L'assalto dell'Unione Europea all'olio d'oliva

L'assalto dell'Unione Europea all'olio d'oliva

Non solo vino
di Luigi Caricato
02 ottobre 2008

Presto il via libera alle miscele tra oli di oliva e di seme, ipotesi fino ad oggi illegale ma che si tramuterà in legge comunitaria. Il tutto nel silenzio generale, con conseguenze rovinose e terribili per gli olivicoltori. Ci si sveglierà a conti fatti, con il senno di poi...

Che strano Paese l’Italia. Sembra che tutti siano impegnati a combattere battaglie nobili, ma poi, stringi stringi, tra le mani non resta che un pugno di mosche.

La mia posizione sulla presunta vittoria dell’indicazione obbligatoria del made in Italy da apporre sulle etichette dell’olio extra vergine di oliva l’ho esposta molto chiaramente su “L’Arcante”. Posso solo aggiungere che, come prevedevo, si sta rivelando un potente boomerang ai danni degli olivicoltori. Lo scrivo senza alcun intento polemico, al solo scopo di dire “io l’avevo detto”, tutto qui; anche perché non posso certo ignorare, né sorvolare il

problema. Peccato che Coldiretti e Slow Food, animatori della battaglia, non se ne rendano conto. La debolezza delle posizioni sostenute dai due gruppi di potere evidenziano un difetto di prospettiva. In ogni caso, sul tema in questione non avrei altro da aggiungere. Difendere e tutelare l’origine, sia ben chiaro, è in sé cosa buona e giusta, ma nelle modalità puramente opportunistiche con cui si è giunti all’emanazione del decreto che ne ha consacrato l’intenzione, si sta purtroppo rivelando, nei fatti, un risultato senza dubbio improduttivo, ma forse anche controproducente.

C’è solo tanta burocrazia che si aggiunge a quella che già si sobbarcano a fatica quei

soggetti deboli che sono gli olivicoltori. Ora i costi di produzione lieviteranno paurosamente, rendendo ancor meno concorrenziali gli oli italiani rispetto a quelli degli altri Paesi produttori. Con danni, tra l’altro, che si ripercuoteranno in maniera nefasta perfino negli anni a venire. Di questo però ne scriveremo solo più avanti, quando si tratterà di leccarsi le ferite, sperando possibilmente che non siano inguaribili. Intanto vi aggiorno su ciò che sta accadendo.

Dopo la cessione dei marchi Olio Sasso e Carapelli, abbiamo oramai rinunciato anche all’opportunità di riprenderci brand come Bertolli e Dante. Ora, infatti, è tutto nelle mani spagnole della famiglia Salazar. Il mercato degli oli prodotti in Italia, di conseguenza, è ormai praticamente controllato solo dagli iberici. Non potendo più dettare i prezzi, come avveniva un tempo, il declino, o comunque il ridimensionamento del comparto olivicolo nostrano, sarà inarrestabile. Coldiretti e Slow Food non se ne sono accorti e continuano anzi ad affrontare la questione olio di oliva come se giocassero a dadi. Quel che viene viene. In realtà c’è poco da giocare e divertirsi. Il 12 luglio è entrato in vigore il regolamento Ce 640/2008, ad opera della Commissione europea, che modifica il precedente regolamento 2568/91, relativo alle caratteristiche degli oli d’oliva e di sansa e ai relativi metodi di analisi. Non entro qui nel dettaglio, perché sarebbe piuttosto complicato e lungo in poche battute, ma rimando a un’analisi successiva e ben dettagliata.

Nessun solone, tuttavia, si è mosso nel denunciare le capziose scelte politiche dell’Unione europea sull’olio di oliva. Come al solito, i soloni nostrani intervengono sempre in ritardo, quando non c’è più nulla da fare. Forse perché incompetenti? O è piuttosto per ignavia? O per altre ragioni ancora, a noi segrete, e perciò a voi tutti sconosciute?

Un fatto però è certo: la Commissione europea sta legiferando in maniera eccessiva e perversa su questioni secondarie, trascurando invece argomenti più urgenti e significativi, come ad esempio la possibilità di riportare in etichetta le menzioni salutistiche, quelle che, per contro, negli Stati Uniti la Food and Drug Administration ha già reso possibile a beneficio degli oli di oliva tutti. Guardando al futuro, con i venti che girano nell’Ue, la situazione che si prospetta non è tra le più serene. Un tema spinosissimo riguarda in particolare le miscele di oli vegetali (o di un singolo e specifico olio vegetale) con gli oli di oliva. Nella bozza di regolamento comunitario si legge che “la presenza dell’olio d’oliva può essere indicata nell’etichetta delle miscele (...) attraverso immagini o simboli grafici unicamente se la percentuale di olio d’oliva è superiore al 50 %”. Una bella storia, quella delle percentuali. Qualcuno, almeno, avrebbe potuto scomodarsi, in quel di Bruxelles, per tentare di risolvere una nostra perplessità che non è certo trascurabile. Quella cioè di spiegare come sia possibile una verifica concreta, sul piano analitico, della reale percentuale di olio di oliva all’interno di una miscela di oli di semi e oliva.

