Riccardo Cotarella, eccellenze nel calice per una degustazione d’autore

Riccardo Cotarella, eccellenze nel calice per una degustazione d’autore

AnnIverSary60
di Mauro Garolfi
29 settembre 2025

Una serata straordinaria per un evento da celebrare, i sessant’anni di AIS. Dodici indimenticabili espressioni e la guida di un maestro che ha saputo offrire un volto nuovo al vino italiano nel mondo: Riccardo Cotarella.

In una settimana di festa, ricca di celebrazioni ed eventi per il sessantesimo anniversario della fondazione dell’Associazione Italiana Sommelier, Riccardo Cotarella, accompagnato da Davide Garofalo e con l’attiva e partecipata presenza in sala di numerosi produttori, ha condotto, nella serata del 10 luglio 2025 a Milano, un viaggio sensoriale straordinario, omaggio alla crescita della cultura del vino in Italia. 

Nel ricordo di ciò che era il vino in Italia sessant’anni fa e guardando a ciò che è oggi, nel suo passaggio da alimento tout court ad alimento socioculturale, emergono le figure di pochi visionari, audaci, coraggiosi: tra di essi, Riccardo Cotarella. Quando in Italia c’era tutto un mondo da scoprire e il vino viveva nella metrica della sua contemporaneità, è con figure come quella di Riccardo Cotarella, “rabdomante del vino”, scopritore di quelle quiescenze silenti, di quei terroir dotati di potenzialità, vocati ma ancora sconosciuti, che alcuni hanno potuto diventare “vini icona”. Tra i suoi meriti anche quello di far volgere gli sguardi della critica nazionale e internazionale, sovvertendo le sorti di alcuni territori con la creazione di alcuni vini divenuti dei veri e propri grandi classici della letteratura enoica nazionale.

Cotarella entra subito deciso contro una certa, attuale, ostilità mediatica: «il vino deve essere riportato tra di noi». Perché? Che cosa è successo? Che cosa abbiamo fatto? Abbiamo allontanato le persone dal vino con scelte cervellotiche, in alcuni casi antistoriche, a volte incomprensibili, estremità comportamentali morali e materiali, mentre il vino «è una cosa semplice», vicina all’uomo, che nasce dalla terra. Una compagnia di tutti i giorni e come tale deve essere riportato in mezzo a noi.

La degustazione che faremo sarà un viaggio che attraversa tutto il Paese - con una deviazione oltreconfine - vini rappresentativi e trasversali, provenienti da realtà diverse: cooperative, piccoli e grandi produttori, aziende familiari; vini nati dall’intuito e dalla volontà di persone che «non si sono rassegnate a fare da comparse», nella consapevolezza che, se oggi l’Italia è un giardino immenso di vini, ciò è dovuto al cambio di mentalità e di approccio proprio delle persone, in vigna e in cantina.

La degustazione

Alto Adige DOC Kerner Aristos 2023 – Cantina Valle Isarco

Nella zona vitivinicola più a nord d’Italia, tra Bolzano e Bressanone, storicamente più famosa per il sylvaner, la cooperativa, nata nel 1961 da un piccolo gruppo di produttori, oggi conta 130 famiglie e 150 ettari vitati. Le vigne sono collocate tra i 500 e i 1000 m s.l.m. e il focus è sui vini bianchi da kerner, sylvaner, grüner veltliner, riesling, müller-thurgau, d’influenza austro-germanica, resistenti al freddo.

Proprio il kerner nasce nel 1929 da un incrocio tra riesling renano e trollinger per resistere a temperature estreme. «Sapienza di orgoglio» e «orgoglio e appartenenza» così Cotarella, sono solo alcuni concetti chiave per comprendere il mondo altoatesino, dove il cambiamento climatico ha incrementato nei vini sapori, profumi, personalità e dove, per Cantina Valle Isarco, ordine e rigore rivestono un ruolo fondamentale.

Olfatto sorprendente, dove il frutto è dimesso, mentre il primo impatto è l’effluvio speziato, di noce moscata, e dove emergono anice ed erbe aromatiche e poi la pungenza del pepe bianco.

Il frutto giunge in un secondo momento, pesca bianca e un leggero guizzo agrumato. In bocca la progressione gustativa spinge assordante, tesa. Esplode in mineralità e la speziatura lavora in modo viscerale; si fa spazio l’immagine di una lama sottile. Vino dal grande potenziale d’invecchiamento, che andrà a perdere un po’ dell’impatto evidente per amalgamarsi meglio allargandosi al naso e in bocca.

