I vigneti terrazzati della Valle di Cembra: paesaggio e identità di un territorio

I vigneti terrazzati della Valle di Cembra: paesaggio e identità di un territorio

Territori
di Paola Marcone
02 agosto 2022

Guardando una carta geografica del Trentino, la Valle di Cembra, incisa dal corso dell'Avisio, è indicata da uno squarcio sulla destra, poco sopra il capoluogo di provincia all’altezza di Lavis. Bosco, acqua e porfidi sono gli elementi dominanti di un paesaggio ancora prevalentemente intatto, completato da una viticoltura terrazzata che da secoli ne definisce l’identità.

Quando nel 1494 a soli 23 anni Albrecht Dürer venne in Italia da Norimberga per frequentare a Venezia e a Padova gli studi di artisti della grandezza di Bellini e Mantegna, in Trentino è costretto a deviare il suo percorso, probabilmente a causa di una piena dell’Adige.
Arriva così in Valle di Cembra e testimonia il suo tragitto in una serie di acquerelli che ancora oggi ci restituiscono tutta la potenza estetica del paesaggio che andava incontrando: il dosso di Segonzano con le sue Piramidi porfiriche, le pendici dei monti di Sover e sullo sfondo le montagne di Fiemme, la rupe scoscesa sull’Avisio su cui si inerpicavano le rovine del Castello di Segonzano.

Per chi ai nostri giorni si addentra nella valle percorrendo la Strada Statale 612 che da Lavis mette in comunicazione Trento e la Piana Rotaliana con le valli di Fiemme e Fassa, il panorama sembra essere sostanzialmente lo stesso: salendo dai 235 m s.l.m fino ai quasi 1.000 m s.l.m. della parte più alta, boschi, torrenti e ripide piattaforme porfiriche di un rosso intensamente mattone disegnano il territorio, rivelandone la matrice vulcanica di età Paleozoica, così erosa dalle glaciazioni da assumere un caratteristico aspetto tondeggiante su cui si sviluppano i terrazzamenti coltivati.

La storia della viticoltura in Valle di Cembra parte proprio da questa caratteristica conformazione, che costituisce non già un elemento neutro del lavoro agricolo ma il presupposto identitario della sua stessa esistenza.
Il concetto è talmente evidente per chi abita questi luoghi da essere assunto a principio di indirizzo politico, riportato nel Piano Territoriale di Comunità della Valle di Cembra del 2015 con queste parole:

“Quello dei terrazzamenti è senz’altro l’elemento del paesaggio visivo maggiormente caratterizzante la valle. E’ ai vigneti terrazzati che si corre con la mente pensando alla valle di Cembra, senza dubbio. Sappiamo bene che non sono solo un’immagine per questo territorio, ma riconosciamo che svolgono anche un ruolo fondamentale nel raccordo formale tra il fondovalle avisano e gli insediamenti abitati principali. Essi sono l’impronta della valle, sono la matrice storica ed economica che ha saputo giungere sino a noi, consci che questa tecnica di insediamento agricolo era probabilmente l’unico modo per garantire del terreno coltivabile. Non si può comunque pensare alla valle di Cembra senza i suoi terrazzamenti: e questo è tutto.”.

I TERRAZZAMENTI 

La coltura principale presente in valle è la vite (circa il 30% del totale), coltivata tra i 300 e gli 850 m s.l.m. con pendenza medie del 30-40% e su entrambe le sponde dell’Avisio.
La maggiore esposizione al sole del versante destro ha reso ovviamente lì più favorevole lo sviluppo della viticoltura che è protagonista per circa 700 km lineari di terrazzamenti, simbolo dell’incessante trasformazione che l’uomo ha da sempre dovuto operare per sfruttare al meglio il territorio a fini agricoli.
Le prime forme di viticoltura sono attribuibili alla seconda età del Ferro, come sembra testimoniare il ritrovamento al Doss Caslir a Cembra di una situla, ossia un vaso vinario con iscrizioni in alfabeto retico, e sin da allora si reputa che le pur rudimentali coltivazioni necessitassero di terrazzamenti. Le decise pendenze delle sponde del fiume, infatti, imponevano (e impongono) un governo del territorio che preservasse da frane e smottamenti dovuti all’erosione delle acque meteoriche. 

