Bandol: Signore di Provenza

Bandol: Signore di Provenza

Approfondimento Francia
di Samuel Cogliati Gorlier
06 maggio 2020

Viniplus di Lombardia - N°18 Marzo 2020. Un luogo privilegiato, con due millenni e mezzo di storia alle spalle e patria di vini ad alta vocazione gastronomica

Tratto da Viniplus di Lombardia N°18 - Marzo 2020

Clicca sull'immagine per scaricare l'articolo in formato PDFBandol è anche una questione estetica e, come spesso accade nel mondo del vino, estetica e qualità si muovono di concerto, quasi fossero elementi di una trascendente, inscindibile realtà. Bandol è Provenza, e della Provenza è espressione piena, a iniziare dalla solarità mediterranea di paesaggi che giostrano con il rilievo montuoso, con una vegetazione caratteristica e puntiforme, raramente fitta ma sparsa quasi fosse stata disposta qua e là da una mano artistica e sapiente: querce, cipressi, olivi, pini, tigli, lecci, palme sul lungomare e ovviamente viti. Non ovunque però: non vi è alcuna monocoltura intensiva né estensiva a Bandol, bensì una frammentazione del vigneto disseminato a occupare i versanti migliori, le giaciture più felici, le terre più propizie. Del resto quanto a terroir, inteso nella sua accezione più polisemica e completa, questa denominazione può vantare una situazione privilegiata, quasi che tutti i fattori di qualità avessero voluto addensarsi attorno alla viticoltura. Ma non sono i fattori qualitativi ad aver scelto la vite, bensì quest’ultima ad aver eletto quest’angolo di Provenza, che ne ha caldeggiato l’insediamento da tempi remoti e il successivo radicamento.

LA TERRA ELETTA

Un luogo privilegiato, dunque. Privilegiato dal clima mediterraneo e da un mesoclima particolarmente fausto: in media 3.000 ore di sole l’anno, che ne fanno una delle aree più solatie di Francia; una piovosità moderata ma non trascurabile, pari a quella della Champagne o dell’Alsazia, ad esempio, per quanto più irregolare; una moderata e benefica umidità marina che rinfresca le notti; una ventilazione apprezzabile, senza gli eccessi di altre zone provenzali, sferzate dal soffio violento del mistral, freddo vento del nord. A proteggere Bandol ci pensano gli alti colli della Sainte-Baume a settentrione, che fungono da barriera, ma non sono l’unico ostacolo alle perturbazioni, visto che l’Aoc è difesa su tutti i lati della sua conca naturale, risparmiata dalla maggior parte degli eventi meteo estremi, come le gelate primaverili o le rovinose grandinate. L’entità e la pendenza dei rilievi interni a questo spettacolare anfiteatro non sono estranee alla sua vocazione: essenzialmente calcarei, arenari, silicei o marnosi, i pendii si addicono alla perfezione alla vite, che vi trova terre povere e ottimamente drenanti, incapaci dunque di alimentare eccessi produttivi (le rese sono contenute per legge sotto i 40 hl/ ha, ma nei fatti spesso ancora più basse). La mano degli uomini ha plasmato queste contrade, forgiando numerosi terrazzamenti sorretti da muretti a secco, le cosiddette restanques.