Romagna DOCG Albana Secco Scanadè 2023 – Poderi dal Nespoli

Azienda nata nel 1929 – oggi alla quarta generazione – da Attilio Ravaioli, per soddisfare le esigenze di vino nell’osteria che gestiva. Oggi si estende su 70 ettari di proprietà e 110 ettari in gestione. In vallata del Bidente, molto stretta verso la Toscana, vicino al Casentino, le vigne sono ubicate tra i 170 e i 200 m s.l.m. e godono di un clima fresco.

L’albana è un vitigno romagnolo a bacca bianca, protagonista, nel 1987, della prima DOCG per un vino bianco e, anche oggi, nel recente, straordinario salto qualitativo della Romagna del vino. Una varietà sorprendente, “pazzesca”, identitaria, territoriale, in grado di dare eccellenti bianchi da invecchiamento, di grande carattere. 

Il vino in degustazione nasce nel 2023, annata climaticamente insolita, difficile, con l’alluvione che ha colpito la zona nel mese di maggio. Profilo olfattivo che si esprime su note di albicocca, nuances tropicali - mango e papaia -, burro di avocado. L’assaggio è di magistrale nitore e pulizia esecutiva in cui si inserisce un’acidità citrina di alta qualità. Il sorso è teso e godibile e in esso l’acidità è funzionale al frutto tropicale. Vino ancora giovanissimo, di grande longevità potenziale, d’integrità inossidabile. È «gentilezza mista a personalità», in un quadro caratterizzato dal senso della misura e della proporzione.

Un assaggio differito nel corso della serata lo ritrova più disteso, più discreto nel profilo tropicale, con sentori di rosa bianca e acqua di rose, di sublime delicatezza.

Friuli Colli Orientali DOC Ronco delle Magnolie 2022 – Torre Rosazza

In una regione protagonista in particolare per i vini bianchi, in un territorio collinare che digrada verso la piana di Udine, con la protezione alle spalle delle Alpi Giulie e l’afflato del mare Adriatico, l’azienda, di qualche decina di ettari, si esprime nella salvaguardia e nella valorizzazione dei vitigni autoctoni, soprattutto rossi – schioppettino e pignolo -, affiancati dai bianchi della tradizione: friulano, ribolla gialla, pinot grigio, pinot bianco e sauvignon.

Il pensiero aziendale vede l’enologo come interprete e custode di un territorio, in costante studio e ricerca sui vigneti, sulle esposizioni, sui cru, sulle tecnologie.

Il vino in degustazione è blend di friulano, ribolla gialla, pinot bianco e sauvignon e fornisce l’occasione per parlare di blend: al di là dell’esaltazione delle purezze dei vitigni, uvaggi e assemblaggi sono la restituzione dei territori, con le loro prerogative e specificità, e insieme danno «la compagine più felice», in cui ogni vitigno, non solista, bensì altruista, dona la propria particolarità per il bene della visione d’insieme. Stratificazione, complessità, ricchezza e tridimensionalità in cui sentori di magnolia, acacia, sambuco e gelsomino, uniti ai fruttati di un intrigante albedo d’agrume – cedro e pompelmo - e di mela e pera definiscono il profilo olfattivo. La metrica del vino vede l’indugiare della densità, una certa lentezza nel dipanare tutta la sua ricchezza e l’impuntatura acida, che è un ricamo, in una visione olistica nella complessità della compagine dei vitigni. Tende poi man mano a verticalizzarsi e a richiamare sentori di pesca sciroppata.

Etna Bianco DOC Contrada Arcurìa 2022 – Restivo Wine

L’Etna, famoso soprattutto per nerello mascalese e nerello cappuccio, si manifesta in questo vino attraverso un vitigno a bacca bianca generoso, espresso in purezza, il carricante, nelle mani di una giovane azienda. In grado di marcare i vini del territorio più dell’uva d’origine, l’Etna dona vita e forma a un territorio particolare e straordinario.

Note di cenere al naso, minerali, lampanti e disarmanti conchiglia e acqua di ostrica, è marino, salino. Eleganza, grazia, compostezza conferite dal legno che, insieme alla maturazione delle uve, ingentilisce morbidamente il sorso. Si presenta poi una voce dimessa legata a qualche componente vegetale – ricordi di peperone verde – ed erbe aromatiche.

