Il vino del Monte Bianco

Il vino del Monte Bianco

Territori
di Anita Croci
14 giugno 2024

Un vitigno autoctono e identitario, le viti a piede franco che abbracciano le pergole basse, il Monte Bianco che domina il paesaggio: poche bottiglie ma tanto carattere, dalle vigne più alte d’Italia

Tratto da ViniPlus di Lombardia - N° 26 Maggio 2024

Alzi la mano chi, sentendo parlare di Valle d’Aosta, non pensi subito alle montagne. Il suo perimetro montuoso schiera infatti tutti i “quattromila” delle nostre Alpi Occidentali: il massiccio del Gran Paradiso, del Monte Rosa, del Cervino e del Monte Bianco. Proprio alle sue pendici nasce un vino bianco che di certo non è tra i più conosciuti, non fosse altro per i numeri davvero esigui – poco più di duecentomila bottiglie annue e appena sei produttori – ma senza dubbio tra i più interessanti e identitari del panorama vinicolo italiano: il Blanc de Morgex et de La Salle, dal vitigno prié blanc.

IL TERRITORIO
Siamo in Valdigne, estremità dell’Alta Valle a ridosso del confine francese e, più precisamente, nel suo capoluogo Morgex e nel confinante La Salle. Non serve essere enoappassionati per restare affascinati dal panorama viticolo, che si affaccia tra le case per poi imporsi compatto, inerpicandosi su per i pendii fino a cedere il passo a conifere e pascoli, le viti ricurve sulle pergole basse che sostengono i tralci ordinati; svetta sparuto qua e là un arbusto di salice bianco, materia prima per le legature. Morgex – in patois meurdzìe “mucchio di pietre” – è posto in posizione pianeggiante a 920 metri di quota, attraversato dalla Dora Baltea. La Salle sorge invece su un pianoro più elevato rispetto al letto del fiume, che nella valle determina il confine naturale tra Envers, la destra orografica, esposta a nord e dove prospera il bosco e Adret, la sinistra orografica, esposta a sud: è questo il versante vitato, che si estende tra l’alveo del fiume e i 1.300 metri di altitudine; le vigne terrazzate di Morgex sono infatti le più alte d’Italia e tra le più alte d’Europa. I suoli sono di origine morenica e differenziano per maggiore o minore presenza di sabbie e materiali alluvionali: più abbondanti a La Salle, dove i terreni sono più profondi e meglio approvvigionati di acqua; più magri e con maggiore scheletro a Morgex, dove si riscontrano anche pendenze maggiori. Il clima è tipico montano, rigido e secco, ventilato e con importanti escursioni termiche giorno-notte. Significativa l’insolazione, che beneficia dell’altitudine, della scarsa nuvolosità e del basso grado di inquinamento atmosferico. Ci troviamo al limite della fascia vegetativa per la vite, dove solo un vitigno si è rivelato in grado non solo di prosperare, ma di fare delle avversità climatiche il fondamento della propria grandezza: l’eroico prié blanc.

IL VITIGNO
Dei 38 vitigni idonei alla coltivazione in Valle d’Aosta, il prié blanc è il solo autoctono a bacca bianca. In passato era coltivato in tutta la regione, complantato con altre varietà e utilizzato come uva da tavola o per tagliare i rossi; vinificato in purezza solo a Morgex e La Salle, un po’ perché in altura esprime quelle caratteristiche che a quote più basse non rivela, un po’ perché le aspre condizioni climatiche qui escludevano altre varietà. Punto di forza, un ciclo vegetativo molto breve: il germogliamento tardivo lo espone meno al rischio delle non infrequenti gelate tardo primaverili – ma non lo lascia indenne, come avvenne nel 2017 con la perdita del 100% della produzione – mentre la maturazione precoce consente di vendemmiare prima del sopraggiungere della neve. Punto debole: il rischio di marciumi, per via degli acini dalla buccia tenera e sottile, stretti nella compattezza del grappolo; anche se, in generale, le temperature rigide e le brezze lo proteggono dalle ampelopatie. Le caratteristiche ambientali, inoltre, non permettono alla fillossera di completare il ciclo biologico. Le viti, quindi, sono pressocché tutte franche di piede, esprimendo così le caratteristiche proprie e intrinseche del vitigno stesso. Questo comporta ulteriori vantaggi: la propagginazione, che permette di allevare preventivamente dei tralci “di riserva” che, quando andranno a sostituire una fallanza, avranno età già mature, in senso proprio e genetico; la propagazione del materiale originario: il fatto che a vivaio siano presenti due cloni – tendenzialmente, un po’ più produttivo uno, un po’ più spargolo l’altro – è questione più formale che sostanziale, perché ciascuno riproduce da sé la propria vigna, che sia attraverso propaggine o selezionando le marze. L’assenza di portainnesto determina anche viti molto vigorose: occorre non lasciare troppe gemme ma nemmeno troppo poche, per via della bassa fertilità.

