Jura rouge. La vitalità dell’imponderabile

Jura rouge. La vitalità dell’imponderabile

Approfondimento Francia
di Samuel Cogliati Gorlier
04 giugno 2025

Non solo savagnin e vin jaune: un terzo della superficie coltivata è destinato a uve rosse. E anche se in questa fredda e piovosa regione non hanno vita facile, nelle annate giuste poulsard, trousseau e pinot noir possono dare risultati sorprendenti

Tratto da ViniPlus di Lombardia - N° 28 Maggio 2025

Quando quasi vent’anni fa partii per il mio primo viaggio nello Jura mi spingeva la folgorazione che avevano esercitato su di me i vini ossidativi. Assaggiare il vin jaune, scoprire il savagnin, di cui sino ad allora avevo solo vagamente sentito parlare, ebbe un effetto imponderabile (che poi divenne irreversibile). Il richiamo di quella originalità gustativa impossibile da domare mi indusse a progettare un reportage giornalistico dedicato ai vini non ouillés, ossia vinificati in botte scolma, sous voile. Non avevo però messo in conto che, una volta approdato tra Arbois e Poligny, mi attendevano al varco ulteriori sorprese. Innanzi tutto mi meravigliò la molteplicità della produzione vinicola di una regione così piccola. Mai, nella mia candida ignoranza, avrei creduto che appena duemila ettari di vigneto potessero offrire un panorama tanto variegato: bianchi secchi per tutti i gusti, spumanti Metodo Classico, leggiadri rosati, golose mistelle e vini rossi di bella fattura. L’equazione Jura = bianchi ossidativi era stata spazzata via senza pietà. Dovetti rivedere i miei piani e correggere la mia proposta iniziale: a Sandro Sangiorgi, che mi aveva inviato in loco per conto della rivista Porthos, notificai con imbarazzo il mio ravvedimento e precisai che l’articolo non avrebbe riguardato solo i vins jaunes, ma nemmeno solo i bianchi. Sentii per un verso di essere incappato in una malaugurata svista da principiante, ma d’altra parte rimasi affascinato dalle impreviste e numerose possibilità di scoperta che si paravano dinanzi a me. Un mondo nuovo si schiudeva ai miei occhi.

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TRE VITIGNI E TANTI PROFILI
Un’altra insospettabile sorpresa per chi si avvicina allo Jura viene dall’ampiezza del suo spettro ampelografico. Dimenticate la monovarietalità della vicina Borgogna e scendete a patti con ben cinque vitigni diversi (senza contare le cultivar marginali o “clandestine”), tre dei quali sostanzialmente autoctoni e due in origine forestieri ma ambientati qui da diversi secoli. Tre di queste uve sono rosse, sono certo minoritarie rispetto a quelle bianche, ma coprono comunque quasi un terzo della superficie coltivata e vantano personalità ben distinte. Di conseguenza, i vini possiedono profili espressivi assai vari, a dispetto di una relativa omogeneità geologica del terroir (vedi riquadro). Poulsard, trousseau e pinot noir, ciascuno dei quali radicato su poche centinaia di ettari soltanto, possiedono qualità e vocazioni eterogenee. A tenerli uniti c’è forse tuttavia un dato comune: la finezza che conferiscono ai rispettivi vini rossi, della quale è almeno in parte responsabile il mesoclima particolarmente fresco della regione. La possibilità di assemblarli liberamente concorre a rendere ancora più articolato il quadro della situazione. Abbiamo già capito che un rosso giurassiano potrà prenderci in contropiede e stupirci ad ogni bottiglia stappata.

