La grande difficoltà nel valutare e giudicare gli oli

La grande difficoltà nel valutare e giudicare gli oli

Non solo vino
di Luigi Caricato
18 febbraio 2023

A differenza di altri alimenti e bevande, che non prevedono l’obbligo di valutazione sensoriale, un extra vergine può essere bocciato e declassato, esponendo a rischi di azioni penali le aziende

Sul concetto di buono e meno buono ci siamo. Un olio che ha profumi freschi e che rimandino al frutto dell’oliva e ad altri piacevoli sentori piace. Così pure un olio che al palato risulti armonico e lasci la bocca pulita. Fin qui è chiaro a tutti. Alla presenza di sentori sgradevoli è evidente che il nostro giudizio cambia. Meglio un olio dai sentori di pomodoro o uno dalle note rancide? È preferibile forse un olio dalle note di muffa o uno con i richiami a cardo, carciofo, mandorla verde, mela e ad altri piacevoli profumi e aromi? Ecco, le difficoltà di valutazione sensoriale non consistono nel cogliere ciò che è buono da ciò che non lo è: ci arrivano tutti.

Clicca sull'immagine per scaricare il PDF dell'articolo

Il problema è comprendere la complessità di un olio, e soprattutto conoscere il lato debole di un olio: l’essere un corpo vivo così fragile che se non conservato bene si altera, regredisce, subisce involuzioni talvolta rapide. Si pensi ai bancali con tanti cartoni d’olio depositati fuori dai punti vendita, al sole, in attesa di essere collocati in magazzino. Poi magari l’olio viene immagazzinato anche male, in luoghi inadatti, con temperature irregolari, grande calura o gelo, al di sotto dei 10°. L’olio è un corpo fragile e questa sua natura è incompresa, non ci si impegna a gestire bene la sua conservazione. Questi errori gestionali del prodotto lo rendono esposto a un inevitabile decadimento. Quando si effettuano controlli da parte degli organismi preposti capita che alcuni oli vengano declassati e subiscono una retrocessione merceologica, da extra vergine a olio vergine di oliva. Un vero incubo, perché ciò comporta per le aziende problemi seri, da codice penale. Come se si trattasse di una truffa ai danni del consumatore. Le aziende vivono nella paura, può capitare a chiunque, ma nessuno finora sta affrontando il problema. Per intenderci, è come se un vino dal sentore di tappo mettesse a rischio denuncia un’azienda, con le conseguenze del caso. La questione del panel test degli oli è seria: si giudicano gli oli in commercio e, se non ritenuti irreprensibili, possono essere bocciati e retrocessi. Quante volte capita di trovare oli ossidati. Può capitare anche al migliore e più blasonato extra vergine, se conservato male. Succede di frequente, con oli dalla bassa rotazione sullo scaffale, perché esposti a fonti luminose e a temperature non controllate. Fin qui gli oli in commercio, con le problematiche irrisolte.

Perché, sia ben chiaro, il problema è serio. Solo sull’olio extra vergine di oliva ricade l’obbligatorietà di essere giudicato da un panel di assaggio quale discriminante merceologica. Un extra vergine con un minimo difetto è da bocciare, non si transige. A onor del vero, è una ingiusta penalizzazione. Quanti alimenti o bevande a volte ci deludono, eppure non c’è per le aziende il rischio di essere denunciate. Non è un attacco al panel test, che è invece uno strumento utilissimo e fondamentale per riconoscere la qualità, e da incentivare, ma è un invito a riflettere sull’opportunità di dar luogo con tale valutazione a una penalizzazione merceologica che vale solo per l’olio da olive. Per tutti gli alimenti sono fissati infatti dei parametri analitici chimico-fisici in relazione ai quali un alimento può essere (o non essere) immesso in commercio. La valutazione sensoriale è uno strumento parallelo molto importante ma non tale da indurre a discriminare il prodotto. Semmai il panel test dovrebbe essere utilizzato per incentivare alimenti di alta qualità, in questo caso gli oli extra vergini di oliva, certificandoli, anche sulla base di un processo di filiera che preveda le migliori condizioni possibili (forse anche da rendere obbligatorie per gli esercenti) in modo da conservare il prodotto olio nella sua integrità sensoriale prima ancora di destinarlo al consumatore. Ho scritto queste mie riflessioni per argomentare intorno a un tema che mi è molto caro e che ritengo costituisca un grosso problema, che è il seguente: si tendono a premiare, nei concorsi, come pure nelle guide, gli oli più appariscenti e muscolari, gli extra vergini più intensi, quelli che affascinano di più, e letteralmente seducono, i giudici nell’atto di esprimere le proprie valutazioni. In questa ottica è impossibile vedere premiati gli oli dal fruttato leggero, i più delicati e dolci, con amaro e piccante che si percepiscono in modo tenue. Mi sono reso conto, scrivendo questo articolo, che sono partito da lontano, ovvero dal panel test e dalle problematiche sanzionatorie che ne derivano quando si bocciano gli oli non per il loro profilo chimico-fisico, ma per quello sensoriale. Ecco allora che rimando al prossimo articolo questo aspetto dei concorsi oleari e delle guide, con la diffusa tendenza a penalizzare gli oli dolci e delicati. Non solo, c’è anche un altro grosso problema. Io, attraverso Olio Officina, organizzo il contest Milan International Olive Oil Award, e succede che vi siano giudizi contrastanti tra diversi panel nel valutare i migliori oli in concorso. Quando alcuni oli vengono giudicati con voti bassi, mi premuro – per mia curiosità, ma anche per una forma di rispetto verso le aziende – di farli rivalutare dallo stesso panel e da panel diversi, e in una passata edizione del concorso l’operazione è avvenuta ricorrendo a una nuova strumentazione analitica con cui si esaminano i componenti volatili dell’olio, potendo individuare in modo ben più efficace rispetto alla sensibilità umana, anche la minima percezione di uno o più difetti. Ecco, ho lanciato il tema che pensavo di trattare questa volta, ma mentre scrivevo ho ritenuto che fosse più giusto procedere con una premessa tanto necessaria quanto doverosa. Perché i medesimi oli vengono promossi da alcuni e bocciati da altri? La questione non è affatto da sottovalutare, anche perché a differenza di altri prodotti, che siano bevande o alimenti, per l’olio il giudizio di un panel è in quanto tale discriminante dal punto di vista merceologico.