Prima il terroir, poi il vitigno. Ecco la sottozona Derthona

Prima il terroir, poi il vitigno. Ecco la sottozona Derthona

Territori
di Alessandro Franceschini
31 gennaio 2020

A Tortona la presentazione della nuova sottozona Derthona che debutterà probabilmente dalla prossima vendemmia. Cresce la superficie vitata a timorasso, così come il numero di aziende che puntano su questo antico vitigno autoctono un tempo quasi abbandonato, oggi amato e ricercato

Da vitigno bistrattato e quasi scomparso dalla mappa della viticoltura italiana, a porta bandiera dell’universo bianchista piemontese, soprattutto quello che ha ambizioni, più che legittime, a durare, e migliorare nel tempo. 

C’era il tutto esaurito, quasi inaspettato anche per i vertici del Consorzio, a Tortona venerdì 31 gennaio nel bel Museo Orsi per il debutto della due giorni dal titolo Derthona Due.Zero. «A partire dalla prossima vendemmia speriamo di poter mettere il nome Derthona anche in etichetta» è la fiduciosa speranza del presidente del Consorzio dei Colli Tortonesi Gian Paolo Repetto che ha illustrato i punti salienti della prossima sottozona che identificherà d’ora in poi i vini prodotti con l’autoctono vitigno timorasso, nell’ottica di volere donare sempre più importanza al territorio di origine piuttosto che al vitigno di partenza. 

Presentazione sottozona Derthona al Museo Orsi di Tortona

Saranno due le tipologie che verranno messe in commercio: un vino d’annata dal 1° settembre dell’anno successivo alla vendemmia (minimo 12,5% di alcol), e una Riserva, dal 1° marzo del terzo anno successivo alla vendemmia (minimo 13% di alcol). E in ottica di sostenibilità ambientale, anche il peso delle bottiglie sarà regolamentato, non dovendo superare i 600 grammi: «Si fanno troppe parole su questo argomento, ecco quindi il nostro concreto contributo per far girare meno vetro».

La cavalcata del timorasso

Oggi, nel tortonese vengono anche dalle vicine e blasonate Langhe – si pensi a Vietti, Borgogno o Roagna –  a investire, attirati dalle peculiarità uniche di un vino definito “un rosso travestito da bianco”, o viceversa. Ben diversa la situazione alla fine degli anni ’80 quando il timorasso non esisteva quasi più e rivide la luce con la vinificazione dei primi 10 quintali da parte dell’indiscusso pioniere e alfiere della zona, vale a dire Walter Massa. Se nel 2009 gli ettari erano ancora solo 25, oggi sono arrivati a 175. «Anche troppo» ha ammesso il presidente del Consorzio ricordando come l’anno scorso ci sia stata un’impennata del 57% in un colpo solo. Ora si pensa comunque ad una futura crescita, anche se controllata, con la previsione di arrivare a 350 ettari.

Gli ingredienti del Derthona: uva matura, buon senso e tempo

Sono questi i tre ingredienti che hanno fatto sì, secondo Walter Massa, che il Derthona sia considerato oggi un vino bianco di carattere in grado di donare il meglio di sé con il passare degli anni. Ovviamente presente a Tortona, nel suo intervento Massa ha ricordato gli albori del rinascimento di questo vitigno a bacca bianca difficile da allevare. « Mi dicevano: “lascia perdere!”. Li capivo, loro dovevano avere la cascina piena, noi invece volevamo qualità. Nel 1988 uscii sul mercato con 500 bottiglie e scoprii che il 1987 era migliore. E così l’anno successivo. Compresi che uno degli ingredienti fondamentali, che gli industriali non hanno, è il tempo». Massa ha sottolineato anche l’importanza dell’estratto secco che nel caso del Derthona è quasi da vino rosso. «Abbiamo blindato anche questo aspetto per avere più struttura: 17gr./l. nel vino di annata e 18 gr./l. per il Riserva, come un vino rosso. È un aspetto fondamentale da prendere in considerazione».

Walter Massa

Terreni nobili e uva difficile

A Davide Ferrarese, consulente viticolo di VignaVeritas, è spettato il compito di scendere maggiormente nel dettaglio di un territorio, quello del tortonese e in particolare quello della futura sottozona Derthona, particolarmente eterogeneo e dove le peculiarità legate alla vicinanza con la pianura padana o con l'Appenino ligure, devono fare i conti anche con differenti valli, altimetrie, esposizioni e, naturalmente, terreni. «Sia nell’area del Barolo che nei Colli Tortonesi abbiamo gli stessi suoli. Questo bacino, che risale a 25 milioni di anni fa, è costituito da conglomerati, arenarie e marne». Una similitudine che lo porta ad essere un luogo ideale per la barbera, oltre che per il timorasso, e che lo caratterizza per avere differenti microclimi che in futuro potrebbero portare anche ad una mappatura dei cru presenti, tipica dei grandi territori del mondo del vino.

Le caratteristiche del vitigno timorasso? «Non esiste una selezione clonale, ma massale – ha continuato Ferrarese –. L’acino è medio-grande con grappoli che tendono a chiudersi, quindi sono succosi e ricchi. Ha germogliamento precoce, crea affastellamenti nella vegetazione, quindi richiede una particolare cura della parete verde, altrimenti marcisce facilmente». Insomma, è un’uva di grande qualità, ma bisogna stare molto attenti, tanto che al sole brucia facilmente se non si gestisce bene la parte vegetativa. Per finire: non è un'uva generosa , ha rese basse e ha bisogno di tanto lavoro manuale. Facile, quindi, capire perché  in altri tempi, e con altre necessità, venne praticamente abbandonata. 

Davide Ferrarese

Longevità e complessità

Non è mancata una degustazione, condotta da Gianni Fabrizio, noto giornalista e critico del Gambero Rosso, che ha tratteggiato le peculiarità di 11 bottiglie di timorasso tutte della sottozona Derthona naturalmente, partendo dall’annata 2018, sino ad arrivare ad alcuni esemplari del 2010. Al netto della diversa mano interpretativa messa in campo da ogni produttore, è emerso un quadro molto frastagliato ed eterogeneo, così come lo è d’altronde lo stesso territorio di origine, con vini quasi sempre di bella tensione sapida, freschezza e con corredi aromatici a tratti più minerali, floreali e agrumati, oppure più fruttati e ricchi, che con il trascorrere del tempo si arricchiscono di balsamicità e note terziarie. Sempre generosa la componente alcolica, così come la struttura, due fattori quasi sempre ben armonizzati. È certamente un vino da attendere, come hanno dimostrato anche le bottiglie con più anni sulle spalle in degustazione – le uniche delle quali sono stati svelati anche i produttori (Ezio Poggio, I Carpini, Walter Massa, Andrea Mutti e Mariotto) – e che ora, con una sottozona tutta sua e dai connotati ben delineati, intende ritagliarsi un ruolo che vada oltre il vitigno.