DUE MILLENNI E MEZZO DI STORIA

Un simile contesto geografico era destinato ad attirare l’attenzione dei vignaioli venuti da altrove. A partire dal VI secolo a.C., prima i Greci poi i Romani colonizzarono il territorio, fondandovi i propri centri agricoli e commerciali, dedicati tra l’altro appunto alla vitivinicoltura. La nomea del vino resterà salda nel Medioevo e nei secoli successivi, tanto che a metà Ottocento Bandol ha fama di terra di rossi di prima classe, venduti sia nel resto della Francia sia all’estero, ed è sede di una fiorente manifattura di barrique (fino a 80.000 pezzi l’anno ai tempi di Napoleone III!), talora marchiate a fuoco dalla lettera “B”. Ma tali condizioni naturali non bastano a preservare il comprensorio dai cataclismi del XIX secolo: l’oidio, la peronospora e soprattutto la fillossera lo devastano a un livello tale da annientare la viticoltura. Il reimpianto ha un ritmo lentissimo e l’economia locale è colpita duramente. Occorrerà attendere il 1941 affinché un tenace gruppo di viticoltori riesca a spuntare il riconoscimento di una appellation contrôlée meritatissima. Tuttavia nel Secondo dopoguerra Bandol si confronta gradualmente con una nuova e diversa minaccia, figlia del suo successo: l’espansione urbanistica e la speculazione edilizia, legate soprattutto allo sviluppo della villeggiatura turistica. Un ettaro di vigna vale 100-150 mila euro; lo stesso terreno edificabile fino a dieci volte tanto. È così che, erosi da un’economia assai più redditizia, immediata e agevole, scompaiono dalla mappa interi vigneti, trascinando nel dimenticatoio aziende e tenute storiche, mentre altre, come il prestigioso Château Pradeaux, rimangono accerchiate da ville e piscine. Nondimeno la reputazione del vino è finora riuscita a tutelare le posizioni viticole migliori (anche perché spesso meno facilmente edificabili e in alcuni casi escluse dal disciplinare) e oggi l’Aoc conta per fortuna ancora circa 1.500 ettari in produzione.

UN DOPPIO PARADOSSO

Bandol vive un duplice paradosso: il suo stesso nome e il colore dei suoi vini. Il caso della sua denominazione non differisce molto da altri illustri esempi. Come Porto, Marsala o Bordeaux, il centro urbano eponimo ha donato il proprio nome al vino prodotto solo in piccola parte (o affatto) sul territorio comunale, ma soprattutto in quello circostante. La fortuna di queste città o paesi è dovuta alla sua vocazione portuale, che per secoli ha consentito l’imbarco e lo smercio di migliaia o milioni di botti frutto delle vigne dell’entroterra. Oggi l’Aoc Bandol si estende su otto comuni: Bandol, Le Beausset, La Cadière d’Azur, Le Castellet, Ollioules, Saint-Cyr-sur-Mer, Sainte-Anne d’Évenos, Sanary. In secondo luogo, nonostante queste contrade abbiano costruito nei secoli il loro blasone essenzialmente attorno al vino rosso, loro vero cavallo di battaglia, Bandol è ormai nota soprattutto per i vini rosati, che coprono addirittura i tre quarti dell’intera produzione. Il trionfo contemporaneo del rosé provenzale ha travolto ogni resistenza, anteponendo le considerazioni commerciali a qualunque altra riflessione. Il “vantaggio” indiretto di questo fenomeno, se così si può dire, è che in molti casi i produttori hanno scelto di riservare ai grandi rossi le vigne e le uve migliori, concorrendo a elevarne la qualità.

IL CARATTERE DEL VINO

Sarebbe più corretto parlare del carattere dei vini di Bandol, al plurale. Come molte altre denominazioni d’origine francesi anche questa è infatti tricolore. Tuttavia se il rosato spadroneggia senza rivali e il rosso può contare sulla statura di una nomea plurisecolare, il bianco rimane quantitativamente marginale, quasi episodico. Quantitativamente ma non qualitativamente, visto che i bandol bianchi dimostrano di saper innalzarsi a livelli degni dell’olimpo d’Oltralpe. Sapidi, eleganti, pieni, grassi ma freschi sin nella loro maturità, uno o due decenni dopo la vendemmia, questi maestosi bianchi provenzali meriterebbero ben altra attenzione e fortuna. La loro strepitosa capacità di invecchiare con profitto è una qualità che li accomuna con le altre tipologie. Il rosato ha quanto meno una duplice declinazione: vi sono bandol relativamente pimpanti e leggeri, destinati a un consumo nei loro primi anni di carriera, ma anche autentici rosati “gastronomici”: vinosi, generosi e rigorosi, figli di un entusiasmante incontro tra golosità e serietà che li colloca tra i più nobili esempi mondiali della categoria. Infine i rossi, per i quali può senz’altro essere rivendicata la stessa dicotomia: pronta godibilità quando il grenache o altri vitigni assecondano il mourvèdre nell’assemblaggio, e quando la maturazione dell’uva è cosa facile, mentre i più aristocratici campioni si configurano come rossi di struttura, robusti, tannici, gagliardamente speziati per quanto piuttosto chiusi in gioventù; il passare del tempo non li spaventa certo. Questi Bandol dominati dal mourvèdre sono saldi, asciutti, pieni di fermezza, eredi di una tradizione fatta di possenti estrazioni e di lunghi invecchiamenti in botti medio-grandi. La competenza delle vinificazioni più recenti e l’ammodernamento degli strumenti enologici, a iniziare dal parco botti, ha concorso a smussare le maggiori asprezze di vini che in passato occorreva talora attendere anni, consegnando oggi al bevitore bottiglie di più semplice fruizione ma di autorevole statura.

