Barbaresco. Architetture volanti

Barbaresco. Architetture volanti

AnnIverSary60
di Valeria Mulas
19 settembre 2025

Nove calici, nove espressioni e un viaggio, collina dopo collina, accompagnati dalla voce e dalla profonda conoscenza di Armando Castagno. Il sessantesimo compleanno dell’Associazione Italiana Sommelier si è aperto con un grande omaggio a uno dei vini più affascinanti del panorama italiano.

«Il più grande vino italiano». Lo ha definito così, Armando Castagno, il protagonista della prima delle cinque masterclass organizzate da AIS Lombardia e dedicate al sessantesimo compleanno dell’Associazione Italiana Sommelier. Il Barbaresco, con la sua struttura solida, le sue forti radici e il suo slancio flautato, è talmente un’espressione autentica di terroir che, negli anni, e senza rincorrere mode, ha atteso che fosse il gusto dei consumatori a conformarsi alla sua unicità, al suo essere sé stesso, così duale nella sua natura da una parte strutturalmente stabile e dall’altra così leggiadra. Caratteri distintivi per il Barbaresco che, fin dal 1890, viene identificato come vino, che pur assecondando la scelta ampelografica dell’unico vitigno – il nebbiolo – e le caratteristiche derivanti dal luogo di coltivazione, porta in sé anche le peculiarità antropologiche e umane delle genti di queste terre. Un capolavoro che trattiene quindi tutte le caratteristiche del terroir, non ultimo il gusto e la cultura di un luogo, dove la miseria vera si è sempre mescolata al lavoro umile.

Barbaresco prima di essere Barbaresco

«Almeno dopo tutta quella fatica si fosse mangiato in proporzione, ma da Tobia si mangiava di regola come a casa mia nelle giornate più nere. A mezzogiorno come a cena passavano quasi sempre polenta, da insaporire strofinandola a turno contro un'acciuga che pendeva per un filo dalla travata; l'acciuga non aveva già più nessuna figura d'acciuga e noi andavamo avanti a strofinare ancora qualche giorno…». Con queste parole di Beppe Fenoglio, tratte da «La Malora», e pronunciate da Armando Castagno durante la serata, viene descritta perfettamente la povertà presente nelle zone intorno a Barbaresco a inizio Novecento. Una vita grama, che si stenta oggi a credere passeggiando per le stesse Langhe, ma che è ancora sedimentata nella memoria dei vecchi. Barbaresco ha tra le sue fortune quella di essere citata in molti testi che ci riconsegnano senza sconti «questa langa porca che ti piglia la pelle a montarla prima che a lavorarla» – sempre ne «La Malora» – e nello stesso tempo disegnano quel disincanto, quella misura così radicata nella gente langarola.

Barbarica Silva

Abitato fin dall’epoca preistorica, il villaggio di Barbaresco era coperto da fitti boschi dove vivevano le popolazioni barbare dei Liguri Stazielli. Con l’arrivo dei Romani questa zona prende il nome di Barbarica Silva, da cui deriva il nome attuale. Seguiranno i Visigoti di Alarico e i Saraceni: questi ultimi distruggeranno sia la città di Alba sia tutti i villaggi del circondario. Dal 970 al 1693 il feudo di Barbaresco inizia un vero e proprio “viaggio” di proprietà in proprietà: sembra diventare il dono prediletto da portare in dote o come scambio. Un giro tra Marchesi e Conti che lo trasferirà di mano in mano fino ai Conti Galleani.

La storia moderna di Barbaresco inizia dopo l’Unità di Italia quando, superati i possedimenti nobiliari, a Barbaresco arriva il prof. Domizio Cavazza (1856-1913), laureato in agrimensura e agronomia. Dopo aver lavorato come tecnico di laboratorio enologico a Montpellier proprio durante l’esplosione della fillossera nel 1878, torna in Italia e gli viene affidata la fondazione e la direzione della Regia Scuola Enologica di Alba. Qui si innamora non solo di una fanciulla, ma anche del Barbaresco. A lui dobbiamo la nascita della seconda cantina sociale italiana – dopo Oleggio, in Alto Piemonte – con nove soci e un’idea precisa di realizzare con il nebbiolo di Barbaresco «vini di lusso e da pasto».

La Cantina sociale di Barbaresco farà la fortuna del comune fino alla morte di Cavazza e all’avvento del fascismo, quando verrà chiusa. Bisognerà attendere, al termine della Seconda guerra mondiale, l’arrivo di Don Fiorino Marengo, un giovanissimo parroco di 22 anni, che introduce una serie di iniziative volte ad arricchire l’ormai misero e devastato paese di Barbaresco. Accanto alla realizzazione di un asilo per i più piccoli, di una filodrammatica e di una scuola di teatro, decide anche di ricostruire la cantina sociale Produttori di Barbaresco – come da ora in poi si chiamerà – con 19 soci (oggi 65). La grandezza di Barbaresco cresce con il tempo e grazie ai suoi produttori storici (ricordiamo qui Bruno Giacosa e la famiglia Gaja tra i tanti). A tutti loro dobbiamo il Barbaresco per come lo conosciamo: un vino dalle radici profonde, strutturalmente forte, che ha deciso, a differenza del suo rivale più noto, di giocare l’interpretazione della leggerezza, su suoni argentini invece che cupi.

La degustazione

Barbaresco DOCG Nervo 2021 - Rizzi

La nostra degustazione parte da Treiso, un comune in altura (410 m s.m.l.), situato a est di Alba e a sud di Barbaresco. In particolare, la MGA Nervo si estende per 21,70 ha, con 130 m circa di dislivello, esposto a Sud e regala vini di estrema finezza. Assaggiamo la produzione della famiglia Rizzi che possiede in questa area una vigna di 4 ha circa con piante dai 21 ai 58 anni di età.