IL POULSARD
Nonostante riguardi poco più di 200 ettari (appena un decimo della superficie regionale), bisogna inevitabilmente iniziare da lui. Il poulsard – talora localmente denominato ploussard – può infatti essere a buon diritto considerato il vitigno rosso per eccellenza dello Jura. E ciò nonostante la giustificata reputazione dell’uva più ingrata da coltivare, per il suo portamento “floscio” con tralci fragili, la maturazione titubante dei suoi acini (sia dal punto di vista zuccherino sia da quello fenologico), l’acinellatura tutt’altro che infrequente (che ne contingenta le rese), nonché la sensibilità alla peronospora e all’oidio (in una regione non certo climaticamente clemente). Una volta portato in cantina e vinificato con la sensibilità e il tatto che esige – senza estrazione e senza eccessive protezioni – il poulsard sbriglia però tutta la sua magia. È dotato di un patrimonio polifenolico modesto. Non produce dunque vini di massiccia massa tannica né dalla veste particolarmente scura e concentrata. Qualcuno considera i poulsard vinificati in rosso quasi delle specie di rosati scuri. In effetti il loro colore è spesso al confine tra granato tenue e un intenso vermiglio. Poco importa però una precisa definizione formale. Se questa cultivar offre talora il fianco alle peripezie dell’ossidazione (non controllata), rendendo in certi casi il vino fragile, il suo raro patrimonio aromatico, floreale e speziato, è dotato di una rara capacità di seduzione. E di farsi riconoscere, generando una tipicità al tempo stesso varietale e territoriale. Ultima ma non ultima, anzi il suo punto di forza: l’eleganza gustativa. Non è comune trovare rossi altrettanto leggiadri, dunque facilmente bevibili, e al contempo così espressivi, modulati, sinuosi. Uno Jura da poulsard non si scorda facilmente. Anzi, per alcuni intenditori diventa presto una sorta di ossessione paragonabile a quella che genera il pinot nero.

IL TROUSSEAU
Il trousseau è in un certo senso il compagno naturale del poulsard. Primo, perché come lui è giurassiano purosangue. Secondo, perché rimedia a una parte dei limiti del cugino: apporta più materia colorante e più tannino, grazie ad acini dalla buccia più spessa. Per questo motivo, è stato a lungo utilizzato in maniera complementare, in assemblaggio o uvaggio con il poulsard. I rossi che scaturiscono da questa virtuosa alleanza mostrano una maggiore completezza e una fibra più strutturata. Pagano però forse il prezzo di una certa diluizione della personalità rispetto ai due vitigni vinificati da soli. La speziatura più carnosa del trousseau non possiede infatti in genere l’aerea originalità levantina del poulsard. E la sua tipicità ne risulta meno nitidamente e immediatamente leggibile. Impiegato come monovitigno, il trousseau dà vini profondi, magari non complessi come quelli del parente autoctono, ma non certo privi di fascino. Un fruttato più diretto, una piacevole vinosità, qualche volta terrosa, sono sue intriganti caratteristiche. Questa varietà esigente in termini di terroir e dalla maturazione tardiva è la meno diffusa di tutto il territorio: ad oggi se ne contano meno di 170 ettari, peraltro in diminuzione.

IL PINOT NOIR
Come lo chardonnay tra le uve bianche, il pinot nero sbarca nello Jura dalla dirimpettaia Borgogna. Non si tratta tuttavia di un’importazione posticcia e recente, bensì di una presenza plurisecolare, risalente con ogni probabilità al Medioevo, quando queste terre erano sotto il dominio dei duchi di Digione, e i vigneti locali erano perlopiù tra le mani di aristocratici proprietari forestieri. Una parte del pinot noir è oggi immolato sull’altare commerciale della spumantizzazione. Il Crémant-du- Jura sta infatti incassando un successo meritato e coerente con la tendenza mondiale che consacra ormai da anni i vini effervescenti. Degli oltre 250 ettari piantati a Pinot una proporzione non trascurabile è dunque destinata ai Metodo Classico, tra cui quelli rosati. In passato, i domaines che si cimentavano nella vinificazione di pinot noir come monovitigno erano piuttosto rari, preferendo sovente l’assemblaggio, per aggiungere un ulteriore tassello alla tavolozza degli Jura rossi. Sono infatti notorie la delicatezza e la difficoltà che il grande vitigno borgognone comporta nelle diverse fasi della produzione. Peraltro, l’esposizione a ponente di molti versanti giurassiani – all’opposto di quella ad est della Côte borgognona – sulla carta non risulta premiante per questa cultivar. Con il rapido mutamento del clima e l’accumulo di esperienza da parte dei vignerons locali, si stanno nondimeno rivelando vari esempi di pinot noir di buona fattura e, talvolta, invidiabile espressività. Se la strada è forse ancora in salita, è d’uopo non distrarsi ma seguire con attenzione l’evoluzione di questo vitigno nelle terre del Revermont. Tanto più che il surriscaldamento globale potrebbe finire per premiare il mesoclima giurassiano più che quello borgognone.

