Sua Maestà, il Barbaresco!

Sua Maestà, il Barbaresco!

Territori
di Marco Agnelli
24 agosto 2021

Fratello minore? Neanche per idea! Per anni considerato il figlio cadetto delle Langhe, Francesco Ferrari fa l’avvocato del Barbaresco decantandone maestosità e unicità in un vibrante appuntamento della rassegna Annessi & Connessi.

Spesso si parla del Barbaresco come del fratello minore del Barolo. Ma questo altro non è che un luogo comune, spiega Francesco Ferrari, oltre che un approccio che non gli rende giustizia. È invece più corretto affermare che Barbaresco e Barolo, pur essendo figli della stessa Langa ed essendo prodotti in areali prossimi tra loro, sono vini con evidenti differenze. Il Barbaresco si produce a Barbaresco, Neive, Treiso e nella frazione San Rocco Seno d’Elvio del comune di Alba. Il territorio può complessivamente vantare 66 Menzioni Geografiche Aggiuntive (MGA) e quelle che i francesi definirebbero cru. Mentre un tempo il Barbaresco si produceva quasi esclusivamente nel comune omonimo, negli ultimi anni si è assistito a un sensibile aumento della superficie vitata a Neive e a Treiso.

Il NebbioloPartiamo dal protagonista assoluto che, naturalmente, non potrebbe che essere il nebbiolo. Ferrari ama spesso sottolineare che è un vitigno che «esprime e non domina il territorio». Coltivato in soli 6200 ha in tutto il mondo, dei quali oltre 5000 in Piemonte, è considerato un vero e proprio traduttore del terroir. Il nebbiolo non impone la propria personalità, bensì racconta quella del terreno su cui cresce. E il territorio, nel caso del Barbaresco, ha una complessità geologica che risale a diversi milioni di anni fa.  Nel periodo del Miocene - circa 20 milioni di anni fa - in tutta questa zona, come in gran parte del Nord Italia, c’era il mare. Nel periodo serravalliano avevamo qui un mare profondo e ricco di correnti, tali per cui i depositi fluviali andavano al largo e si deponevano andando a formare strati di sabbia alternati a limi. Andando avanti nel tempo, i mari diventarono meno profondi e a depositarsi furono solo le particelle di limo, andando quindi a creare strati più compatti e meno sabbiosi. Queste due tipologie di terreno sono le Marne di Sant'Agata Fossili (di età tortoniana, 10-7 milioni di anni fa), caratterizzate da marne grigio-azzurre che sono la matrice dominante in questa zona, e la Formazione di Lequio (di età serravalliana, 12-11 milioni di anni fa) caratterizzata da marne compatte grigie alternate a strati di sabbia.

La viticoltura qui è nota sin dai tempi dei Romani. La zona era abitata dai Liguri Stazielli, una tribù bellicosa che viveva in una barbarica silva da cui, pare, derivi il nome Barbaresco. I personaggi che fanno la storia di questo vino sono molteplici e Ferrari li ricorda in un’appassionante carrellata.

Domizio Cavazza è considerato il padre del Barbaresco. Modenese di origine, a 25 anni fu chiamato a dirigere la Scuola di Enologia di Alba. Andò a vivere a Barbaresco, acquistò il Castello e, resosi conto della qualità delle uve del territorio che fino a quel momento erano sempre andate nel Barolo, si adoperò per consorziare un primo storico nucleo di nove produttori che producessero un vino di Barbaresco da uve nebbiolo in purezza. La Cantina Sociale non sopravvisse purtroppo per molti anni alla scomparsa di Cavazza, e si dovette aspettare fino al 1958 quando Don Fiorino Marengo, parroco di Barbaresco, riprese il lavoro di Cavazza. La cantina sociale di Barbaresco, nota come Produttori del Barbaresco, è forse la più importante realtà cooperativa d’Italia. Con l’attenzione costantemente rivolta alla qualità e con prezzi abbordabili anche sulle Riserve, possiamo tranquillamente affermare, come sottolinea Ferrari, che «se Gaja ha fatto conoscere Barbaresco nel mondo, Produttori del Barbaresco lo ha fatto bere».

