La cucina molecolare: scienza o magia?

La cucina molecolare: scienza o magia?

Non solo vino
di Mimo Caio Pascoli
22 gennaio 2009

Per la rubrica dell'Arcante "In cucina con lo chef", Mimo Caio Pascoli, chef e patron del Ristorante Pascoli di Cusago (MI), si concentra questa volta sull'affascinante e controverso mondo della cucina molecolare.

La cucina molecolare possiede l’incredibile capacità di riuscire a far discutere, operatori di settore o critici, semplici appassionati piuttosto che presunti esperti. Perché? In fondo non c’è alcun arcano. La spettacolarizzazione dei contenuti, l’essere di tendenza, di avanguardia direbbero alcuni, il suo potere di grande fascinazione soprattutto sulle giovani generazioni di cuochi che si apprestano ad entrare nel dorato mondo delle recensioni, possibilmente stellate, sono aspetti che non possono non colpire, incuriosire e quindi, far dibattere. Siamo realmente di fronte ad una nuova frontiera della cucina italiana? Non è semplice rispondere, né questo mio intervento vuole, o può, essere esaustivo. Partiamo, però, dalle basi. La cucina molecolare ambisce ad essere una scienza che si occupa dello studio della cosiddetta struttura molecolare degli alimenti, al fine di possederla e, soprattutto, modificarla. De-costruire e de-strutturare per poi ricomporre attraverso nuove tecniche di cottura alla ricerca di nuovi sapori e nuove consistenze. Già a questo primo tentativo di definizione, che come tutte le definizioni, è sempre parziale, potrebbe sorgere una semplice, e forse banale domanda. Perché? Perché devo scomporre quello che la natura mi dà, se poi lo ricostruisco più o meno allo stesso modo? È d’altronde insito nell’animo umano il tentativo di scoprire, approfondire, non fermarsi di fronte al semplice darsi delle cose nell’intento di andare oltre, alla scoperta dell’ignoto. Potremmo rispondere, tentando di specificare meglio quanto appena affermato. La cucina molecolare intende studiare le trasformazioni che avvengono durante la preparazione degli alimenti con l’intento di modificare la cucina, o meglio, l’arte della cucina, da sempre empirica e soggettiva in una vera e propria scienza, quindi oggettiva per definizione. Si parte quindi dall’assunto che gli abbinamenti e le preparazioni fin qui sperimentate dalla tradizione culinaria non abbiano sfruttato appieno tutte le potenzialità che in realtà gli alimenti hanno. E questo succede perché in realtà non conosciamo appieno i cambiamenti che avvengono durante le preparazioni, le loro reazioni chimiche e quindi ci perdiamo una serie di sapori e consistenze che possiamo definire “nuove”. Da qui bisogna partire, cioè dal suo fondamento teorico. Questa pratica si diffonde agli inizi degli anni ‘90 grazie a due scienziati: Hervé This (fisico e gastronomo) e Pierre Gilles de Gennes (premio nobel per la fisica nel 1991). In Italia viene redatto, nel 2003, il “Manifesto della cucina molecolare italiana” grazie agli studi del dott. Davide Cassi dell’Università di Fisica di Parma e dallo Chef Ettore Bocchia, con l’intento di preservare i sapori tradizionali della nostra terra. Da qui nasce, per esempio, la sperimentazione di nuove preparazioni attraverso l’uso dell’azoto liquido, oppure la frittura nello zucchero. Quando nei menù trovate scritto, ad esempio, “Filetto di San Pietro in assoluto”, certamente vi troverete di fronte ad una cottura del pesce in una miscela di zuccheri invece che nell’olio, tecnica che consente di dimezzare i tempi e quindi di conservare meglio, grazie alla loro densità, l’umidità all’interno del pesce. Ancora, la cottura di carni precedentemente conservate sottovuoto, oppure l’uso della lecitina di soia al fine di incorporare aria nelle salse o nelle creme e dare, quindi, l’effetto e la consistenza di una schiuma. Possiamo citare l’alginato di sodio (addensante alimentare), il citrato di sodio (correttore di acidità) o il cloruro di calcio (regolatore di acidità) il cui utilizzo è in grado di trasformare un liquido in palline di struttura rigida all’esterno e liquido all’interno. La cucina molecolare si basa, inoltre, sulla revisione dei classici metodi di cottura per creare nuovi sapori. Per fare questo spesso non si usa la fiamma con l’intento di non disperdere sapori, vitamine e proteine che, invece, tramite il calore si modificherebbero e svanirebbero. Insomma, potremmo dire: nuove frontiere e nuove proposte per una cucina del futuro.