Un assaggio differito durante la serata trova di molto assorbita la parte che richiama la cenere. Sciolto, suadente nel frutto, con una leggera parte vegetale, da baccello, un ricordo di sedano e la parte marina completamente ammorbidita.

Abruzzo DOP Pecorino Superiore Tegèo 2022 – Nododivino

Un mix di montagne e mare, una terra magnifica, con una dote unica di vitigni autoctoni rossi - a partire dal montepulciano - e bianchi, a partire dal trebbiano, in grado di esprimersi qui come da nessuna parte altrove. In degustazione un pecorino, varietà riscoperta da poco, generosa, in grado di produrre vini freschi, vini da invecchiamento e anche basi spumante.

Qui l’occasione per parlare della storia di una cantina sociale, la sua evoluzione di intelligenza e di scienza, la creazione di un centro di vinificazione incredibile all’interno della cantina, lo sconvolgimento, in positivo, delle consuetudini di una grande cantina sociale, l’approccio meticoloso di quattromila produttori, contadini felici e orgogliosi di aver fatto del loro vino un’icona del loro territorio.

«Ogni vino assomiglia al carattere delle persone»: spontaneità, franchezza, un certo modo di essere diretti, dietro a un’apparente durezza la generosità unica degli abruzzesi si ritrovano in questo calice, che porta con sé, in più, una valenza immaginifica, di suggestioni, in cui dominano l’aspetto bucolico, agreste, contadino nei colori, nelle pratiche, nei paesaggi: è il genius loci.

Oro, sole, caldo, mela cotogna, semi di girasole, l’aspetto cerealicolo, i pendii con le balle di fieno, tutto ciò richiama questo “vino alimento”, nella sua accezione laudativa, un vino che soddisfa in toto, nella sua pienezza, nella sua complessità, nella sua compiutezza, in cui ci accarezzano note di umami, una certa densità e cremosità “materna”, che scalda il cuore, con l’oro e il sole dentro, in un modo che richiama pratiche antiche, ancestrali. Appagante.

Piemonte DOC Chardonnay Monteriolo 2022 – Coppo

Data 1892 la fondazione della cantina, una delle quattro Cattedrali Sotterranee Patrimonio UNESCO dal 2014. È di quarant’anni fa l’idea di credere fermamente nella qualità dell’uva barbera con la creazione del prodotto più iconico della cantina, il Pomorosso; accanto a questo, vi è la nascita di questo chardonnay Monteriolo. Nel 2021 avviene il passaggio di proprietà alla famiglia Lanci-Soldadino, che raccoglie il testimone dalla famiglia Coppo e investe in acquisizioni di vigneti e ristrutturazioni.

Qualche considerazione s’impone sullo chardonnay, per sfatare l’idea che, tutto sommato, sia sostanzialmente “uguale dappertutto”: l’uva è in realtà un mezzo per esprimere un territorio, non il contrario.

Il Monteriolo si propone meraviglioso nei rimandi di Borgogna, in una suadente sequenza di dolcezze leggere, sussurrate, di meringhe al limone e sbuffi di tarte tatin, burro d’arachidi, una pâtisserie distinta. Ricami ed eleganza, in sottrazione compulsiva e godibile. Il vino è scorrevole, ancora da nervo scoperto, teso, di mineralità scodante; è un cavallo di razza in una dimensione che richiama la Borgogna. Dal nerbo incontenibile.

Salento IGT Rosato Five Roses Anniversario 2024 – Leone De Castris

Vino iconico, proveniente dalla regione “madre” dei rosati in Italia, la Puglia. Il nome Five Roses è stato dato da un militare americano negli anni Quaranta del secolo scorso, attribuendo a questo vino il «profumo di cinque rose insieme». A base di negroamaro, rappresenta l’80% della produzione aziendale.

Delicatezza e carattere, cipria, talco e fragolina di bosco, ribes, una polpa sana e croccantezza da mordere; succosità e morbidezza legata alla maturazione delle uve, al tempo stesso è un cesto di frutta, di fragoline, lamponi e melagrane. Vino setoso, carezzevole, di carattere. Si presta a molteplici abbinamenti col cibo.