Il calice esordisce sulle classiche note di violetta, legno di liquirizia e granatina, sullo sfondo di un velo di mentuccia e timo a donare un pizzico di balsamicità. Fresco e finissimo, fodera in leggiadria il palato con i sentori di liquirizia e piccoli frutti rossi, con l’aggiunta di una sfumatura ematica di grande carattere. Pulito ed equilibrato, dalla trama tannica misurata.

Barbaresco DOCG Giacone 2021 – Cascina Alberta

Restiamo nel comune di Treiso per scoprire l’espressione della MGA Giacone di Cascina Alberta, una vigna di 1,4 ha con esposizione Sud-Sudovest e piante di 40 anni di età in media. Siamo proprio al di sopra delle favolose Rocche dei Sette Fratelli, una vera e propria voragine originata dall’erosione dell’acqua nei millenni, teatro delle lotte partigiane un tempo, in cui è possibile vedere le formazioni marnose-sabbiose di origine marina (formazione di Lequio).

Un turbinio di fiori di ibisco, karkadè, bergamotto, fiore di rosa canina e amarena croccante, per questo secondo vino, che al palato mantiene tutta la freschezza promessa con sentori di mirtillo e melagrana. Sapido e con un tannino puntinato, si allunga su un finale di karkadè.

Barbaresco DOCG Casot 2021 – Giuseppe Nada

Ancora nel comune di Treiso per assaggiare un terzo cru, Casot, dalla vigna di 2,18 ha di Giuseppe Nada: esposizione Sudovest e piante di circa 35 anni di età.

Le note di finocchietto e anice si alternano alle rose rosse, al fieno e al sottobosco. C’è la ciliegia sottospirito e una nota vanigliata calda. Un vino che entra morbido in bocca, per poi definirsi in sfumature di menta-liquirizia e di eucalipto. Lungo nella sua freschezza balsamica e con un tannino asciugante e diffuso.

Barbaresco DOCG 2022 – Francesco Versio

Eccoci alla seconda tappa del nostro viaggio nel Barbaresco. Atterriamo a Neive, forse il comune che sta subendo di più l’effetto del global warming: qui i vini sono più morbidi in generale e con gradazioni alcoliche più alte.

Il nostro primo assaggio proviene da una piccolissima produzione (0,5 ha totali) dalle MGA San Cristoro e Currà, con esposizioni rispettivamente Sudovest e Sud e da piante con oltre 60 anni di età.

Anima scura eppure molto balsamica, che si tinge di prugna viola e anice. Dolce, sapido, fresco e con un tannino diffuso. Un ambasciatore perfetto di Neive.

Barbaresco DOCG Serraboella 2022 – Paitin

Due parcelle dal cru Serraboella per complessivi 4,2 ha con esposizione a Sudovest e piante di 25 anni per il nostro secondo vino da Neive.

Un’anima di tabacco biondo, fieno secco, amarena matura e vaniglia si scaglia su uno sfondo che sa di salsedine. Ammaliante al naso, in bocca è caleidoscopico, pur dimostrando tutta la sua giovinezza e la sua richiesta di attesa. Uscita mentolata e pulita, con un tannino granulare e ancora per certi versi scalpitante. L’attesa è la sua arma vincente.

Barbaresco DOCG Albesani Vigna Santo Stefano 2021 – Castello di Neive

Forse la vigna più celebre di Neive, che fornisce i vini più morbidi, ci regala il terzo calice da una parcella aziendale di 6,69 ha, esposta a Sud, con piante dai 45 ai 62 anni di età.

Eccola la morbidezza di Neive che si affaccia prepotente con sentori di frutta sottospirito, cassis in particolare. Fanno poi capolino il legno di liquirizia e un talco mentolato che non intacca il calore e l’avvolgenza di questo vino. Palato elegante, suadente. Tannino saporito e diffuso che, insieme a una freschezza finale, donano una certa austerità inaspettata.

Barbaresco DOCG Tre Stelle 2022 – Cascina delle Rose

Eccoci a Barbaresco per gli ultimi tre assaggi. Partiamo dal cru Tre Stelle, con una vigna di 2 ha ed esposizione Sud-Sudovest.

Naso di talco mentolato e violetta, erba bagnata dalla rugiada, amarene e ciliegie croccanti, ribes e granatina. Bocca coerente che evidenzia un succo di frutta acidula e gustosa. Tannino cesellato.

Barbaresco DOCG Ronchi 2021 – Albino Rocca

Una vigna storica, nel cuore di Barbaresco, che grazie ad Albino Rocca ha potuto esprimere al meglio il valore del Barbaresco da uve che guardano solo la luce del sorì del mattino (Est).

Rivela subito un fondo leggiadro di cumino, menta bianca e gelato di piccoli frutti di bosco. Un naso freschissimo pieno di fascino e amarcord di infanzia. Insondabile quanto amorevole. Perfettamente equilibrato, elegante, con un tannino dolce e ricamato.

Barbaresco DOCG Rabajà 2021 – Giuseppe Cortese

Una tra le più note MGA di Barbaresco, Rabajà, è il grand cru che regala vini di grande struttura e insieme tra i più sfumati ed eleganti al mondo. Una vigna da lunghi invecchiamenti.

Chiudiamo con un vino ricco di sapore e complessità, che profuma di alghe scure affumicate, tè nero, frutta scura e matura. Una cupezza di sentori che al palato si tingono di liquirizia, di frutta nera saporita, di vegetazione secca. Potente, lungo, salato e fresco.

Ci congediamo da una serata memorabile rubando ancora le parole di Fenoglio: «è solo il vino che è sceso fino a toccar il cuore».