Luigi Moio, “Con la mente nel vino. La mia passione per l’eccellenza”

Luigi Moio, “Con la mente nel vino. La mia passione per l’eccellenza”

Vita da Winemaker
di Sara Passerini
24 agosto 2021

Per la rassegna WHO - Wine Host Opinion - il Professor Luigi Moio ci ha raccontato il percorso che l’ha portato dapprima ad allontanarsi dal vino e poi, quasi compiendo un giro di spirale, a riavvicinarsene dopo aver compiuto esperienze diverse, provando con umiltà a tenere insieme l’agire empirico del vignaiolo e i mille dubbi del ricercatore.

Quando si prova a raccontare un incontro che si apre col monito che si deve studiare, approfondire, e studiare ancora, e si conclude con il Professor Moio che avverte «bisogna dire cose un po’ più vere: la verità è un altro modo di comunicare la bellezza… È chiaro che c’è emozione, ma non può esserci solo emozione: il vino è una cosa seria!», beh, la sfida sembra ancora più avvincente. Così, con Il respiro del vino da una parte e la tastiera del computer dall’altra, si cerca di trasmettere in forma scritta il percorso di tanti anni di studio e pratica, quell’insieme di dubbi e consapevolezze, scoperte e incontri che abbiamo ascoltato e che ci ha lasciati un po’ storditi e molto ammaliati.

Nella famiglia Moio, il vino era affare di casa: il padre Michele aveva un’azienda agricola e il desiderio che il figlio diventasse enologo. Così, a tredici anni, Luigi va ad Avellino per frequentare la Scuola Enologica, e poi da lì a Portici, alla Facoltà di Scienze Agrarie dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Proprio qui incontra il professor Francesco Addeo, docente di Chimica e Tecnologia del Latte che lo inizia allo studio della caseina.

Il percorso dal latte al vino avviene in Francia, più precisamente nel Laboratorio di Ricerca degli Aromi, a Digione. Moio racconta di una passeggiata nei vigneti della Côte d'Or, un giorno d’autunno, con le vigne imbiondite e invermigliate, e da lì comincia lo studio – teorico e pratico – dei vini della Côte de Nuits e della Côte de Beaune. Le degustazioni accese e vibranti con i colleghi lo portano a una scoperta pazzesca: è possibile legare il vino al suolo e riconoscere una denominazione dall’assaggio del vino. Possibile, certo, ma solo se il vino non ha difetti, se presenta caratteri di tipicità e una continuità sensoriale al di là dell’annata e del produttore.

La Borgogna, per Moio, è stata la zona di studio privilegiata perché molte variabili erano azzerate (stesso sistema d’allevamento, uguali portainnesti e stesse vinificazioni) e la variabile principale era proprio il suolo. Così ci addentriamo nei concetti di terroir, vino di terroir, aromi del vino e funzione dei precursori.

La definizione di terroir è stata codificata a Tbilisi, dall’OIV: «Il Terroir viticolo è un concetto che si riferisce a un’area nella quale la conoscenza collettiva delle interazioni tra caratteri fisici e biologici dell’ambiente permette la sua evoluzione attraverso l’applicazione di pratiche colturali. Questa interazione crea caratteristiche distintive per i prodotti che hanno origine in quest’area. Il Terroir comprende una specificità di suolo, di topografia, di clima, di paesaggio e di biodiversità». In parole povere, il terroir è la terra nella quale una pianta vegeta, curata dall’uomo; l’insieme delle condizioni naturali del luogo (suolo, esposizione, microclima) che interagiscono con la pianta.
Dalla definizione di terroir si può capire cosa intenda il Professore per vino di terroir (o di territorio): un vino che, così come è fatto, è fatto solo in quel luogo. Sembra banale: un luogo è diverso dall’altro e così dev’essere il vino, se quel vino è di qualità. Un vino di terroir è un vino che nasce da un'uva in un vigneto in equilibrio e che dà un vino di equilibrio, l’espressione più vera del luogo in cui è stato prodotto, grazie all’armonia tra vigna e ambiente.

Orchestra olfattivaPer meglio capire il concetto possiamo immaginare due situazioni: nella prima c’è equilibrio in vigna e nella vinificazione e il risultato è un grande vino, nel quale si «sente la terra» ovvero si sente l’orchestra olfattiva diretta dall’uomo e suonata dalle stagioni e dall’ambiente sulla partitura del grappolo; nella seconda c’è squilibrio in vigna o nella vinificazione, l’enologo interviene per correggere gli squilibri e si ottiene un vino che, nel migliore dei casi, è buono, ma standard.

Per quanto riguarda gli aromi la questione è veramente complessa. Moio ci descrive come «dopo tanto lavoro, si è riusciti a identificare le quattro molecole del Pinot Nero». È il 1995 quando viene pubblicato questo studio in cui, per individuare le molecole, ci si è avvalsi sia dell’approccio sensoriale sia di quello strumentale. Durante l’esposizione, il Professore ci mostra una sua fotografia in laboratorio, chino sul macchinario, nel pieno dello sniffing: l’estremità della colonna del macchinario viene sdoppiata e da un lato l’uomo segnala la percezione dell’odore nel momento in cui lo sente (analisi sensoriale) mentre dall’altro il flusso gassoso arriva al rilevatore fisico-chimico (analisi strumentale). Questa pratica rivela ben presto che l’intensità di un odore non è direttamente proporzionale alla quantità della molecola presente e che la differenza olfattiva tra due vini è dovuta più probabilmente all’equilibrio e alla relazione tra le molecole che non alla presenza di particolari composti odorosi.