Il sistema dei terrazzamenti assolve, quindi, alla vitale esigenza di rendere possibile la messa a coltura, ricorrendo alla tecnica di costruzione dei muretti a secco. 
I materiali primari utilizzati per questa tipologia di manufatti sono naturalmente i porfidi, che costituiscono l’elemento geologico più caratteristico della zona con i loro significativi affioramenti e le loro cave.
Girando per la valle è impossibile non notare come il pietrame che sostiene i terrazzamenti o le strutture stesse degli edifici storici abbiano immancabilmente una decisa componente porfirica.
La materia prima geologica, quindi, si compenetra nell’architettura del paesaggio in un indissolubile abbraccio identitario.
Se il sistema dei terrazzamenti è strumento necessario per la viticoltura, tuttavia, non per questo la cura dei vigneti è resa più facile. Anzi.
Non solo la manutenzione dei muretti da neve, pioggia e gelo rendono continuo il lavoro, ma le pendenze che si devono affrontare per raggiungere le vigne rendono quasi impossibili le lavorazioni meccanizzate, che sono eseguite, quindi, per la maggior parte in modo manuale.
Tanto più che i vigneti sono spesso contornati da ampie porzioni di bosco e devono arrestarsi di fronte allo scorrere dell’Avisio.

LA PERGOLA

Il sistema di allevamento tradizionale è costituito ancora oggi dalla pergola trentina semplice, detta localmente punt, tanto che i vini nella zona sono conosciuti anche come Puntwein, ossia vino di pergola. 
Il motivo per cui questo sistema è ancora ben presente nel panorama vitivinicolo della Valle di Cembra, pur se magari sono cambiati i materiali di costruzione o sono aumentati gli ettari allevati a guyot, è dovuto proprio alla particolarità del territorio, per conformazione, esposizioni e clima.

La valle, infatti, si trova in un contesto tra il prealpino e il continentale, con temperature medie annue di circa 10°C, ma che anche qui devono fare i conti con il riscaldamento climatico, e le precipitazioni oscillano mediamente tra i 900 e i 1000 mm di pioggia all'anno, sostanzialmente ben distribuite nei mesi, con il picco inferiore in inverno e il massimo in autunno 

L'orientamento della valle, poi, è tale da far sì che i venti provenienti da nord siano attenuati nel loro vigore mentre le brezze da sud risentano anche dell’Ora del Garda, venendo così ulteriormente mitigate.
In questo contesto l’allevamento storico a pergola, che permette alla vite di svilupparsi in verticale per quanto riguarda il ceppo e in orizzontale relativamente ai tralci, consente al viticoltore di trarre il massimo beneficio.
Nei terreni interessati da una pendenza elevata come quella dei vigneti cembrani, infatti, il tetto inclinato della pergola consente alla luce di penetrare anche nelle parti meno esposte al sole mentre la superficie della pergola stessa riesce ad attrarre quanta più luce possibile per una corretta fotosintesi.

L’ombreggiatura dovuta al sistema, poi, evita ai grappoli scottature dirette, particolarmente dannose specie per le uve a bacca bianca, e l’areazione che riesce a prodursi tra i grappoli pendenti limita al massimo la produzione di muffe o funghi.
La pergola è anche in grado di assicurare un’escursione termica più contenuta, che si rivela fondamentale per scongiurare le gelate primaverili e, aspetto curioso ma non meno importante, l’altezza a cui si sviluppano i grappoli rende meno facile per gli animali (caprioli su tutti) brucare gli acini.

