La Francia dei crémant. Storie di metodo e di nomenclature

La Francia dei crémant. Storie di metodo e di nomenclature

Approfondimento Francia
di Samuel Cogliati Gorlier
04 gennaio 2024

Non si tratta solo di assecondare una tendenza attuale: sono molte le regioni viticole francesi a vantare dimestichezza con la spumantistica da secoli

Tratto da ViniPlus di Lombardia - N° 25 Novembre 2023

L’effervescenza francese non è solo Champagne. Certo: Reims ed Épernay rimangono l’incrollabile e indiscusso punto di riferimento della spumantistica d’Oltralpe. Ma il mondo dell’anidride carbonica intrappolata in bottiglia ha da secoli esplorato anche altre latitudini, altre longitudini e altri vitigni. La méthode ancestrale prima, la méthode champenoise poi (in seguito ribattezzata méthode traditionnelle), allungano le loro radici in regioni transalpine meno note, talora insospettate: il Sud-ovest e il Languedoc, la Loira, lo Jura... Con il tempo alcuni di questi areali hanno assunto denominazioni specifiche, ratificate dal sistema delle appellations d’origine: Saumur brut, Vouvray, Saint- Péray, Blanquette de Limoux, Clairette de Die... Altre realtà hanno invece gradualmente sposato un nome suggestivo ma fallace, che solo da qualche decennio è stato inquadrato sul piano normativo: crémant.

CHE COSA C’ENTRA LA CREMA?

Crémant è un sostantivo derivato da un aggettivo, a sua volta derivato dal participio presente del verbo crémer, attestato fin dal 1580 con il significato di “coprirsi di crema”. Che cosa c’entra la crema? In questo caso non si tratta di un prodotto del latte, bensì di un sinonimo di mousse, ovvero “spuma”. Crémant evoca dunque la generosità con cui il vino genera una spuma così delicatamente compatta da aderire al calice e sormontare il liquido. Un’immagine poetica, di ben altre classe e raffinatezza rispetto alle prosaiche metonimie bolle o bollicine, oggidì incresciosamente predominanti nella comunicazione dei vini spumanti. Forse però crémant possiede nella lingua di Molière una connotazione leggermente più blanda di mousseux, vocabolo più energico e impetuoso. Non a caso, cento o duecento anni or sono, crémant era impiegato in Champagne per designare vini effervescenti con una minore sovrappressione dei mousseux, dunque in grado di produrre solo una crema, anziché una spuma tumultuosa. La Champagne si è servita di questo termine per decenni, sempre allo scopo di indicare uno spumante più mansueto1. Nel corso del Novecento però altre regioni transalpine iniziano a usare questa parola, destinandola ai loro spumanti. A metà anni Settanta, alcune di esse ottengono il riconoscimento delle prime appellations d’origine contrôlée, a iniziare dalla Loira e dalla Borgogna. A poco a poco si determina così un conflitto tra “mamma Champagne” e le sue emuli. Attrito che diviene pressoché insanabile, finché non risulta evidente che una regolamentazione ad hoc è indispensabiattendere il 1985, e il regolamento CEE 3309, affinché si sancisca che, otto vendemmie più tardi, ossia dal 1° settembre 1994, il termine crémant sarà riservato a un novero limitato di denominazioni d’origine (dal quale è esclusa la Champagne) e obbligatoriamente legato a un toponimo.

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CRÉMANT... DI CHE?

In base all’attuale normativa è dunque necessario specificare la provenienza geografica di un crémant. Per legge, il crémant tout court non esiste2. Possono rivendicarlo otto regioni d’Oltralpe, cui si aggiungono il Lussemburgo e la Vallonia (Belgio), assimilate al mondo francofono e anch’esse inquadrate dalla legislazione europea. Con il regolamento dell’85 la Champagne perdette il diritto di servirsi di questo nome (che peraltro correva il rischio di essere fuor viante, se si pensa che Cramant è uno dei suoi Grand cru più celebri, spesso  rivendicato in etichetta). Quale che sia l’origine del crémant, la legislazione vigente prevede tuttavia alcuni parametri comuni, cui non è possibile derogare (vedi riquadro).

ESEMPI ILLUSTRI

È plausibile che tutte le regioni francesi che oggi producono crémant siano arrivate alla spumantizzazione “a traino” dell’esempio champenois, ma non mancano vicende storiche illuminanti. La Borgogna si inorgoglisce di una tradizione di presa di spuma risalente almeno al 1820 (in particolare a Rully, nella Côte Chalonnaise). In Loira si parla di fermentazione o rifermentazione in bottiglia da duecento anni, specie nel settore di Saumur. Lo Jura produce vini effervescenti addirittura dal tardo Seicento, anche se bisogna attendere il XX secolo perché questa tipologia si strutturi. L’Alsazia di fine Ottocento, assoggettata al dominio imperiale tedesco, vedeva alcune maisons champenoises investire in loco, ma fu soprattutto l’iniziativa di Julien Dopff, “infiltrato” in Champagne dopo le suggestioni dell’esposizione universale del 1900, a trasferire le sue competenze nella regione d’origine. Non si può poi tacere di Limoux, che insiste nel fregiarsi di una presunta tradizione spumantistica risalente addirittura al Cinquecento (un documento scritto del monastero di Saint-Hilaire evoca l’esistenza di un vino mosso nel 1531: il progenitore della celebre blanquette)!

UNA TENDENZA INARRESTABILE?

