Lorella Zoppis Antoniolo

Lorella Zoppis Antoniolo

Interviste e protagonisti
di Alessandro Franceschini
18 giugno 2010

Nel 1974 Gino Veronelli consigliò a mamma Rosanna di imbottigliare separatamente i vini provenienti dai singoli vigneti. Era, ed è, il concetto di cru d’oltralpe memoria...

Tratto da L'Arcante 13

Lorella Zoppis AntonioloOggi è quasi un imperativo, sin troppo abusato probabilmente, ma allora poteva sembrare un azzardo. Anzi, lo era: "Non erano tempi semplici". L'invasione di vini etichettati genericamente "Spanna" aveva quasi uniformato commercialmente un territorio, quello del nord Piemonte, profondamente eterogeneo al suo interno: dai terreni morenici di Ghemme salendo sino ai porfidi di Boca e Gattinara, o spostandosi verso le sabbie di Lessona, percorrendo il bordo del Sesia, il nebbiolo assume connotati diversi, unici. Presentarsi addirittura come "Osso San Grato" o "San Francesco" o ancora "Castelle" significava andare oltre il sentire comune, all'interno di un territorio profondamente cambiato nel corso del tempo. "La vedi questa foto in bianco e nero? E' Gattinara ai primi del novecento": poche case ed un fiume ininterrotto di vigneti. Oggi un abitato ovviamente cresciuto, capannoni e boschi, tanti boschi, con macchie di vigneti qui e là. Un destino comune a tutta questa propaggine piemontese, crocevia tra la Lombardia e la Svizzera, svuotata del legame con la terra quando la fabbrica richiamò moltissimi vignaioli altrove, per trovare fortuna e, soprattutto, sicurezza economica. "Noi comunque, di fatto, già allora vinificavamo separatamente i singoli vigneti". Quei tre Gattinara oggi rappresentano un'icona stilistica unanimemente riconosciuta, ammirata ed ambita da chi vuole entrare nell'essenza nebbiolesca nord piemontese. "Basta però fare confronti con le Langhe!". La determinazione non manca a Lorella Zoppis Antoniolo: pratica, diretta, non ama troppi giri di parole e soprattutto ha l'indubbia dote di metterti a tuo agio attraverso quella cortesia semplice e sincera, dote assai rara in tempi di smancerie di facciata. Tra il liceo scientifico e l'impegno a tempo pieno nell'azienda di famiglia una parentesi da fiscalista. "Ma mi annoiavo". Quindi la decisione di occuparsi integralmente di nebbiolo: "In realtà in azienda ci sono stata sin da piccola, quando oliavo i tappi prima dell'imbottigliamento ed incollavo le etichette per guadagnarmi la paghetta".
Cartello Vini AntonioloC'è tanto da fare nel nord Piemonte, ma dalla calma piatta e dal costante lamentio di fondo sembra che finalmente si sia passati ad una presa di coscienza di quello che si è, e soprattutto di quello che si potrebbe essere. Oggi alla conduzione dell'azienda di famiglia insieme al fratello Alberto è arrivato, quasi all'improvviso, anche l'impegno nel Consorzio Tutela Nebbioli Alto Piemonte: "Nel 2008 mi chiedono di fare il presidente, ma c'erano delle perplessità da parte mia perchè non ci avevo mai pensato". Una donna alla testa di un consorzio che racchiude nove denominazioni non è una scommessa da poco: "L'essere donna può creare problemi. Oggi molto meno però". Essere in prima linea, evidentemente, deve essere un timbro di famiglia se già sua mamma fu tra le fondatrici dell'Associazione Nazionale delle Donne del Vino. "Se faccio una cosa voglio farla bene" e, non c'è che dire, gli ultimi tempi hanno visto, come raramente è capitato, un fermento vivo da queste parti: prima il convegno per festeggiare i dieci anni del Consorzio, poi un banco d'assaggio letteralmente preso d'assalto a Stresa, sulle sponde di quel Lago Maggiore, da sempre, croce e delizia. "C'è sempre stata poca presa di coscienza del territorio". Più facile trovare un nero d'Avola o un dolcetto piuttosto che ambire ad "un sorso di Gattinara, purchè vero", come chiedeva Mario Soldati in un bel racconto del 1959. Già allora c'era lo stesso problema se un oste riuscì a far inalberare il più grande cantore italiano di cibo e vino dicendogli: "No, non abbiamo nessun Gattinara. Guardi, le do del Chianti che è buonissimo". Oggi tra i ristoratori del lago così come tra quelli del turismo montano del vicino Monte Rosa qualcosa sta lentamente cambiando. Ma non basta: "bisogna riuscire a portare i turisti da quei luoghi anche da queste parti, far conoscere vini, riso e salumi". Fare sistema, squadra: un compito che qui, come altrove d'altronde, rappresenta la madre di tutte le sfide, decisiva se si vuol vendere un territorio, nel suo complesso, e non singole individualità.

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