Sulla questione miscele, la posizione dell’Italia è stata di forte contrarietà. Ciò è evidente quanto scontato, non poteva essere diversamente; tuttavia, al momento non si è ancora registrato un chiaro ed esplicito atteggiamento volto a contrastare il verificarsi di tale ipotesi. E non è purtroppo un’ipotesi tra le tante, visto che diventerà ben presto reale. Con quale esito, lo si può ben immaginare. L’Italia, assente nel farsi delle cose, non può più barattare nulla in proposito. Colpa di chi ci rappresenta, di chi si lascia scorrere tutto addosso senza mai intervenire tempestivamente al momento opportuno.

La nostra presenza a Bruxelles è puro fumo negli occhi, visto che non si riesce mai a

raccogliere risultati a favore del comparto olio di oliva. Si subisce e basta, e quando si decide di muovere una dura battaglia di opposizione, come quella sull’obbligatorietà

dell’indicazione dell’origine in etichetta, questa assume solo i contorni di una battaglia inutile ai fini pratici, buona solo per illudere la gente. E’ sulle questioni più gravi e delicate che caliamo puntualmente le brache. La concreta possibilità di produrre e commercializzare le miscele di oli seme con oli di oliva avrà conseguenze terribili ma nessuno reagisce a dovere.

Si interverrà, certo che si interverrà, ma solo a cose fatte, giusto per fare scena.

Intanto, però, nella bozza di regolamento appena emessa dalla Commissione, si legge

che gli Stati membri potranno sì proibire, nell’ambito del proprio territorio, la produzione di miscele per il consumo interno, ma non per questo la commercializzazione, come pure le azioni di marketing, e dunque di pubblicità e promozione. Non solo: uno Stato non può nemmeno proibire la produzione, sul proprio territorio, di miscele destinate alla commercializzazione in altri Paesi membri, o comunque da destinare all’export verso Paesi terzi. Questo, in estrema sintesi, ciò che accadrà nell’assenza di una visione strategica dell’Italia. Le battaglie puerili, come lo è appunto quella per l’origine obbligatoria in etichetta, restano aria fritta.

Scrivo “puerili” non a caso, nel senso di ingenue e perfino ridicole. Come fanno infatti a non accorgersi che le Dop non decollano? Non si rendono conto del fallimento, oltre che delle denominazioni di origine, anche della formula facoltativa del “100% italiano”? Ci sarebbe altro da fare.Povera gente, dunque, senza alcun contatto con la realtà. Gli oli “100% italiano” pesano sullo scaffale per il solo 6,8% del totale degli oli extra vergini di oliva venduti; quelli a marchio Dop, o Igp, incidono ancora meno, attestandosi sull’1,9%, secondo dati Iri-Ifoscan. E qualcuno, invece, continua a perdere tempo sull’origine obbligatoria in etichetta. Pazzesco. Vi sembra tutto ciò plausibile, quando per contro sul fronte degli oli di oliva l’Ue sta legiferando in maniera terrificante, tranne in alcune felici eccezioni? L’Italia, imperterrita, con i suoi personaggi di punta, tra politici di ogni appartenenza e rappresentanti dell’associazionismo, sta latitando in modo indegno. Ecco, dunque, cosa capiterà all’insaputa di tutti. Capiterà che qualcuno, trasformandosi in mago della comunicazione e del marketing, potendo investire grosse somme in una campagna di promozione e di lancio di prodotto, farà diventare prodotto cult ciò che fino ad oggi è, per un qualsiasi carabiniere dei Nas, solo una mistura illegale da sequestrare. Si procederà magari senza specificare la natura dell’olio, se di mais, girasole, vinacciolo o, peggio, di soia, di palma o semi vari. Le percentuali di olio da seme saranno segrete, così da affascinare e sedurre il consumatore, vendendogli la storiella della formula segreta, così che tutti di conseguenza diranno, beati e appagati, “oh, che magia di olio, oh che toccasana!”. E’ questione di marketing. Inventare qualcosa di avvincente in fondo è facile. E’ solo una questione di investimenti. La pubblicità può tutto. Il resto lo si può facilmente immaginare. Si arriverà a un successo di vendite straordinario per le miscele, e si dirà, con il beneplacito di qualche luminare della scienza sensibile al denaro, che effettivamente quella miscela di oli, sì, fa proprio bene alla salute, anzi, apporta pure una sensazione di grande benessere interiore. E così sia, dunque, nel silenzio composto di Coldiretti e Slow Food, impegnate a sostenere con soddisfatto orgoglio qualcosa di serio, ovvero il logoro refrain del made in Italy.

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