Vita da Winemaker - Gabriele Picchi

Vita da Winemaker - Gabriele Picchi

Vita da Winemaker
di Giordana Talamona
26 novembre 2015

Proprietario dell’omonima azienda, Gabriele Picchi riesce a sublimare esattamente l’etica che dovrebbe avere l’enologo moderno, rimanendo in perfetto equilibrio tra tecnologia e tradizione, senza che l’una l’abbia vinta sull’altra...

Gabriele PicchiQuesto si traduce in una perenne ricerca delle nuove tecniche di coltivazione e cantina, in grado di esaltare il suo territorio - l'amato Oltrepò Pavese - senza tradirne le secolari tradizioni. Si divide tra l'azienda di famiglia e la Cantina Torrevilla di cui è l'enologo. Oltre ad essere relatore del corso di primo livello per Ais Lombardia, tiene anche i Master AIS di Viticoltura e Cantina per la delegazione di Milano. La sua "croce e delizia" si chiama Pinot nero, un vitigno che - confessa - «sa metterti alla prova anno dopo anno ma che, se addomesticato in base all'annata, sa dare in Oltrepò vini di grande potenza cromatica ed eleganza gusto-olfattiva».   

Come si divide tra l'omonima azienda di famiglia e la Cantina Torrevilla?

La mia giornata è lunga, ma posso sempre contare su un gruppo di persone, altrettanto capaci e appassionate con le quali condividere il lavoro che è un piacere, non soltanto un dovere.  

Quali sono le due filosofie produttive?

Quella di famiglia è una piccola realtà che produce circa quaranta mila bottiglie all'anno. Per tutti i prodotti c'è una particolare attenzione alla lavorazione in vigna dove siamo molto attenti e meticolosi: dalla raccolta delle uve, eseguita tutta a mano in cassetta, fino alla conseguente vinificazione, la volontà primaria è che venga espresso il nostro terroir. Torrevilla, invece, è una grande realtà, una delle più importanti dell'Oltrepò, che produce circa tre milioni di bottiglie l'anno, con un ampio ventaglio di linee e una distribuzione capillare su più canali. Qui il buon rapporto qualità/prezzo, importante nella mentalità aziendale, è sempre stato riconosciuto e apprezzato dai clienti. Da alcuni anni però, grazie a importanti investimenti nello studio del territorio e dei vigneti, si stanno producendo eccellenze negli spumanti e nei vini. Questo progetto, facendo parte del team di lavoro, mi permette di essere molto orgoglioso di questa realtà. 

Il Pinot nero è il vitigno portabandiera dell'Oltrepò. I francesi lo chiamano l'enfant terrible perché è difficile da coltivare. È proprio così?

Sì, perché è un vitigno capriccioso, che ha bisogno di trovare delle condizioni climatiche particolarmente adatte per esprimersi al meglio, altrimenti rischia di diventare poco elegante e fine. È un vitigno che annata dopo annata sa metterti alla prova, perché spesso quando pensi d'averlo capito ti fa tornare coi piedi per terra. Ogni annata, quindi, dev'essere capita e trattata per quella che è, curando il Pinot nero dalla vigna sino alla cantina, senza mai abbassare la guardia. In Oltrepò trova delle condizioni ideali per le basi spumante metodo classico, in particolare nelle zone calcaree dell'alta collina, mentre per i vini rossi si esprime molto bene nelle zone di bassa e media collina.  

C'è un maestro che l'ha ispirata? 

Il primo è il professor Leonardo Valenti, mio professore durante il corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia. Lo considero quasi un padre putativo, perché c'è sempre stato nel mio percorso professionale e contribuisce giornalmente ad arricchire la mia formazione tecnica. Un'altra persona importante da cui ho imparato moltissimo è l'enologo Guerrino Saviotti direttore di Torrevilla, con cui ho iniziato a lavorare quando avevo soli ventitré anni. Lavorando gomito a gomito con lui in tutti questi anni credo di essere cresciuto moltissimo come professionista. 