IL PANORAMA VITIVINICOLO

Se i ritrovamenti archeologici fanno pensare che le prime forme di viticoltura fossero presenti in valle da tempo immemore, la documentazione tardo medioevale testimonia l’importanza produttiva della zona, soprattutto di vini rossi, trovandosi prova di commercio di schiava, teroldego e marzemino.
Che la viticoltura fosse cosa assai seria è d’altro canto riportato anche dalla normativa locale di inizio Settecento che vietava, per scoraggiare qualunque tentativo furto, di aggirarsi nei vigneti nelle ore notturne o di usare le foglie delle viti per foraggiare gli animali, così da non danneggiare le piante in alcun modo.
Quando, poi, nella seconda metà dell’Ottocento, la viticoltura in generale è costretta ad affrontare le crisi legate a peronospora, oidio e soprattutto fillossera anche i vigneti della valle subiscono drastiche perdite.

Nell’opera di ricostruzione della base ampelografica, quindi, accanto ai vitigni più tradizionali, iniziano a introdursi ai primi del Novecento varietà nuove, come quella da poco ottenuta dal prof. Hermann Müller, che a partire dal 1882 aveva iniziato nello svizzero Canton Thurgau alcuni studi su un incrocio tra riesling renano e madeleine royal, ossia il vitigno müller thurgau come oggi tutti lo conosciamo.
Particolarmente diffuso in Germania, Austria, Svizzera e qui in Italia in Alto Adige e appunto in Trentino, il müller thurgau ha trovato sin da subito il suo habitat ideale in Valle di Cembra.

La morfologia del territorio, infatti, garantisce quelle escursioni termiche, che associate alla componente porfirica dei suoli, permettono al vitigno di regalare un’elegante espressività aromatica. 
Fino agli anni Settanta - Ottanta, però, è stata la schiava ad essere il vitigno più coltivato in Valle di Cembra. Generosa nella sua produttività e vinificata in modo da esaltare la facilità di beva con una bassa gradazione alcolica, la Schiava, infatti, si prestava ad un pronto e largo consumo, soprattutto in tempi in cui il vino costituiva parte dell’alimentazione quotidiana e supporto alle fatiche delle attività manuali.
La vera affermazione del Müller Thurgau in valle, quindi, si verifica sul finire degli anni Ottanta; periodo in cui cambia anche il consumo del vino e la percezione della sua qualità. Nel 1986 nasce a Cembra una festa dedicata al vitigno che in poco tempo si struttura in una vera e propria rassegna internazionale che si svolge ogni anno (tra giugno e luglio 2022 si è tenuta la 35 edizione) e mette a confronto le produzioni di Müller Thurgau della Valle di Cembra con quelle di altre zone del Trentino, d’Italia e d’Europa.

Anche lo chardonnay e altre uve da spumantizzazione (pinot bianco e pinot meunier) hanno, poi, partecipato all’affermarsi in valle dei vitigni bianchi in quota maggiore dei rossi. 
L’areale cembrano, infatti, ricade nella “Trento” DOC e quindi negli ultimi anni gli impianti di questi vitigni è sensibilmente aumentato, insieme all’introduzione sempre più estesa del guyot. 
In ogni caso che ormai la Valle di Cembra sia un bacino qualitativo di produzione per le uve a bacca bianca è confermato costantemente dai dati della Camera di Commercio di Trento, che dimostrano come solo schiava e pinot nero siano le uve rosse significativamente prodotte, mentre anche altre varietà bianche come kerner, Manzoni bianco e persino i vitigni PIWI johanniter e solaris iniziano a rappresentare numeri di rilievo.

Per quanto riguarda le denominazioni di origine, infine, i vini della Valle di Cembra, oltre a potersi fregiare della “Trento” DOC, possono rivendicare anche la “Trentino” DOC, con la particolarità che nell’ultima modifica del disciplinare avvenuta nel 2017 “Valle di Cembra” o “Cembra” è stata riconosciuta come sottozona per la versione “Trentino Superiore” nelle tipologie müller thurgau, pinot nero, riesling renano e schiava.
Numeri meno consistenti, ma sempre di qualità, interessano da ultimo le produzioni che ricadono nella “Delle Venezie” DOC e nella “Vigneti delle Dolomiti” IGT.