermouth di Torino: quando "fare sistema" non è solo uno slogan

Il Vermouth di Torino: quando

Non solo vino
di Alessandro Franceschini
23 giugno 2021

Nel 2017 l'arrivo della indicazione geografica, due anni dopo la nascita del Consorzio con 23 aziende storiche, piccole e grandi, insieme con un unico obiettivo: difendere l'unicità dello storico aperitivo torinese

New Orleans, 2014. Durante un importante seminario al quale sono presenti barman e produttori di distillati e liquori provenienti da un po’ tutto il mondo, un esponente statunitense mette in discussione il fatto che nel Vermouth sia così necessaria la presenza dell’artemisia, ovvero l’assenzio, per la sua produzione. Segue un momento di imbarazzo sul palco. In fondo alla sala è seduto un produttore italiano che qualcosa di questo nobile vino aromatizzato dovrebbe saperne e, tirato per la giacchetta, prende la parola. “Cosa ne pensereste di un limoncello senza limone?”. Applausi in sala. 

Tornati a casa abbiamo convenuto che le vacche stavano scappando dalle stalle e dovevamo fare qualcosa”. Per capire perché in Italia esista il primo e unico Consorzio dedicato ad un vino aromatizzato, bisogna partire da questo aneddoto che recentemente Roberto Bava, patron della Cocchi e primo e attuale presidente del Consorzio del Vermouth di Torino, ha raccontato durante un incontro milanese – è lui ad essere intervenuto nella sala a New Orleans – per far conoscere un po’ meglio questo prodotto dalle antiche origini e che rappresenta un vera e propria eccellenza della liquoristica italiana.

Roberto Bava e Pierstefano Berta

L’importanza di fare sistema

In un Paese dove il monito di “fare sistema” rimane spesso solo sulla carta, essere riusciti a creare un Consorzio che unisce grandi e piccoli non è qualcosa di così scontato e comune. “È una bella storia” come ha sottolineato ancora Bava, poiché si sono in effetti unite realtà multinazionali e micro produttori con l'obiettivo di far conoscere un prodotto che per qualità e complessità organolettiche ha svariate frecce al suo arco da proporre al mercato. La prima legge sul Vermouth di Torino con relativo disciplinare di produzione e nascita della indicazione geografica è del 2017, nel 2019 nasce invece il Consorzio con i primi 14 soci, oggi diventati 23.

A 300 anni dalla sua nascita nel XVIII secolo, oggi il Vermouth di Torino viene praticamente esportato in tutto il mondo e, fino al 2019, è stato prodotto in circa 4,5 milioni di litri. Tanto? Non se confrontato con il Vermouth e basta, un prodotto completamente diverso da quello di Torino. Nel 2020 la riduzione della produzione a causa della pandemia è stata (solo) del 17%: numeri sopportabili, considerando che questo prodotto vive nel mondo dei miscelati, quindi nell’Horeca, un settore che come è noto è stato tra quelli più penalizzati dalle restrizioni della pandemia. 

Come giudicarlo

Il Vermouth non è vino” ha ammonito più volte Bava durante la degustazione alla cieca di alcuni dei 53 campioni presenti durante l’evento. Non è una banalità, quanto un’avvertenza soprattutto per i sommelier. Al di là del fatto che l’enfasi sul vino di partenza non deve essere accentuata, è in realtà il mix di erbe e spezie a caratterizzare un prodotto davvero complesso dal punto di vista olfattivo, figlio di ricette pressoché sempre segrete. A questo bisogna aggiungere che, anche se un semplice bicchiere di Vermouth unito a della tonica, una scorzetta di limone e abbondante ghiaccio, dia notevoli soddisfazioni, è nei cocktails che questo prodotto trova il suo compimento. Il giudizio finale, quindi, non può prescindere da questo fattore.
Il futuro? “Bisogna rieducare il consumatore”. C’è Vermouth e Vermouth, e quello di Torino è differente. “Noi siamo un po’ come il Parmigiano Reggiano del Vermouth” ha concluso Bava.

Gli ingredienti del Vermouth di Torino

Un vino base bianco o rosso al quale vengono aggiunti estratti di erbe aromatiche, spezie, fiori, semi, radici e cortecce, ottenuti mettendo in infusione questi ingredienti in una soluzione idroalcolica per 15-20 giorni. L’ingrediente principe? Ovviamente sono le piante che appartengono al genere Artemisia ed in particolare delle specie A.absinthium e A.pontica, coltivate e prodotte in Piemonte. Anzi, per la precisione soprattutto nella piana di Moncalieri, tanto che si è ormai creata una sorta di filiera nella produzione di questo prodotto. La dolcificazione può essere data dallo zucchero, dal mosto d’uva, dallo zucchero caramellato o anche dal miele. Il colore ambrato, invece, si ottiene esclusivamente dall’aggiunta del caramello. 

La classificazione

In commercio possiamo trovare il Vermouth di Torino classificato in base al colore (Bianco, Ambrato, Rosato o Rosso) e alla quantità di zucchero (Extra Secco, Extra Dry, Secco o Dry e Dolce). C’è anche la tipologia Superiore che in questo caso aumenta il titolo alcolometrico almeno a 17% vol. e lega ancora di più il prodotto al territorio di origine, obbligando l’utilizzo di vini piemontesi per almeno il 50% nonché l’aromatizzazione con erbe, diverse dall’assenzio, coltivate o raccolte esclusivamente in Piemonte.