IL SISTEMA DI ALLEVAMENTO
Il tradizionale sistema a pergola bassa (50-140 cm) nasce anche dal vantaggio di poter lasciare i tralci lunghi senza intervenire troppo presto. La pergola inoltre contrasta le forti raffiche di vento, garantisce maggiore stabilità della struttura in caso di abbondanti nevicate e consente di limitare i danni delle gelate, sfruttando la capacità del terreno e della struttura stessa di immagazzinare calore il giorno e cederlo nelle ore notturne. Un vantaggio che oggi va gestito con attenzione, in quanto, con le piogge improvvise e i grandi caldi che creano umidità, l’uva ha bisogno anche di ventilazione; occorre quindi sfogliare opportunamente per far circolare l’aria e lavorare costantemente l’erba. Per questo nel tempo le pergole si sono alzate un pochino, permettendo di lavorare un po’ più agevolmente. A sorreggerle, palature in legno, in pietra o in cemento: tendenzialmente in legno a La Salle, perché il bosco era più prossimo alle vigne; in pietra, per lo stesso motivo, a Morgex, mentre il cemento è più diffuso nei nuovi impianti. La più antica testimonianza di viticoltura locale è un lascito del 1291, che parla di una vigna donata alla plebania di Morgex, ma fino alla metà del Novecento il vino non ha una sorte molto diversa da tanti altri luoghi d’Italia: in un’agricoltura di sussistenza, le famiglie coltivano la vigna insieme a cereali e verdure, per fare vino e grappa destinati al consumo domestico o alle locali osterie. La svolta arriva proprio dal piccolo vigneto parrocchiale, quando nel 1946 giunge a Morgex, fresco di nomina, don Alexandre Bougeat: è a lui che si deve la nascita del Blanc de Morgex et de La Salle. Originario della Val d’Ayas, già vicario a Saint-Vincent con una parentesi da esule in Svizzera, fu un uomo sensibile e intelligente, di vasta cultura e grande umanità, solare e scherzoso; mise tutto se stesso al servizio di una comunità lacerata dalle miserie belliche, al punto da vincere la diffidenza dei parrocchiani verso quello che, al tempo, era considerato uno straniero. Si adoperò in molti ambiti per la collettività, ma segnò soprattutto la storia del suo vino. Con lungimiranza aveva infatti individuato nelle potenzialità vitivinicole un elemento di crescita economica e sociale per il territorio, che potesse ancorare la comunità alle proprie radici. Grazie alle conoscenze agrarie ed enotecniche affinò le vinificazioni, ad esempio raccogliendo l’uva in cassette da 3 chili e vinificandola in cantina e non all’aperto come si usava allora; il suo Blanc de Morgex iniziò a circolare negli ambienti ecclesiastici e la fama non tardò ad arrivare. Soldati e Veronelli furono suoi estimatori e nel 1966 la RAI gli dedicò un servizio televisivo, decretandone la fama internazionale. Pensò anche alle infrastrutture, prodigandosi nel progetto di allargamento viario “Strada delle vigne” per raggiungere i vigneti più elevati. Scompare prematuramente nel 1972, ma i viticoltori locali hanno ormai raccolto i suoi insegnamenti e cominciano a imbottigliare i propri vini, usando agli inizi tutti la stessa etichetta, per fare massa critica e far capire che il prodotto continuava a esistere. Nascono anche le prime forme di associazionismo: l’associazione dei viticoltori di Morgex e quella di La Salle, che poi si fondono; in seguito, nel 1983, rispondendo all’impossibilità dei viticoltori più piccoli di produrre vino autonomamente, viene fondata la cooperativa: la Cave Mont Blanc, che oggi rappresenta circa settanta soci e quasi due terzi del vigneto Doc.