GLI STILI
Va da sé: con questi presupposti risulta arduo tracciare un profilo organolettico standardizzato per uno Jura rosso. La variabilità infra-territoriale e infra-tipologica è ampia. Se come detto i Poulsard tendono ad essere più floreali, speziati e orientali, i Trousseau più carnosi e fenolici, i pinot noir più grafitici, fruttati e talora laccati, le sorprese sono sempre dietro l’angolo. Ogni mano e ogni luogo sono capaci di segnare e firmare i propri vini in modo stupefacente. Arbois, ad esempio, dà volentieri Pinot noir vinosi e dotati di una certa fermezza; Pupillin sigla Poulsard di rara raffinatezza, laddove il sud del Revermont tende a consegnare versioni più lievi; i Trousseau confezionati con maggiore levità possono talora trarre in inganno ed evocare entrambi gli altri vitigni. I rossi da assemblaggio dànno ovviamente meno punti di riferimento e possono rivelarsi di più complessa lettura. Ciò che vale la pena annotare, tuttavia, è che la produzione di vini rossi in questa fredda e piovosa regione porta con sé una certa auto-selettività. Fuori di diplomazia, significa che uno Jura rosso è spesso o deludente o entusiasmante. L’effetto millesimo è qui peraltro particolarmente incisivo, ad esempio in termini di diluizione nelle annate piovose (che non mancano). Diluizione ma non solo: il parametro maturità può essere facilmente messo a rischio, dando vini a tratti duri, verdi, acerbi. Quando invece tutte le variabili fondamentali convergono verso un risultato all’altezza del potenziale e delle aspettative, un Arbois o un Côtes-du-Jura rouge affascinano irrimediabilmente, convertendo anche il più scettico dei degustatori.

Miscellanea di vini e domaines

Qualche indirizzo per orientarsi in una produzione molto dinamica, frammentata e numericamente selettiva

La ridotta e frammentatissima produzione giurassiana è in continua e dinamica evoluzione. Beneficiando dell’inaspettato successo commerciale che ha premiato la regione negli ultimi dieci-quindici anni (anche a causa della spettacolare e insostenibile impennata dei prezzi nella vicina Borgogna), diversi domaines sono nati o si sono rigenerati con cambi generazionali, evoluzioni e passaggi di proprietà. È dunque laborioso seguire con precisione la proposta di una produzione peraltro molto diversificata e spesso suddivisa in numerose cuvée da poche migliaia o persino qualche centinaia di bottiglie l’anno. Come che sia, non sono pochi i vignaioli e le maisons di cui vale davvero la pena assaggiare i rossi.

È obbligatorio iniziare dalla Maison Overnoy-Houillon di Pupillin. Ammesso (e non concesso) che lo troviate (a un prezzo sensato), il loro Poulsard è un vero caposaldo della produzione regionale. Vino di ammaliante setosità, freschezza espositiva, complessità aromatica e trionfale eleganza, merita di essere preso ad esempio come l’antonomasia dello Jura rosso. Per non scomodare paragoni impropri, se esiste una Romanée-Conti dello Jura, è di sicuro questa. Peccato che, com’è logico che sia, reperibilità e prezzi si siano allineati.