Potete provare questo piccolo esperimento anche a casa: prendete una ciotola e rompetevi all’interno alcune uova. Versateci poi sopra dell’alcol buongusto 90°. Vedrete cuocere o, più propriamente cagliare, l’albume. Dopodiché basterà sciacquare l’alcool e strizzare la “cagliata” fino alla consistenza desiderata.
Di esempi ce ne sono, d’altronde, oramai molti, per merito anche dell’introduzione, in toto o in parte, di molte di queste nuove tecniche all’interno delle cucine dei più importanti e blasonati ristoranti italiani, europei e mondiali. Ma quando si parla di cucina molecolare non si può non citare lo chef che più a contribuito alla diffusione, anche mediatica, di questa nuova pratica: lo spagnolo Ferran Adrià, capo chef del ristorante El Bulli a Roses nella Costa Brava. Si presenta vestito da cuoco, ma si definisce un chimico. In più di un’occasione ho assistito a quelle che sono delle vere e proprie esibizioni durante le oramai numerosissime convention alle quali viene invitato. Ad un primo istante si rimane letteralmente rapiti ed esterrefatti. Poi cominci a capire da dove nasce quello che facilmente potresti scambiare con il tentativo di voler stupire a tutti i costi. Quella che io chiamo “ l’anima del piatto”. Generalmente nell’artista vi è sempre questo filo rosso che cerca di materializzarsi in una forma, in questo caso in un piatto, cioè il pensiero dell’anima. E qui c’è la vera differenza tra la genialità ed i meri effetti artificiali, tra la voglia di colpire a tutti costi chi si ha di fronte ed invece la concretizzazione di un vero concetto, magari anche in forma estrosa e provocatoria. Ma mai fine a se stessa. Non è semplice non cadere nella banalità e nella semplice provocazione quando si sposa la cucina molecolare. Si viaggia come un’equilibrista sul filo ed il fallimento è dietro l’angolo. Di maldestri tentativi di copiare o seguire il cuoco/chimico spagnolo lo stivale ne è oramai pieno. La filosofia culinaria di Ferran Adrià è quella di trasformare, o meglio, destrutturare o decostruire dei piatti classici partendo da materie prime “alternative”. Questo permette di creare, ad esempio, il caviale partendo da dei semi di basilico oppure una trippa con dei funghi. Senza storioni o interiora di un bovino, cerco di recuperarne, ugualmente, la consistenza ed il sapore. Così facendo creiamo l’illusione di ciò che non è o sarà.
Sono sempre stato convinto, e lo sono tuttora, che in Italia, per mangiare bene, non abbiamo bisogno di schiume o sfere, ma di eccezionali materie prime, come solo noi italiani siamo in grado di produrre. Il problema è avere il tempo o, forse, solo la voglia, di cercarle, valorizzarle ed infine, forse il compito più arduo, saperle comunicare, nella loro stupenda semplicità. Oggi è probabilmente più facile chiedere cifre stellari presentando una faraona scomposta e poi ricomposta in un'altra forma, utilizzando i moderni preparati che l’industria mette a disposizione per la cucina molecolare, che farsi apprezzare, chiedendo la metà del prezzo, per la ricerca, sempre di una faraona, di grande stoffa qualitativa, cucinata secondo tradizione e rispetto della sua consistenza naturale. Moda? Anche, ma soprattutto poca voglia di approfondire e mettersi in gioco. La cucina molecolare, al di là dei suoi aspetti più fantascientifici e spettacolari, è ricerca, studio e sperimentazione. In questo, Ferran Adrià, è un maestro, che non perde mai, però, il fine di ciò che sta cercando, al di là che si possa essere soddisfatti o meno dalle sue preparazioni. Decontestualizzare tutto ciò dal suo laboratorio di nome El Bulli, cercando la spettacolarizzazione a tutti i costi, genera ibridi puramente intellettualistici.

Le foto, scattate durante le edizioni 2007 e 2008 di Identità Golose, ritraggono Ferran Adrià e Heston Blumenthal

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