L'Italia dell'olio è ancora al centro del mondo?

L'Italia dell'olio è ancora al centro del mondo?

Non solo vino
di Luigi Caricato
12 maggio 2008

Forse che sì, forse che no: sorge qualche dubbio. In un singolare esperimento di “orientamento di gusto“ il 36% dei presenti ha preferito l’olio tunisino a quello italiano (25%)...

Siamo un popolo incorreggibile e, nel medesimo tempo, incomprensibile, folle, disgraziato, e a volte pure afflitto da strane tendenze rovinosamente masochistiche. Mi spiego meglio, con alcuni esempi che non lasciano spazio a dubbi. Esempi emblematici, utili a far comprendere lo stato della realtà e a far capire molte incongruenze. Ne evidenzio qui solo due, le prime che mi vengono in mente, tra le più recenti. Si prenda il caso del settimanale “L’Espresso”. Ricordate lo strillo di copertina, “Velenitaly”? Uno scandalo amplificato oltre misura pur di fare colpo sull’opinione pubblica. Di frodi e sofisticazioni alimentari, lo sappiamo bene, ne è pieno il mondo, e nessun Paese ne resta fuori. Ve lo garantisco. C’è un mondo criminale e senza scrupoli che punta al solo profitto attraverso l’inganno, ma non c’è da stupirsi. C’è pure chi fronteggia abilmente il fenomeno, seppure la lentezza della giustizia, oltre a una certa tendenza a lasciare impuniti i colpevoli, non faciliti di fatto la soluzione del problema. Ma questo è un altro aspetto della realtà. Ciò che qui mi preme evidenziare, è l’insensatezza di certo giornalismo con l’ansia da prestazione. Non si può accettare infatti una certa stampa alla continua ricerca di scandali a ripetizione, capace di suscitare uno stato di crisi generale pur di fare clamore e senza manco curarsi di discernere tra buono e cattivo. E così, non soltanto il vino, anche l’olio extra vergine di oliva, altro prodotto simbolo del made in Italy, altro prodotto vittima di ripetute sofisticazioni e frodi, si è a sua volta trasformato in ghiotta occasione di sciacallaggio giornalistico, con danni incalcolabili non solo all’immagine, ma alla stessa economia delle aziende.

Il tutto senza ovviamente che certi giornalisti facili al sensazionalismo si preoccupino di verificare dapprima l’attendibilità di certe inchieste della magistratura e, in seguito, la reale portata e consistenza degli sviluppi di tali indagini. Insomma, una certa attitudine a gridare allo scandalo nasconde una non bene esplicitata voglia di masochismo del tutto irrazionale e ingiustificata. E’ forse l’effetto di un Paese alla deriva che ha perso il senso della misura. E’, in fondo, lo stesso Paese che ipocritamente tace invece altre notizie, perché magari le ha ritenute poco opportune. E’ il caso di quanto per esempio è emerso a Trieste, in occasione della seconda edizione di “Olio Capitale”. In marzo io stesso

ho voluto organizzare i cosiddetti “orientamenti del gusto”, in seno alla manifestazione, un modo per valutare e capire le preferenze di un campione variegato di consumatori intorno ad alcuni campioni di oli provenienti da quattro differenti Paesi produttori, ed

esattamente da Italia, Grecia, Spagna e Tunisia. Il risultato ch’è emerso nel corso dell’assaggio, rigorosamente alla cieca, ha sorpreso un po’ tutti. Il pubblico convenuto liberamente agli “orientamenti del gusto” ha infatti preferito l’olio tunisino (il 36% delle

persone), quindi, a seguire, l’olio italiano (25%), il greco (20%) e, in ultimo, lo spagnolo (19%). Tale notizia aveva un grande valore in se stessa, perché faceva comprendere come non sempre le preferenze espresse a parole coincidano con la realtà dei fatti. L’olio italiano è stato quello che la maggioranza quasi assoluta ha detto di preferire al momento dell’acquisto, ma, in seguito a un assaggio con campioni anonimizzati, il consumatore alla fine ha scelto senza restare suggestionato dalla provenienza del prodotto. Sì, perché, posto di fronte a campioni di oli extra vergini di oliva dalla qualità omogenea, la scelta è caduta su un criterio basato sul puro gusto personale. Se si fossero rivelati ai consumatori che hanno partecipato all’esperimento (in un momento

successivo all’assaggio, s’intende) i prezzi (ma non la provenienza) dei quattro oli, sono certo che il prodotto italiano sarebbe stato di fatto escluso per via del suo prezzo più elevato.

Molto bene. Chiarito questo episodio – un esempio davvero significativo, direi – vi svelo il retroscena. La notizia è stata diffusa a tutti i media, a un indirizzario piuttosto esteso, di oltre ottocento indirizzi. Lo si è fatto con particolare cura, iniziando dalle agenzie stampa, le più importanti, Ansa in testa, ma senza sortire alcun effetto. Indagando sul perché sia stata ignorata la notizia, tranne che sulle riviste specializzate (poche, in verità), si è scoperto – attraverso alcuni contatti diretti, e quasi non sembra vero – che il “far sapere che l’olio italiano non sia stato preferito dai consumatori, non avrebbe in alcun modo giovato all’immagine del nostro Paese. Meglio sorvolare”. Già, è questo il livello cui è giunta l’Italia! Far conoscere e divulgare un dato molto importante, utile per valutare lo stato di percezione del consumatore, non va bene, quindi lo si censura, giusto per non far fare brutta figura al Paese, salvo poi assistere per contro ad azioni di sbrigativo sensazionalismo, quando si tratta invece di diffondere notizie in tutta fretta, senza i necessari margini di prudenza, dando così una immagine davvero negativa, distorta e nefasta per il Paese. Ma tant’è. Questa è l’Italia, purtroppo. C’è una superficialità spaventosa, oltre che una mancanza di senso della misura che lascia quanto meno interdetti. Eppure non si tratta di censurare le notizie di sequestri di oli, vini e cibi contraffatti o, peggio, adulterati, ma di usare quella necessaria prudenza prima di gridare allo scandalo. Così, per concludere, vorrei invitare tutte le persone sagge e giudiziose a non fermarsi alla superficie delle cose, ma di prendere per esempio in seria considerazione gli esiti degli “orientamenti del gusto”. I risultati di Trieste ci offrono infatti l’occasione per capire quanto sia davvero necessario prendere le adeguate contromisure di fronte a una realtà che un po’ spiazza e lascia perplessi. Non di solo immagine vive l’uomo, ed è per questo che occorre continuare a lavorare sodo, come si faceva un tempo con più umiltà, negli anni gloriosi dei grandi marchi (oggi quasi tutti di proprietà straniera),

per non perdere il ruolo di “primi della classe” sul fronte degli oli di oliva di alta qualità. I primati non durano in eterno.

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