Luigi Moio confida: «ho avuto l’opportunità di annusare il frazionamento di tutti i più importanti vini del mondo» ed è proprio da questi studi e dal gruppo di lavoro dedicato che viene elaborato l’Aromagramma, che permette di ottenere l’impronta olfattiva di ogni vino. Sono quelli gli anni di un altro proficuo incontro, quello con Abbot, una ricercatrice australiana che estraeva i precursori aromatici simulando in breve tempo l’evoluzione che poteva avere un vino e la sua espansione aromatica. I precursori, infatti, generano odori durante l’invecchiamento e sono presenti nei vini destinati a lunga vita. Si sviluppa così la biochimica dei precursori aromatici, fondamentale per conoscere il vino “a priori” e permetterci di prevedere cosa accade a un grappolo (e a un vino) dopo l’ammostatura.

Cambiamento climaticoNel concetto di vino di terroir l’ambiente e il suo equilibrio giocano un ruolo fondamentale. Il cambiamento climatico in atto provoca delle conseguenze anche in vigna: l’innalzamento delle temperature causa un aumento del pH dell’uva, un aumento del potenziale alcolico, processi di surmaturazione (che determinano un’omologazione con la perdita dell’effetto varietale e dell’effetto terroir), la sofferenza di alcune uve, il cambiamento nei criteri di selezione di un vitigno in un determinato luogo, modificando la stabilità degli antociani e traducendosi in vini meno longevi.

A questo punto c’è il ritorno al vino, di cui parlavamo all’inizio: «con tutte queste cose nella testa,» confessa Luigi Moio, «è ancora più difficile voler fare il vino». Ma nel 2001 lui e Laura Di Marzo ci provano, s'innamorano di una collina della dorsale appenninica - nell’interno della Campania - e la vitano, costruiscono la casa, la cantina, studiano la terra su cui e con cui fare quel vino di terroir. Collocata a un’altitudine di 400-600 m s.l.m., ottime escursioni termiche, inverni freddi ed estati miti, terreni argillosi, calcarei, vulcanici, confluenza di tre zone a Denominazione che non si sovrappongono - proprio nel rispetto dell’armonia tra pianta e terra -, Quintodecimo è a Mirabella Eclano, in piena Irpinia, nel cuore della zona del Taurasi.

La storia dell’azienda è nota, ma ci preme condividere il pensiero di Moio sulla figura dell'agronomo: «un assistente del processo di creazione», che deve intervenire il meno possibile aiutando la pianta a produrre uve sanissime, mature e funzionali al vino, creando i presupposti per una perfetta transizione dall’uva al vino. Parlandoci del suo aglianico accenna al lavoro in vigna, a come dopo la raccolta si debba aprire bene la terra e tenerla asciutta, alle potature estreme - fino a lasciare una sola gemma -, alle sfogliature, all’eliminazione dei grappoli, anche in fase di invaiatura, per lasciarne quattro, al massimo cinque per pianta per permettere una migliore ventilazione e al vinacciolo di maturare bene. E poi ci parla della vinificazione in vigna, di come le uve, a mano a mano che vengono colte, siano portate immediatamente in cantina ad ammostare.

Infine, si sofferma su quello che considera uno strumento fondamentale per fare vini longevi, importantissimo per l’espressione di un vino di terroir, la barrique: uno strumento tecnologico, un contenitore attivo, un catalizzatore di reazione. Necessaria non tanto - come erroneamente si crede - per il suo impatto aromatico, piuttosto perché nei rossi accelera la polimerizzazione dei tannini, con ossigeno e tannini che lentamente entrano in contatto fra loro e stabilizzano il vino. Nei vini bianchi è utile in fase di fermentazione, ci insegna l’Enologo. Storicamente, per essere stabilizzati, i vini bianchi subivano chiarifiche dopo la decantazione, eliminando in questo modo anche i precursori aromatici, soprattutto in uve non troppo dotate. Per evitare la chiarifica e stabilizzare il vino, ecco che entra in gioco lo strumento barrique: una fermentazione in questo contenitore, anche solo del 30% delle uve, permette di stabilizzare le proteine di tutto il vino, aumentandone di conseguenza anche la longevità.

La Grande Cuvée Luigi MoioIl Professor Moio chiude il seminario raccontandoci della creazione e delle modifiche del logo aziendale, e incuriosendoci con l’ultima etichetta di Quintodecimo, un vino creato per celebrare i vent’anni dell’azienda, La Grande Cuvée Luigi Moio, che unisce il corpo e la potenza del greco alla tensione e vivacità della falanghina e all’eleganza del fiano. Un risultato che supera in equilibrio, armonia e longevità la semplice somma degli addendi.

Per un attimo accenna al nuovo libro su cui sta lavorando, un testo che tenta di ricostruire l’evoluzione storica del profumo del vino, e poi ci mostra un breve filmato sulla Grande Cuvée. Tutto interessante, ma la cosa più toccante è vedere – nel piccolo riquadro di lato allo schermo - il viso soddisfatto di chi sa di aver fatto e di fare ogni giorno il proprio lavoro al meglio.