Il vino effervescente – sia esso spumante o frizzante – incassa il favore di una tendenza commerciale in vertiginosa ascesa da anni. Le “bollicine” piacciono in tutto il mondo – si veda la prodigiosa vicenda del Prosecco! – perché rimandano a un’idea di festa, di spensieratezza, di lusso, e possiedono una facilità di beva in grado di mascherare un livello qualitativo modesto della materia prima. Per questo motivo, il successo dei vari crémant incentiva le aziende a gonfiare la produzione. Flagrante in tal senso è l’esempio dell’Alsazia, passata in meno di dieci anni da 13 a 33 milioni di bottiglie annue. Ma anche del Crémant de Loire, con un balzo del +653% nello stesso arco temporale (cui vanno aggiunti 10 milioni di bottiglie l’anno di Saumur brut, 5 milioni di Vouvray, 1 milione di Touraine mousseux, 600 mila di Montlouis, e altri vini fuori AOP). Una tendenza in crescita, dunque, quella dei crémant, con un picco di oltre 102 milioni di bottiglie vendute proprio nel 2022. E una quota di export pari al 41% dei volumi venduti (a fronte di un 32% cinque anni or sono).

QUALE SNODO QUALITATIVO?

Le domande relative alla qualità di questi vini sono molteplici, ad esempio riguardo le implicazioni di una tale crescita nei volumi. Ma la questione che sorge spontanea e per prima rimane immutata: i crémant sono in grado di rivaleggiare per qualità con gli Champagnes? Se il quesito suona insidioso, la risposta è molto semplice: sì. Anzi, in vari casi il livello dei migliori crémant Biè paragonabile se non nettamente superiore a uno Champagne medio. Dato per assodato che, dalla Champagne al Languedoc, tutti i terroir si sono visti certificare con le AOP la loro adeguatezza viticola, il nodo da sciogliere non è geografico, bensì umano. A fare la differenza sono cioè la perizia e la sensibilità del vignaiolo. Resta tuttavia fuori discussione che, al di là delle querelle sull’antecedenza storica (sia Gaillac sia Limoux contestano alla Champagne la capziosa palma di più antico territorio capace di produrre intenzionalmente un vino mosso), la Marne rimane senza dubbio il punto di riferimento assoluto nella definizione e nella messa a punto del metodo classico, chiamato appunto champagnisation. E lo Champagne è il faro quanto a blasone, a tal punto che, per rivaleggiare, c’è chi ha istituito delle versioni “premium” dei propri vini, come la Borgogna, con i crémant Éminent e Grand Éminent (vedi riquadro).

UNA SPIGOLATURA DI AZIENDE

Lungi dal volersi esaustiva degli oltre mille produttori di crémant, questa breve lista mette in evidenza solo qualche azienda e qualche cuvée in grado di rivendicare un’offerta qualitativamente affidabile o, al contrario, messasi in luce di recente. La regione che ha forse più motivo di vanto è l’Alsazia. A fronte di un mare di crémant insipido, vignaioli come Pierre Frick*, Sylvie Spielmann*, Julien Meyer, Dirler-Cadé e soprattutto Stéphane Binner offrono in pianta stabile vini di altissimo pregio. I crémant di Frick sono liberi, leggeri ed estrosi. Quelli di Spielmann più profondi, maturi e grassi. Meyer punta sull’essenzialità e sull’asciuttezza. I vini di Dirler-Cadé coniugano personalità, precisione e tensione. I metodi classici di Binner, irriverenti e disorientanti, sono ambiziosi, naturali, esotici, ricchi. Anche la Loira ha non poche frecce al proprio arco. Lo Château Pierre-Biè se, ad esempio, produce in Anjou dallo chenin blanc dei crémant pieni, dritti, succosi e completi. La versione brut nature è meno ampia del brut, ma sfodera una classe cristallina. Il Domaine de la Paleine*, nel Saumurois, si segnala per crémant più semplici ma generosi, spumosi e assai gustosi. Mediamente meno dotata è la Borgogna, che destina le sue uve migliori ai vini fermi. Non si può tuttavia dimenticare il crémant di Céline e Laurent Tripoz, che nel Mâconnais ricavano dallo chardonnay un metodo classico puro e assai espressivo. La cuvée “Charme” di Jean-Paul Brun (Domaine des Terres Dorées) dimostra che anche il Beaujolais può servirsi dello chardonnay a dovere: questo vino è semplice e diretto, ma di beva stimolante e golosa. Ottimo il crémant del Domaine d’Édouard*, che nell’Yonne, vicino Auxerre, produce bottiglie di tutto rispetto. Meno irresistibile, ma dal buon rapporto qualità prezzo, il crémant di Dominique Gruhier (a Épineuil). Da segnalare i vini di Alice e Quentin Beaufort (di rinomata famiglia champenoise), ottenuti nello Châtillonnais (Borgogna nord), non sempre etichettati come crémant. Lo Jura brilla innanzi tutto grazie agli splendidi crémant di Julien Labet*, secchi, complessi e minerali, ma anche gli spumanti del Domaine de Montbourgeau, del Domaine des Marnes Blanches e del Domaine Pignier s’illustrano con pieno merito per la loro franchezza, godibilità e affidabilità. A Limoux è soprattutto Alain Cavaillès a ridar lustro a un territorio un po’ opacizzato dal produttivismo; personalmente preferisco però la blanquette al crémant. Infine, in Savoia l’indiscusso paladino della spumantistica locale è stato per anni Dominique Belluard, che ad Ayse, non lontano dal lago di Ginevra, illustrava il vitigno gringet come nessun altro. Purtroppo Belluard ci ha lasciati poco più di due anni or sono. Oggi la sua azienda, rilevata da alcuni amici, si chiama Domaine du Gringet.

* Trasparenza sul conflitto d’interessi: l’autore ritiene doveroso segnalare che è consulente di Stefano Sarfati, importatore italiano dei domaine contrassegnati dall’asterisco.