Il Canavese

Il Canavese

Territori
di Stefano Vanzù
25 agosto 2021

L’appuntamento di “Annessi & Connessi” vede come protagonista il Canavese, una terra di confine dove le colline moreniche, i laghi, i castelli e le chiese ci raccontano una storia millenaria che parte dai palafitticoli del Neolitico e arriva ai giorni nostri con l’informatica di Adriano Olivetti, senza mai dimenticare i vigneti e i grandi vini che qui sono di casa.

Prima di essere un territorio affascinante da scoprire, il Canavese è innanzitutto il “luogo dell’anima”, la terra delle origini di Francesco Ferrari, relatore AIS e dirigente d’Azienda che, pur avendo conosciuto tante parti di mondo, ha la sua bussola interiore che punta sempre verso questa regione storico-geografica del Piemonte nord-occidentale estesa tra la Serra di Ivrea a est, il bacino del Po a sud, la Stura di Lanzo a ovest e la Valle d’Aosta a nord.

Francesco FerrariIl Canavèis (in piemontese), solcato dai fiumi Dora Baltea, Chiusella, Soana, Orco e Malone, è dominato dall'Anfiteatro Morenico di Ivrea e dal massiccio del Gran Paradiso che contornano la vasta area pianeggiante intorno a Chivasso. Numerosi sono i laghi glaciali, tra cui spiccano quello di Candia Canavese e quello di Viverone al confine orientale con il Biellese.

L’etimologia del termine “Canavese” deriva dall'antico abitato di Cuorgnè, Canava, posto sulle rive del torrente Orco o, più probabilmente, sulle pendici del monte Quinzèina dove, ancor oggi, si trova l'abitato di Nava. Secondo altri potrebbe invece essere legato all'antica coltivazione in zona della canapa.

La "capitale" storica del Canavese è Ivrea, città fondata nel V secolo a.C. dalla tribù celtica dei Salassi e che divenne Municipium romano nel I secolo a.C. mantenendo il nome di Eporedia, da cui il termine eporediesi con cui sono definiti i suoi abitanti. È interessante osservare che nel Canavese la viticoltura era già praticata prima della colonizzazione romana: infatti, gli archeologi hanno rinvenuto dei cerchi di ferro che servivano, come oggi, per stringere le botti (quindi, non le classiche anfore romane) usate per il trasporto e la conservazione del vino.

Dopo la caduta dell'Impero Romano, il Canavese fece parte di un ducato longobardo e di una contea franca (verso la fine dell'VIII secolo d.C.) e acquisì notevole importanza sotto Arduino, re d'Italia tra l'anno 1000 e il 1015, che vari storici definiscono come il primo vero Re d’Italia in quanto proclamato tale dai suoi vassalli e non dall’imperatore. I 20 castelli ancora oggi presenti nel Canavese ricordano quel lontano periodo di lotte fra Chiesa e Impero, di conflitti fra i potentati locali e anche di rivolte dei contadini contro i potenti feudatari (nel Trecento la regione fu teatro delle rivolte dei Tuchini, abitanti dei piccoli Comuni rurali che si ribellarono contro lo strapotere dei signori feudali).

Nel Basso Medioevo il territorio fu frammentato tra la dominazione dei Vescovi di Ivrea, dei Marchesi del Monferrato, dei Principi di Acaia e dei Savoia; questi ultimi ne acquisirono il dominio a partire dal XIV secolo.

Il CanaveseParlando di Ivrea, non si può non ricordare la figura del suo figlio più illustre, Adriano Olivetti (1901 - 1960), uomo di grande e singolare rilievo nella storia italiana del secondo dopoguerra e che si distinse per i suoi innovativi progetti industriali basati sul principio secondo cui il profitto aziendale deve essere reinvestito a beneficio della comunità; sua anche la convinzione che doveva essere la fabbrica ad avvicinarsi al lavoratore, non il contrario, per dare modo al lavoratore stesso, in particolare ai Canavesi, di poter continuare a lavorare la terra per non perdere la vera natura e le tradizioni di questo territorio.

Sotto il profilo geologico, la zona del Canavese più vocata alla viticoltura è quella dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea, un’area di forma ellittica vasta più di 500 km² creata dal trasporto di sedimenti verso la Pianura Padana operato, nel corso delle glaciazioni, dal grande ghiacciaio Balteo che percorreva la vallata della Dora Baltea. Nella sua corsa a valle il ghiacciaio Balteo levigò e arrotondò i fianchi delle montagne che si trovavano sul suo percorso trasportandone i materiali di corrosione i quali, mescolati a materiali preesistenti, formarono un incredibile miscuglio di fango, sabbia, ciottoli e massi enormi.