Primo ricordo in vigna?

Ce ne sono tanti, dal momento che sono cresciuto in campagna da una famiglia di viticoltori. Ricordo in particolare che aspettavo il rientro dai campi di mio nonno: pochi metri sul trattore, accanto a lui, mi bastavano per essere felice.   

Il più importante principio che le hanno tramandato i suoi genitori? 

Che in campagna bisogna saper far tutto, da guidare il trattore, a potare la vite, sino a saper piantare dei chiodi per sistemare i filari. Non a caso, quando ho iniziato ad andare all'Istituto Agrario di Voghera, avevo già fatto una buona pratica nell'azienda di famiglia. In seguito, con gli studi, ho iniziato ad apprezzare gli aspetti più tecnici e raffinati dell'enologia, ma senza quel lavoro a stretto contatto con la campagna, la mia formazione sarebbe stata parziale.

A che età il primo assaggio di vino?

In tenerissima età, proprio come accade con mia figlia Anna. Quando le mostro il vino che ruota nel bicchiere e le faccio sentire il profumo, fa certi sorrisi che non ci si può credere.

Preferisce lavorare in vigna o in cantina?

Una parte non avrebbe senso senza l'altra, tanto che se un'azienda mi chiedesse di scegliere, mi metterebbe in grande difficoltà perché amo entrambi gli aspetti di questo lavoro. Senza contare che l'enologo moderno è colui che segue l'intero processo di produzione, dalla vigna alla cantina. Oggi è importante, infatti, lavorare bene nel vigneto per ottenere quella complessità nell'uva, che in seguito una buona vinificazione potrà farci ritrovare nel vino.  

Cosa insegna la campagna a chi sa capirla?

Che per ottenere dei risultati, te ne devi prendere cura. Non ci sono giorni di pausa in campagna, perché occorre seguire i ritmi della natura e il susseguirsi delle stagioni, esattamente come una volta. È un principio talmente naturale, ma poco scontato nel mondo frenetico di oggi, che diventa quasi filosofico, perché stare in campagna aiuta a vivere il presente, giorno dopo giorno. 

La riscoperta auspicabile?

Quella delle annate. Oggi ci aspettiamo che ogni annata sia eccezionale, e sicuramente la qualità media è enormemente migliorata rispetto al passato, grazie alle nuove tecniche utilizzate in vigna e in cantina. Non dobbiamo dimenticarci, tuttavia, che se vogliamo rimanere fedeli a ciò che la natura sa darci, ogni annata dovrebbe essere differente da quella precedente. È un concetto che si sente comunicare poco, forse perché non è commerciale dirlo a chiare lettere. A me, al contrario, piace degustare un vino cercando di capirne le caratteristiche attraverso l'annata, apprezzandone le differenze tra l'una e l'altra.  

Lei è anche docente AIS e tiene innumerevoli Master in cantina e in vigna. È un lavoro che ama?

Sì, molto, dedico tanto impegno nella preparazione delle mie lezioni, ma ciò che mi torna indietro dalle persone che frequentano i corsi è molto di più. Sono tutti davvero appassionati e mi seguono con entusiasmo, sia durante le lezioni che nelle uscite in campo. Questo mi gratifica molto. 

Il futuro?

Non ci penso, perché preferisco vivere il presente. Credo che, tanto più oggi che si corre troppo, sia più importante godersi il percorso che arrivare troppo in fretta alla meta. Per ora non metto alcun limite al futuro, poi si vedrà.  

Biografia 

Gabriele Picchi è nato a Broni 14 marzo 1979. Si diploma Perito Agrario nel 1998. La laurea in Viticoltura ed enologia arriva nel 2003, lo stesso anno in cui comincia a lavorare con enologo per Torrevilla. È stato Consulente enologo presso Vigne Olcru dal 2012 al 2014. 

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