Vino Nobile di Montepulciano. Si ricomincia dal territorio e dai vitigni autoctoni

Vino Nobile di Montepulciano. Si ricomincia dal territorio e dai vitigni autoctoni

Territori
di Alessandro Franceschini
20 maggio 2021

A Montepulciano i primi assaggi, durante le Anteprime Toscane, della nuova tipologia Pieve. Saranno 12 le future sottozone, solo vitigni autoctoni da vigneti di almeno 15 anni. I primi vini in commercio nel 2024.

Non abbiamo inventato nulla, ma ci siamo riappropriati di qualcosa che forse stavamo dimenticando”. E ancora: “C’è un territorio che ha riscoperto la voglia di progettare e crescere”. Sono alcune delle considerazioni da parte dei vertici del Consorzio che hanno accompagnato la presentazione della futura nuova tipologia del Vino Nobile di Montepulciano che prenderà il nome di “Pieve” e debutterà sul mercato, se tutto l’iter burocratico procederà nel verso giusto, nel 2024 con i primi campioni della vendemmia 2020.

Un ritorno al passato? In realtà no. Una riappropriazione dell’essenza più autentica di un vino dalla storia antichissima, ma che probabilmente negli anni ha lentamente ceduto il passo in termini di identità e qualità media? Probabilmente sì. In realtà solo fra tre anni, contando il numero di realtà che effettivamente debutteranno con questa nuova tipologia – la terza dopo quella che ricalca il nome della denominazione e la Riserva – e soprattutto assaggiando il risultato nel bicchiere, capiremo se siamo "all'inizio di una nuova storia", con un cambio di passo deciso rispetto al recente passato.

La carta d’identità delle Pievi

Sono 12 le Pievi individuate – Cervognano, Cerliano, Caggiole, Sant’Albino, Valiano, Ascianello, San Biagio, Le Grazie, Gracciano, Badia, Argiano e Valardegna – di fatto delle future UGA (Unità Geografiche Aggiuntive) che coprono l’intero territorio della denominazione. I confini riprendono il lavoro di zonazione condotto qui negli anni ’90, la mappatura realizzata da Alessandro Masnaghetti, nonché i toponimi territoriali che si riferiscono alle antiche “Pievi” con le quali era diviso il territorio di Montepulciano in epoca tardo romana e longobarda.

Suddivisione che trova una radice storica anche nel catasto Leopoldino del ‘800, che appunto citava le differenti sottozone di questo territorio. Le diverse tipologie di suoli – da quelli più antichi del pliocene marino sabbioso o limo-argilloso a quelli più recenti del pleistocene – dislocati all’interno delle differenti Pievi donano un quadro composito della denominazione. L'obiettivo è che poi emerga con nitidezza anche nei vini che riporteranno questa menzione in etichetta. 

Solo vitigni autoctoni e una commissione di assaggio

Non secondario in questa nuova tipologia, è il ruolo dei vitigni: il sangiovese sale all'85% con un eventuale saldo del 15% tra ciliegiolo, mammolo, canaiolo e colorino, quest’ultimo per un massimo del 5%. Un legame stretto, quindi, con classici vitigni autoctoni toscani, senza alcuna ammissione per gli alloctoni, invece consentiti fino al 30% nelle altre tipologie dell'attuale disciplinare. A questo bisogna aggiungere l'età dei vigneti, che deve essere di almeno 15 anni, le rese, al massimo di 70 quintali per ettaro, un affinamento di 36 mesi totali (minimo 12 in legno e minimo 12 in bottiglia). Il tutto verrà, infine, certificato da una commissione di assaggio interna che si aggiungerà a quella di Valoritalia e che deciderà se un vino abbia o meno tutte le carte in regola per diventare Pieve.

I primi assaggi

La prima degustazione delle 12 Pievi, con vini relativi alla vendemmia 2020, quindi tutti abbondantemente in fieri vista la gioventù e considerando che devono sostare in botte e in bottiglia ancora tre anni, ha messo in luce con buona chiarezza quell'eterogeneità e quella forza proveniente dai differenti terroir che i vini poliziani hanno deciso di inseguire con maggior forza rispetto al passato.
Se la componente fruttata, con differenti sfumature, accompagna più o meno tutte le Pievi, quella spiccatamente speziata o floreale, invece, si ritrova in modo più o meno accentuato a seconda della presenza o meno dei vitigni complementari nel blend finale e della differente matrice dei terreni, al netto della componente altimetrica e dell’esposizione, che ovviamente non sono certo fattori secondari.
Anche al palato, oltre a essere presenti acidità o sapidità più o meno marcate a seconda dei casi, è soprattutto la grana del tannino a mettere dei paletti, in alcuni casi ben definiti, tra una Pieve e l’altra. Tutti aspetti che in futuro, a distanza di anni e con un buon numero di annate in commercio, potranno probabilmente fornire una vera e propria mappa sensoriale e gustativa delle Pievi in grado di fotografare con più cura e consapevolezza, come merita, questo territorio.