I VITIGNI

È presto detto: il mourvèdre è il vitigno sovrano del territorio. Di origine incerta, si ritiene tuttavia probabile che provenga dalla Spagna, del cui monastrell sarebbe una variante; è attestato a Bandol da oltre 200 anni. Tannico, ricco, speziato, riduttore in vinificazione, è capriccioso in vigna, dove va seguito passo dopo passo e mostra comportamenti talora imprevedibili. Uno dei suoi pregi è la capacità di adattarsi agli eccessi di calore, il che in tempi di surriscaldamento climatico non è una qualità secondaria. Nel rosso è sempre maggioritario (almeno 50% per disciplinare), ed è il motivo principe della capacità dei bandol di evolversi nel tempo con grande profitto. Nei rosati è in genere significativamente spalleggiato da cinsault e grenache, talora anche da uve bianche. Tra queste ultime primeggia la clairette, talentuosa cultivar del sud francese, capace di regalare vini sapidi e di classe sopraffina, cui si può aggiungere burboulenc, ugni blanc, marsanne, vermentino, sémillon e sauvignon blanc.

REGOLE DI PRODUZIONE

Il bandol vanta uno dei disciplinari di produzione più rigorosi di Francia. Le rese non devono superare 40 hl/ha. Le uve devono essere vendemmiate a mano. I rossi sono frutto di viti giunte almeno al settimo anno di età. I chips di legno sono vietati in affinamento, che per i rossi deve durare 18 mesi o più in botte. Nella vinificazione in rosa i carboni enologici sono autorizzati per non più del 10% dei volumi. Tutti i vini devono essere rigorosamente secchi (max 4 g/l di zuccheri residui).

I BANDOL A TAVOLA

I vini di Bandol godono di una costitutiva vocazione gastronomica. I rossi sono bottiglie invernali, che si accoccolano accanto al camino, su una tavola imbandita di carni rosse opulente e speziate: civet, brasati, stracotti di fibre intense, quale la selvaggina da pelo, faranno loro festa. I rosati amano l’estate e i suoi profumi mediterranei: la pizza e le acciughe, un’insalata fredda di ceci e sgombro, oltre ai pesci più intensi semplicemente grigliati. Anche i bianchi sono inclini al mare, ma da maturi spaziano su una miriade di portate raffinate d’alta cucina, in cui le erbe aromatiche incontrino salse basate sul burro o sulla panna, ma anche verdure come le zucchine trombetta, gli asparagi bianchi, i piselli freschi. Senza dimenticare, naturalmente, i formaggi vaccini e caprini di media incisività, magari usati per farcire una crespella.

I PRODUTTORI

Le aziende qui repertoriate sono lungi dal presentare un quadro completo dell’appellation. Sono selezionate sulla base delle mie esperienza e sensibilità personali. Ringrazio l’importatore Ceretto Terroirs per avermi consentito di degustare le ultime annate dello Château Pibarnon.