Pinot Nero 2024 – Château de Bursinel

Una particolarità, una degustazione tecnica e celebrativa per un vino proveniente dalla Svizzera, ancora senza etichetta, non ancora in vendita. Un piccolo Château tra Ginevra e Losanna esistente dal XIII secolo. Il terreno è argilloso, digrada fino alle rive del lago di Ginevra e l’esposizione è a pieno sud. Le vigne coprono sette ettari e mezzo, convertiti da chasselas a pinot nero e questo vino è alla prima uscita dalla cantina.

Al naso è trasposizione liquida della ciliegia in tutte le sue espressioni e nel suo aspetto vegetativo: croccante, polposa, turgida, golosa. Le parti vegetali sono quasi linfatiche ed esce una nota di pepe bianco. In bocca emerge l’aspetto floreale, di viola, di rosa carnosa, in un concentrato di eleganza dove la succosità, per certi versi, è quasi ancora cruda, embrionale, di un frutto che deve ancora farsi e diventare vino. Dall’aspettativa irresistibile nelle declinazioni della ciliegia nelle sue sfumature, fino allo sciroppo, una morbidezza che non cede mai ad alcuna stucchevolezza, irrora energia, vibrante e teso nella sua componente floreale materica e vellutata.

L’assaggio differito durante la serata rivela sentori di noce di cola, di sandalo. Di purezza adamantina, decisa, di millimetrica precisione.

«Ogni vino, ogni vendemmia, è un elemento nuovo, l’unica cosa che puoi sfruttare nella tua esperienza è non commettere gli errori che hai commesso prima» questo è il pensiero di Cotarella.

Lazio Rosso IGP Montiano 2005 – Famiglia Cotarella

«Il vino che mi ha fatto fare il giro di boa» afferma Cotarella.

Parliamo di un vino nato per una sfida, la sfida di Riccardo Cotarella, da una zona non particolarmente vocata, quella di Montefiascone, sul lago di Bolsena. Una rivoluzione copernicana, violenta, contro tutti: un vino a base di merlot, fino alla nascita della denominazione Colli Etruschi Viterbesi Merlot DOC.

Di Famiglia Cotarella, azienda nata nel 1979, ci racconta il giovane nipote di Riccardo, suo omonimo. Ci ricorda del viaggio in Francia del nonno nel 1984, di come, al ritorno, abbia voluto rischiare, contro tutti, dando poi vita, nel 1994, al Montiano. Questo vino vedeva fino al 2015 il nonno Riccardo direttamente coinvolto; dal 2016 è seguito invece dal genero Pierpaolo.

Profusione di confetture e olive nere al forno, liquirizia, grafite, note empireumatiche, tizzoni arsi, vulcani spenti, corredo minerale. Vulcanico ed energico. Integro in tutte le componenti che convergono in un’elegante massa unitaria. All’assaggio è scorrevolissimo, asciutto, dal finale dilagante e dalla dinamica gustativa irrefrenabile. In una sorta di macchina del tempo ricompaiono nel finale i frutti neri, segno di un passato, di un momento, della sua storia ventennale.

Integrità, compostezza, monumentale personalità. Un vino inossidabile, che evolve, che accetta l’evoluzione, ma che rivendica la paternità iniziale di quel grande terroir che Riccardo ha individuato da “rabdomante del vino” qual è.

«Anche un grande vino nella sua evoluzione non dimentica i suoi natali più nobili» sottolinea Garofalo.

Chianti Classico DOCG Ruello 2021 – Boschetto Campacci

A Castelnuovo Berardenga, nel Chianti Classico, un imprenditore proveniente dal mondo della finanza, Luigi Frascino, nel 2016, acquista terreni abbandonati che, da manoscritti degli anni Settanta dell’Ottocento e da riferimenti antecedenti, il catasto leopoldino del Granducato di Toscana, erano considerati particolarmente vocati per il vino. La sfida è portare il Chianti all’antico splendore: sfida di rilancio agricolo, di identità, di passione e di orgoglio italiano.

Il potere immaginifico che questo vino evoca ci porta subito all’aspetto terroso, ipogeo, di terra profumata, sacra, solenne, a onde di terra, di deserto, dolce e duro al tempo stesso. È un Chianti che profuma in maniera incondizionata “di Toscana”: le coccole del ginepro, dei cipressi, le confetture, il pot-pourri, i fiori secchi, la matrice di terra. Emergono i chiodi di garofano, la macchia mediterranea di alloro, di lentisco, di corbezzolo e le sue confetture che emanano calore; si percepiscono le terre dove risuonano i grilli, assordanti. La sua dimensione ipogea, di profondità, di viscerale ricerca delle radici lo rende un sangiovese autentico, legato al territorio, che non può scendere a compromessi. Si palesa in tutta la sua più autentica personalità, che rivendica attraverso un tannino mordace, di nerbo, da addomesticare; la dimensione tattile richiama la succulenza, da nota ematica. Viscerale e senza compromessi. Un purosangue.