LA DENOMINAZIONE
La Valle d’Aosta riconosce una sola denominazione di origine controllata “Valle d’Aosta” o “Vallée d’Aoste”, che abbraccia l’intero territorio regionale. In questi termini fu la prima in Italia, nel 1985. Invero, la prima Doc valdostana la ottenne il Donnas nel 1971 seguito, l’anno successivo, dall’Enfer d’Arvier; ma, nell’ottica di un migliore coordinamento, si preferì puntare sull’identità regionale. All’epoca, infatti, la produzione era suddivisa, numericamente e territorialmente, tra le sei cooperative, e la comunicazione risultava più semplice di quanto non appaia ora. La Doc (o, dal 2012, Dop) “Valle d’Aosta” o “Vallée d’Aoste” può infatti essere accompagnata da diverse indicazioni, anche combinate tra loro: vitigno, colore, tipologie di vinificazione; oltre, ovviamente, alle menzioni geografiche: Donnas, Arnad-Montjovet, Chambave, Nus, Torrette, Enfer d’Arvier e Blanc de Morgex et de La Salle. Il tutto, per un totale di oltre 30 sotto-denominazioni. Il Valle d’Aosta Blanc de Morgex et de La Salle è prodotto esclusivamente dal vitigno prié blanc. L’eventuale menzione vendemmia tardiva (o vendange tardive) è riservata ai vini ottenuti da uve sottoposte a parziale appassimento naturale sulla vite, mentre l’indicazione spumante (o mousseux) può essere utilizzata per designare i vini ottenuti esclusivamente per rifermentazione naturale in bottiglia e con permanenza sui lieviti di almeno 9 mesi, nelle tipologie che vanno da demi-sec a pas dosé.

IL VINO
Il vino nella versione ferma è sicuramente la tipologia più diffusa. Il colore è giallo paglierino e, come già osservava don Bougeat, anche a piena maturazione mantiene sfumature verdognole senza virare all’ambrato. In gioventù i profumi esprimono la freschezza della frutta a polpa bianca, delle erbe, della mandorla fresca; tipicamente fresco anche il sorso, tendenzialmente sapido e arricchito nel tempo da una complessità minerale. Lo spumante e il passito sono invece prodotti recenti, per quanto la combinazione vitigno-territorio risulti moto vocata per entrambe le tipologie. Per quanto riguarda gli spumanti, la sosta sui lieviti di 24/36 mesi è attualmente la tendenza più diffusa per combinare finezza ed espressività del vitigno, per quanto non manchino ottime eccezioni. La vendemmia tardiva, un tempo realizzata con la tecnica degli eiswein, oggi è ben difficile da praticare per via di un inverno che arriva sempre più tardi, costringendo a lasciare l’uva in vigna molti mesi, con il conseguente rischio di marciumi e stress per la pianta, oltre al danno economico di una produzione millimetrica; qualcuno preferisce quindi un meno rischioso appassimento in cassetta, che però la denominazione attualmente non contempla.

I CAMBIAMENTI CLIMATICI
Il generale innalzamento delle temperature non ha infatti risparmiato queste montagne. In parte, gli effetti sono stati positivi. Ad esempio, la Cave Mont Blanc è pronta a commercializzare le prime 50 (!) bottiglie di spumante rosato, da quando, nel 2010, ha iniziato una piccolissima coltivazione sperimentale di un vitigno autoctono a bacca rossa, il roussin de Morgex: oggi l’innalzamento delle temperature estive gli consente di arrivare a maturazione, anni addietro impensabile. Riguardo il prié blanc, dobbiamo ricordare che molti anni fa il vino raggiungeva gradazioni alcoliche troppo basse per ipotizzare una conservabilità nel lungo periodo (motivo per il quale fino a metà Novecento nessuno aveva pensato di imbottigliarlo o commercializzarlo), mentre negli ultimi dieci anni arriva anche a 12-12,5%, conferendo una struttura che permette di prevedere lunghi e interessanti affinamenti, e questo senza aver perso la caratteristica acidità. Di contro, questi caldi ne complicano la coltivazione, oltre che per i motivi già espressi, anche perché un germogliamento precoce induce maggiori rischi di gelate primaverili, e una vendemmia anticipata (a inizio settembre anziché alla fine o a inizio ottobre, come vent’anni fa), in caso di piogge, può esporlo a marciumi, per via delle temperature più alte anche di notte. A parziale rimedio, si stanno compiendo attente stime per elevare la quota altimetrica fino a 1.500 metri, ma la valutazione rischi-benefici è questione di non semplice soluzione. ◆