Parte un progetto di rilancio dell'olio italiano

Parte un progetto di rilancio dell'olio italiano

Non solo vino
di Luigi Caricato
01 maggio 2007

Le insidie maggiori, tuttavia, vengono dall’interno del Paese, non dai concorrenti esteri. C’è un arretramento culturale che spaventa

Occorre prepararsi al mutamento epocale in corso d'opera. L'immagine di grande paese oliandolo per eccellenza sta via via sfumando, ed è tempo di reagire, perché non c'è motivo di lasciar svanire il lavoro di tante passate generazioni. Ed è proprio per questo, visto anche il mio ruolo di attivo comunicatore, che mi sono impegnato in prima
persona nell'organizzare un tavolo di filiera, onde consentire l'elaborazione di un documento comune che raccolga i propositi di tutti gli attori del comparto, in rappresentanza di produzione, commercio e industria, ma anche della ricerca scientifica, dei fruitori professionali del prodotto, delle associazioni dei consumatori, della stampa specializzata e – perché no? – dei sommeliers, visto il ruolo strategico che questi possono esercitare nei rapporti tra produttori e fruitori del prodotto. Tale progetto, lanciato dal settimanale “Teatro Naturale” lo scorso febbraio, reca non a caso come titolo “Il Risorgimento dell'olio italiano”, proprio perché, appunto, si tratta di riprendere le redini e di avviare un rilancio deciso e tempestivo. Attraverso l'elaborazione di un documento comune e condiviso, sarà possibile delineare il percorso da seguire. In Italia, a differenza della Spagna, non c'è stata alcuna strategia, nessuna progettualità, nessuna dichiarazione di intenzioni.
Per risollevarsi dalla rovinosa caduta libera in cui ci si sta inesorabilmente precipitando,
occorre ridestarsi. Anche perché, l'aver ceduto agli spagnoli due marchi storici prestigiosi
come Sasso e Carapelli, non aiuta di certo a riprendere fiato.
La concorrenza del paese iberico si fa sentire, e a essere minacciate, tra l'altro, sono anche le produzioni di nicchia, quindi occorre reagire; ma non si tratta, beninteso, di un'iniziativa da relegare alla sola sfera commerciale: è in gioco la credibilità stessa del nostro Paese, anche sul piano culturale.
Un esempio, per intenderci. Una recente indagine demoscopica presentata nel novembre 2006 a Milano, ritrae un profi lo del consumatore italiano piuttosto deludente. L'indagine, condotta da Astra Ricerche per conto dell'Osservatorio Bertolli, ci ha fatto comprendere come sia possibile consumare grandi quantitativi di oli di oliva, e apprezzarne il profi lo sensoriale e la sapidità, anche se, nel contempo, si dimostra di non conoscere minimamente il prodotto. Il quadro non è esaltante. Se si dovesse compilare una pagella, solo 13 italiani su cento verrebbero promossi a pieni voti, 35 passerebbero con
sufficiente, mentre 46 di loro sarebbero inevitabilmente rimandati (tanto per essere clementi) e 7, addirittura, pesantemente bocciati, per non essere in grado di fornire risposte esatte.
Vi sembra possibile una simile situazione, in un Paese d'altra parte conosciuto e apprezzato nel resto del mondo proprio per la bontà dei suoi extra vergini?
In realtà, i problemi sono ben più grandi di quelli che appaiono. L'elevata pressione promozionale, che si può attestare intorno a circa il 60% dei volumi, condiziona inesorabilmente le tendenze di acquisto. Insomma, per farla breve, gli italiani preferiscono puntare più sul prezzo che non sulla qualità. A loro poco importa del contenuto, di cosa ci sia effettivamente in bottiglia, tant'è che nonostante il solito refrain
sull'italianità delle produzioni, tanto osannato e messo in evidenza in modo strumentale, al punto da spingere la Coldiretti a farne una inutile campagna scandalistica e di denuncia (“provenienza incerta, una bottiglia su due non è made
in Italy”, si urlava nel gennaio di quest'anno), alla fi e, quando però si sceglie l'olio sullo scaffale, a vincere è solo il prezzo: più è basso, più convince. Non solo, il fallimento commerciale degli oli a denominazione di origine, è il chiaro sintomo di qualcosa che non va, a tutti i livelli.
Da una parte c'è un'olivicoltura scassatissima, che non è mai stata rimessa in ordine, troppo vetusta com'è; dall'altra c'è un pessimo rapporto tra i componenti della filiera, perché per molto tempo si è rifiutato il dialogo, sicuramente per i troppi interessi contrapposti, ma più in particolare per l'imperizia di alcuni, pronti più a cavalcare la protesta piuttosto che a costruire una linea programmatica di condivisione tra le parti. Hanno dato addosso alle grandi marche pur di non riconoscere i limiti strutturali del nostro sistema. Ecco, dunque, la necessità di un piano di azione comune e condiviso. Ecco, pertanto, il diffi cile momento del confronto a cui sto lavorando. Non è facile, visto che il disfacimento del nostro Paese mostra segnali di accelerazione quanto mai raccapriccianti. E' il caso, veramente triste, di Confesercenti Savona, che con un atto d'orgoglio è riuscita a smontare la soddisfazione di quanti hanno esultato per il divieto imposto ai ristoratori di presentare l'olio extra vergine di oliva nelle ampolle. Color che
agiscono nell'ambito della ristorazione, si sa, hanno impresso nel loro Dna il vizio del rabbocco dell'olio, incuranti dei danni che ne derivano al prodotto. Le eccezioni, tra i ristoratori, sono destinate a rimanere tali: voci nel deserto.
La legge che impediva di presentare oli in anonime ampolline ha creato com'era prevedibile subbuglio nelle coscienze dei titolari dei pubblici esercizi, e così, opponendosi con forza, questi hanno trovato in Bersani, e nel Ministero allo Sviluppo economico, un difensore d'ufficio. Così, oggi si torna indietro, si arretra e si ridà il via libera alle ampolle da esibire, unte e bisunte, sulle tavole dei ristoranti. Ciò che più sorprende e imbarazza, è l'atteggiamento, ostico e avverso, di chi ha voluto contrastare una norma a priori, senza considerare le ragioni che hanno scaturito l'emanazione della legge
dell'11 marzo 2006: l'olio si degrada, si ossida, se lasciato esposto alla luce e all'aria. Il
rabbocco, poi, non è propriamente una pratica tra le più nobili. Ora, dunque, ci si mette anche quell'antipatico di Bersani, a smontare anni di fatiche tese a valorizzare la qualità degli oli extra vergini di oliva. Che Paese ignorante!
Ma è davvero possibile il mio proposito, di un “risorgimento dell'olio italiano” in queste condizioni così miserevoli? Nutro, con molta franchezza, dei grossi dubbi, ma non mi arrendo, pur consapevole che da un parte ciò che io costruirò, qualcun altro avrà voglia invece di distruggere, pur di difendere con i denti i propri interessi. E' l'Italia, miei
cari, che ha scelto di vivere fi no in fondo, da protagonista, il proprio arretramento culturale. Forse più che difendersi dagli spagnoli e dagli altri Paesi concorrenti, l'Italia ha da difendersi da se stessa.

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