E veniamo dunque ad Angelo Gaja. Il papà di Angelo, Giovanni, puntò da subito alla qualità assoluta tramite la riduzione delle rese. Angelo entrò in azienda nel 1961 e già a partire dall’anno successivo scelse di non comprare più uve da alcun conferitore. La filosofia aziendale prevede di non fare uso delle MGA. Gaja produce un Barbaresco classico da una trentina di vigne diverse e altri tre Barbaresco con un nome di fantasia (Sorì San Lorenzo, Sorì Tildin e Costa Russi).

Bruno Giacosa era invece un mediatore, noto come il più grande conoscitore di vigne e il più grande assaggiatore di uve delle Langhe. Sapendo riconoscere perfettamente la loro qualità, comprava le uve e, nonostante non fossero quelle provenienti dalle sue vigne, è stato in grado di produrre vini leggendari. A differenza di Gaja, la sua politica è sempre stata quella di puntare a identificare il vino con la vigna di provenienza.

Le MGA del BarbarescoLa grande svolta nella storia del Barbaresco fu la modifica del disciplinare nell’anno 2007 con l’aggiunta delle MGA. Barbaresco fu la prima denominazione in Italia ad introdurle. Andiamo dunque a fare la conoscenza del territorio aiutandoci con le meravigliose mappe di Alessandro Masnaghetti (Barbaresco MGA, ENOGEA).

Il comune di Neive ha 20 MGA, disposte su due macroaree distinte. Qui generalmente si producono vini con meno struttura e complessità rispetto a quelli provenienti dal comune di Barbaresco e meno tesi e austeri rispetto a quelli di Treiso. Le principali Menzioni di Neive sono: Gallina, Albesani, Basarin, Cottà, Currà e ultimamente stanno arrivando risultati interessanti anche da Starderi e Serraboella. Spostandoci verso sud andiamo nel comune di Treiso, dove troviamo altre 20 MGA. È il comune con altimetria più elevata, da cui provengono vini austeri, di grande freschezza e con tannini decisi. Tra le più importanti: Marcarini, Pajorè, Rizzi, Nervo, Bernadot. San Rocco Seno d’Elvioè la prosecuzione geologica di Treiso; è una frazione di Alba, ma la suddivisione è solo amministrativa, tanto che delle sue 4 MGA, 3 sono condivise con il comune di Treiso. L’unica menzione esclusiva è Rocche Massalupo. Barbaresco è, naturalmente, il comune in cui si è fatta la storia di questo vino. Con un totale di 25 MGA, da qui si ottengono i Barbaresco tendenzialmente più strutturati e complessi, più classici e più eleganti. Il comune è diviso in due versanti (occidentale e orientale) e comprende in tutto quattro zone di produzione: la zona che racchiude Ovello, Montefico e Monfestafano; il crinale che va da Secondine a Muncagota; la valle degli Asili; la valle da Roccalini a Pajorè. Tra le principali MGA ricordiamo: Asili, Rabaja, Martinenga, Pora, Ovello, Montestefano, Pajè, Secondine, Roncagliette, Roncaglie.

Non possiamo che chiudere la serata con la degustazione di un grande vino. Ferrari per l’occasione sceglie di raccontarci il Barbaresco DOCG Rabaja Riserva 2011 diGiuseppe Cortese. Figlio di un’annata non considerata particolarmente esaltante al momento della sua uscita - colpevole forse solo di arrivare dopo una monumentale 2010 -, questo vino è oggi in stato di grazie e perfettamente pronto. Da vigne di oltre 70 anni, fa fermentazione spontanea in vasche di cemento non vetrificate, 35 giorni di macerazione a cappello sommerso con rimontaggi. Affina per 40 mesi in botti di rovere e poi per altri 36 in bottiglia. Bellissimo colore granato lucente, naso di ampiezza ed eleganza classiche, con fiori di viola e iris, gelatina di lamponi e fragoline e a seguire note di menta e note speziate di garofano. Chiudono poi humus e foglie secche, tipiche del Rabaja. All’assaggio goloso e accattivante, con una struttura tattile importante che sorregge il gusto del vino. Ritornano con coerenza il piccolo frutto e la nota balsamica in retrolfazione.