Colli di Salerno IGT Montevetrano 2021 – Montevetrano

«Un vino che ha cambiato la vita».

In Campania, in provincia di Salerno, in zona storicamente non famosa per il grande vino, alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso Silvia Imparato, la proprietaria, contatta Riccardo Cotarella, proponendogli una collaborazione.

I ricordi di Riccardo spaziano dai confronti con lei alle degustazioni di Baltimora col celebre Robert Parker, nelle quali vennero degustate le prime tre annate di questo vino - 1991, 1992, 1993 - e in cui venne definito come il miglior vino rosso italiano; un vino che ha acceso il faro sulla Campania del vino e non solo e che ha cambiato la vita dei protagonisti.

Emozionata, orgogliosa e fiera di portare avanti una storia di famiglia, Gaia, figlia di Silvia, racconta dell’azienda, ubicata a cinque chilometri dal mare, su colline basse 100 – 120 m s.l.m. e con la presenza dei Monti Picentini decisivi per un microclima favorevole. E sottolinea soprattutto la volontà, la passione della madre, la sua personalità, che unite a quelle di Riccardo e alla loro amicizia hanno saputo dar vita a un vino straordinario.

In degustazione l’annata con cui questo vino festeggia il trentennale. Al primo impatto scuro e impenetrabile, claustrale, dalla solennità silenziosa, si rivela poi come vino di contrasti, di chiaroscuri: solare da una parte, cupissimo dall’altra, delineato da radici di genziana, radici amare, officinali e una nota amaricante deliziosa, che sfocia nella liquirizia. Ma sa essere luce e buio allo stesso tempo: alle note di confetture di frutti neri da una parte, si bilanciano dall’altra i sentori di frutta chiara, frutta tropicale, frutta gialla. Sole e maturazione, ma al tempo stesso profondità, cupezza, introversione lo rendono magmatico e fluttuante. Di profondità, di densità, di peso specifico. È fitto ma leggiadro, ambivalente tra una dimensione aerea e solare e una più ipogea, legata alle radici. Emergono nel finale le tuberose, il ravanello, germogli e salsa di soia. Intrigante, estroverso, cupo e introverso al tempo stesso. Energia pura.

Roccamonfina IGT Terra di Lavoro 2021 – Galardi

L’antica provincia borbonica di Terra di Lavoro ci regala un’altra luce in Campania. A nord di Caserta, vicino al confine col Lazio, in zone abbandonate, tra rovi e castagni, su terreni ricchi di tufo e lava, Roberto Selvaggi, grande appassionato di storia del Sud, ebbe l’idea, la volontà, l’umiltà e l’orgoglio di provare, con Riccardo, a dare vita a un vino rosso di qualità. Oggi Roberto non è più tra noi, ma la storia di questa eccellenza e della sua famiglia continua. Coerenza, legame e affetto verso quella suggestione della Terra e del Lavoro, del territorio e di quella storia, questo vino li emana, li evoca. Da aglianico in prevalenza e piedirosso. Energico. Di estratto, personalità, carattere, muscoli. Rimandi al fumo, alla carne arroventata, emana grinta, forza, energia, sentori di canfora e macchia mediterranea; si palesa un’influenza marina, di mare increspato, di sabbia iodata. Il frutto è succoso e graffiante. Bocca di erbe aromatiche ed erbe mediterranee, garrigue esplosiva, calda, arroventata dal sole. Il tannino è graffiante, quasi abrasivo, gustoso e saporito, restituisce tridimensionalità a un vino appassionato e appassionante, dalla visione geniale: da luoghi potenzialmente vocati e sconosciuti, quanta luce irradia!

Si conclude così un viaggio unico, un’esperienza di piacere, scoperta, celebrazione da raccontare, emozionante nelle diversità, nella ricchezza, nella consapevolezza dell’unicità del nostro territorio nazionale, un patrimonio immenso, meraviglioso, unico al mondo, da diffondere e valorizzare, come artefici della nostra rinascita, con lo sguardo fiducioso rivolto al futuro.