I suoli oggi vitati risalgono all’ultima glaciazione (iniziata circa 110.000 anni fa e terminata all'incirca 11.700 anni fa) e sono molto variegati nella composizione: prevalentemente sabbiosi in particolare a sud e più duri a est e a nord dove sono abbondantemente frammisti a sassi e ciottoli di ogni dimensione. Molto poveri di materia organica e dunque di azoto, sono idonei per le produzioni di alta qualità per le basse rese che determinano nei vigneti. È generalmente presente una buona quantità di potassio che favorisce l’accumulo degli zuccheri nel grappolo durante il periodo di maturazione, e di sostanze fosfatiche che maggiormente contribuiscono alla finezza dei vini. I terreni dell’Anfiteatro sono molto acidi e composti normalmente da un 70-85% di sabbie, 10-20% di limo e da un 5-10% di argilla che garantiscono un ottimo drenaggio ai vigneti.

Nel Canavese i vigneti ricoprono oggi una superficie di circa 500 ha, con la maggior densità nella zona di Caluso. ed esposizioni rivolte a sud/sud-ovest. Le uve raccolte danno vita a vini raggruppati in 4 denominazioni:

  • Erbaluce di Caluso DOCG (DOC nel 1967 e poi DOCG nel 2010)
  • Caluso Spumante Metodo Classico DOCG
  • Caluso Passito DOCG
  • Carema DOC

L’erbaluce è un’uva neutra ma vigorosa, con modesta fertilità basale (richiede pertanto sistemi di allevamento espansi) e maturazione tardiva, dotata di una spiccata acidità soprattutto se coltivato con il tradizionale sistema “a topia” in uso nel Canavese; gli acini hanno una buccia spessa a più strati (che permette la criomacerazione), dal caratteristico colore ramato in maturità, da cui l’appellativo di “uva rustia”. Erroneamente identificato in passato come una varietà di greco mentre per alcuni sarebbe imparentato con il clairet francese, l’erbaluce è in realtà un vitigno autoctono, essendo presente nel Canavese da secoli. Risale al 1224 una citazione di Viverone di un vino albus e nel 1606 Giovan Battista Croce lo descrive così: «… Elbalus è un’uva bianca così detta, come albaluce, perché biancheggiando risplende... fa vini buoni, e stomacali.»     

ErbaluceMerita un cenno il particolare sistema di allevamento “a topia”, utilizzato praticamente solo nel Canavese; è una variante del sistema a pergola, molto più costosa, ad esempio, di un classico sistema Guyot, che però consente di mantenere la spiccata acidità tipica dell’erbaluce, indispensabile per produrre il Caluso Spumante Metodo Classico DOCG e il Caluso Passito DOCG.

Il Caluso DOCG è un bianco 100% erbaluce declinato su tre tipologie (unica DOCG in Italia con questa caratteristica): Bianco secco, Spumante (metodo classico, affinamento di almeno 15 mesi) e Passito (affinamento minimo 36 mesi, 48 mesi se Riserva). La produzione annua di Caluso DOCG è di circa 1.200.000 bottiglie. Da notare che la DOP “Erbaluce di Caluso” o “Caluso” è una delle sole 12 DOP italiane a poter apporre in etichetta il nome del vitigno. Altri vini prodotti al di fuori della DOCG Caluso non possono riportare la dicitura erbaluce in etichetta pur essendo prodotti con questa uva e pertanto i loro produttori hanno voluto evidenziare la “parentela” con l’erbaluce dando ai loro vini nomi di fantasia che richiamano il vitigno (“ErbaVoglio”, “Fior di Luce”, “Lucino”, “Lucia”, ma anche in maniera più ironica: “Vitigno innominabile” e “Innominato”).

Francesco Ferrari degusta per noi l’Erbaluce di Caluso DOCG Aὐτόχϑ∞ν 2016 di Bruno Giacometto; un bianco che ben si presta all’invecchiamento, caratterizzato da un bel colore giallo paglierino, offre al naso sentori complessi di fiori ed erbe aromatiche (sambuco, camomilla, maggiorana, salvia e timo) seguiti da toni fruttati (susina gialla, mela golden) e dalla tipica nota agrumata dell’erbaluce. In bocca è morbido, sapido e fresco, con una persistenza sottile ma lunga ed un finale leggermente ammandorlato.

Conosciuto e apprezzato come uno dei più grandi passiti italiani, l’Erbaluce di Caluso Passito DOCG viene vinificato tradizionalmente nel periodo del famoso Carnevale Storico di Ivrea, celebre soprattutto per il complesso cerimoniale folcloristico denso di evocazioni storico-leggendarie e la spettacolare Battaglia delle arance, divenuta l'icona stessa del Carnevale, durante la quale è preferibile indossare un berretto frigio se si vuole evitare di essere bersagliati dai lanci delle arance.