A Pupillin troviamo anche il Domaine de la Borde. Qui, Julien Mareschal ama giostrare con tutti e tre i vitigni rossi, proponendo cuvée di terroir, da singoli lieux-dits (Côte de Feule, 350-400 metri, esposizione sud-ovest; Sous la Roche, stessa altitudine ma esposizione a nord/nord-ovest) o di assemblaggio comunale (sorta di Pupillin “village”) di pregevole fattura.

Nel medesimo paese si distingue il Cellier Saint-Benoît, di cui merita di certo una segnalazione il Ploussard Côte de Feule, al tempo stesso tonico e avvolgente.

Non mancano le buone sorprese nella cantina del Domaine de l’Octavin, i cui vini di Arbois si fanno notare per libertà espressiva, che si tratti di trousseau o di poulsard. Alice Bouvot, oggi al timone dell’azienda, è capace di regalare bottiglie di spiccato carattere.

Un buon esempio di poulsard del circondario di Arbois può essere considerato anche il vino di Vincent Aviet (Le Caveau de Bacchus), di confezione più classica e controllata, che quindi tende a irrigidire un poco il profilo del poulsard, ma non certo privo di interesse e di rappresentatività. Meritevole è anche il Trousseau Ruzard Rosière.

Uno dei punti di riferimento assoluti dell’Aop Arbois rimane senz’altro il Domaine André & Mireille Tissot, che possiede peraltro vigneti anche in altri comparti della regione. Il suo Pinot Noir En Barberon è un esempio edificante della bella espressività che può assumere l’uva borgognona in terra giurassiana: un poco austero e talora contratto, è nondimeno un vino di sicuro livello qualitativo, che invecchia benissimo. Molto bene anche i trousseau e i poulsard di Bénédicte e Stéphane (attuali proprietari), che con decine di ettari coltivati con identiche attenzione e passione in tutta la regione sono dei veri punti di riferimento dello Jura.

Da uve di négoce, il celebre Domaine Ganevat produce un Arbois Pinot Noir di irresistibile finezza e completezza gustativa. Un vero prodigio che fa inevitabilmente pensare alla Côte de Beaune. Tra le sue proposte anche l’originalissima cuvée J’en Veux Encore ! (gamay e poulsard) etichettato come Vin de France ed erede del “fuorilegge” J’en Veux !!! ottenuto da ben diciotto vitigni diversi. Un prodigio di inafferabile singolarità gustativa. Due esempi della picaresca propensione di Jean-François a sperimentare con uve e terroir, infischiandosene delle appellation, e dando vita (e morte) a numerose cuvée dai nomi e dalle etichette improbabili e dai profili impossibili da catalogare.

Benché sia noto soprattutto per i vini bianchi, il Domaine Labet di Rotalier (sud Revermont) sa anche approcciare egregiamente i rossi. I pinot noir Les Varrons sono tonici e precisi; le tre micro-cuvée di poulsard esprimono bene l’incontro tra vitigno e terroir; il Gamay La Reine da vecchie viti possiede verve e golosità; i trousseau sono pressoché introvabili, ma la cuvée Métis (assemblaggio complesso ed eterodosso) è un vino selvaggio e molto nature, dalla beva trascinante.

Infine, qualche altro riferimento rapsodico. Provate: il Trousseau de Messagelin del Domaine des Cavarodes, vino ovattato e stratificato; l’Arbois Pinot Noir La Pépé delle Bottes Rouges, elegante e di indubbia personalità; i vari Poulsard del Domaine de la Pinte, completi e armoniosi; l’ottimo Poulsard del Domaine des Marnes Blanches; i rossi del Domaine de la Renardière di Pupillin, molto spontanei e gustosi; quelli del Domaine de la Tournelle, anch’essi franchi e davvero liberi nella loro espressione; i rossi (ahinoi ormai onerosi) di Nicolas Jacob.