Domaine de la Bégude | 83330 Le Plan du Castellet | www.domainedelabegude.fr
Circa 60 appezzamenti diversi, per quasi una trentina di ettari complessivi, che sovrastano la baia della Ciotat dai contrafforti della Sainte-Baume. È qui che Guillaume Tari, forte della sua esperienza bordolese a Margaux, prende il timone dell’azienda nel 1996, mettendo subito al bando le sostanze di sintesi in vigna. I vini sono un’espressione precisa e didattica di Bandol in chiave moderna, ma senza esibizionismi né facili concessioni.

Château Pibarnon  | 83740 La Cadière-d’Azur | www.pibarnon.com 
Lo Château de Pibarnon è al contempo un classico, un faro e un modello di ammodernamento misurato dei vini di Bandol. Azienda di origine relativamente recente: è nel 1978 che il conte Henri de Saint-Victor e sua moglie Catherine rilevano Pibarnon dalla famiglia italiana Ramognino. Da allora il domaine ha fatto strada, tenendo ferma la barra dell’identità territoriale ma senza rinnegare le possibilità di riattualizzare gli strumenti di vinificazione. Oggi Éric, erede di Henri, guida Pibarnon con visione e carattere, non senza giovarsi della competenza di Marie Laroze, capo cantiniere che porta la sua sensibilità femminile. I vini restano ineccepibili. Il Bandol rosso 2016 è generoso, verace ma misurato, gli basta un po’ di tempo in decanter per sventagliare la sua ricchezza con puntuale eleganza; il rosé 2018 è goloso ma ancora un poco contratto dalla giovinezza (da stappare non prima del 2021), mentre la cuvée rosata “Nuances” 2017 (100% mourvèdre e un affinamento di quasi un anno in botte e in giara di terracotta, poi altri 9 mesi in bottiglia) è anche in quest’annata un rosato poderoso, quasi viscerale e già pronto, un modello esemplare per la tipologia. Da dedicare alle triglie.

Château Sainte-Anne | 83330 Sainte-Anne d’Évenos | chateausteanne@free.fr
Françoise Dutheil de la Rochère è l’autorevole padrona di casa di questo domaine fondato dai suoi antenati nel lontano 1840! La signora è a capo di una quindicina di ettari vitati nel settore orientale della denominazione, poggiati su un terroir peculiare, ricco di sabbia. A Sainte-Anne prendono forma tre etichette, una per colore, che si confermano anno dopo anno tra le migliori e più autentiche dell’Aoc. Se il rosato è sapido e serio, il rosso energico ed equilibrato, ho un debole per il bianco, di rara e irresistibile finezza, nonché di ragguardevole potenziale evolutivo.

Domaine Tempier | 83330 Le Plan du Castellet | www.domainetempier.com
Il domaine Tempier è storia di Bandol. Già esistente nel Settecento, vive un vero rilancio novecentesco a opera di Lucie Tempier e di suo marito Lucien Peyraud. Oggi a capo dell’azienda rimane l’ultima generazione di Peyraud, ma la direzione è da tempo affidata al savoir-faire di Daniel Ravier, savoiardo emigrato in Provenza. L’azienda vanta la singolarità di produrre, oltre ai tre Bandol “base”, altrettante cuvée rosse da singolo cru: La Tourtine, Cabassaou e La Migoua, testimonianze vive ed encomiabili della grandezza di questi terroir del Castellet e del Beausset. Vinificazioni meticolose che generano vini capaci di invecchiare per decenni, ma anche di concedersi con gratificante prontezza.

Domaine de la Tour du Bon | 83330 Le Brûlat du Castellet | www.tourdubon.com 
Il domaine prende il nome da un’antica torre di avvistamento, ma è nel 1955 che questa nomenclatura viene rivendicata per la prima volta in etichetta. Negli anni Novanta Agnès Henry-Hocquard prende le redini dell’azienda di famiglia e la guida verso nuove prospettive: una traiettoria che verte verso il biologico e la biodinamica, con fermentazioni affidate a un pied de cuve da lieviti indigeni oppure biologici selezionati. I vini sono freschi, minerali, anche quando l’annata elargisce il suo carattere solare al profilo gustoolfattivo.

Qualche altra azienda consigliabile: Domaines Bunan, Château Pradeaux, Château Salettes, Domaine de Terrebrune.