Il Passito, nel Canavese, non è una tipologia di vino antica poiché in passato l’uva non destinata alla vinificazione veniva fatta appassire per essere consumata nei periodi dell’anno in cui non c’era disponibilità di frutta fresca locale. Vino non liquoroso, fine ed elegante, in grado di sopportare senza problemi lunghi periodi di invecchiamento in cantina (ancora oggi si possono degustare Passiti di Caluso imbottigliati 50/80 anni fa, perfettamente conservati ed estremamente piacevoli), si presenta con colori dal giallo oro all'ambrato scuro, limpidezza brillante, profumo delicato e caratteristico, sapore dolce, armonico, pieno e vellutato. Il Passito di Caluso non ha, né potrebbe avere, la potenza alcolica di un altro celebre Passito italiano, il Passito di Pantelleria, ma in compenso ha certamente maggiore delicatezza rispetto al “cugino” siciliano. Accompagnamento ideale per il Passito di Caluso è la Torta 900, dolce creato alla fine del XIX secolo, da qui il suo nome, dal celebre pasticciere di Ivrea Ottavio Bertinotti; la storia racconta che la ricetta di questa torta rimase sempre segreta, e tutt’oggi lo sia. Bertinotti ne era talmente geloso che pare allontanasse chiunque durante la preparazione della farcitura, per non rivelare a nessuno il suo “dolce segreto”.

CaremaIl Carema DOC, la cui produzione è consentita nel solo comune di Carema (TO), è costituito da nebbiolo (min 85% con il restante 15%, in realtà quasi mai utilizzato, di uve rosse non aromatiche, tipicamente il ner d’ala), prevede un affinamento minimo di 24 mesi di cui almeno 12 in legno. Nella tipologia riserva l'affinamento minimo è di 36 mesi di cui 24 in legno.

I vigneti, terrazzati a secco, si trovano sulle pendici del monte Maletto, tra i 350 e 700 metri di altitudine e le viti sono coltivate sui terreni composti di eclogiti (rocce metamorfiche di composizione basica) levigate dal ghiacciaio Balteo.

Il sistema di allevamento è ancora quello a topia, una pergola costituita interamente di traverse di supporto in castagno con i tralci legati su di esse per resistere ai forti venti della valle. La coltura a terrazzamenti è caratterizzata da muretti a secco (topion) e pilastri in pietra che, oltre a catturare i raggi del sole rilasciandoli poi alle viti nel periodo notturno, rappresentano un vero e proprio vanto architettonico per questi vignaioli che tramandano l’arte costruttiva e una concreta prova del sacrificio di coltivare una terra dura e difficile; non a caso, il grande Mario Soldati definì il Carema come “vino di sole e di roccia”.

Il nebbiolo, chiamato anche picotendro/picoutener o pugnet o spanna è notoriamente un vitigno difficile, esigente, con un lunghissimo ciclo vegetativo (è la prima uva a fiorire e l’ultima a maturare), che esprime e non domina il territorio: Francesco Ferrari lo definisce un “traduttore” del territorio in cui cresce poiché si identifica in maniera stretta con il suo terroir, a differenza, ad esempio, di un altro famoso vitigno, l’internazionale cabernet sauvignon, considerato un vitigno “scrittore” in quanto si impone al territorio in cui viene coltivato.

La presenza del “nibiol” è accertata nel territorio di Rivoli (TO) già dal 1266, confermata nel 1308 nel trattato Ruralium Commodorum Libri XII di Pier de’ Crescenzi e nel 1817 Giorgio Gallesio nel suo libro La Pomona Italiana lo descrive così: «Il nebbiolo è il vitigno proprio della falda dell’Alpe che circonda il Piemonte».

Avviandoci alla conclusione della serata, non può mancare la degustazione, reale per Francesco Ferrari e purtroppo solo virtuale per tutti gli altri: sceglie il Carema DOC Riserva 2014 della Cantina dei Produttori di Nebbiolo di Carema, “sponsorizzata” da Adriano Olivetti che soleva regalare questo vino ai suoi migliori clienti. È un 100% nebbiolo picoutener che matura 36 mesi, di cui 18 in botti grandi di rovere e di castagno. Un vino che si apre lentamente al naso rivelandosi poi elegante e con sentori di rosa essiccata, di piccoli frutti rossi come i lamponi, di spezie, liquirizia e con tracce di humus. Al palato è asciutto, rigoroso, ben equilibrato fra la freschezza e i tannini, sapido, con note di violetta e di agrumi. Dotato di grande persistenza, si palesa apertamente come un “signor” Nebbiolo, molto diverso dai famosi Barolo o Barbaresco, tuttavia fedele interprete di un terroir differente da quello langarolo, ma certamente di grande tradizione vitivinicola e sicuramente da scoprire e apprezzare.