Morgon Irresistibile “nobiltà popolare”

Morgon  Irresistibile “nobiltà popolare”

Approfondimento Francia
di Samuel Cogliati Gorlier
05 novembre 2018

Un piccolo baluardo della logica vitivinicola artigianale. Alla scoperta del Gamay che sa invecchiare

Pubblicato su Viniplus di Lombardia - N°15 Settembre 2018

Si fa presto a dire Beaujolais, ancor più a dire Gamay. Un po’ meno a dire Morgon. Non soltanto perché il nome della regione viticola è, nel bene o nel male, assai più celebre e diffuso nel mondo di quello del suo cru principale: 65 milioni di bottiglie l’anno a fronte di soli 6,2 milioni sono una bella differenza, ma ciò che più distingue le due denominazioni di origine non sono tanto i volumi quanto la diversa attitudine gustativa, la prospettiva e la completezza della struttura. 

Una declinazione specifica 

Va innanzitutto chiarito che Morgon è Beaujolais, ma il Beaujolais non è affatto automaticamente Morgon. Solo il 7% del vigneto regionale (circa 16.000 ettari) può fregiarsi di quest’ultima denominazione. La logica è topografica: Morgon è infatti una delle appellations comunali o sovraccomunali del Beaujolais settentrionale. I francesi le chiamano “cru”, per quanto questa dicitura possa risultare discutibile, a causa della loro considerevole superficie. Morgon si estende infatti su oltre un migliaio di ettari vitati (ma anche gli altri cru Aop ricoprono centinaia di ettari: gli adiacenti Fluerie, Regnié e Chiroubles, oltre a Moulin-à-Vent, Juliénas, Chénas e Saint-Amour a nord, Brouilly e Côte-de-Brouilly a sud). Il concetto che regge la nozione transalpina di cru – ovvero una specificità e un’omogeneità di terroir (geologia, clima, mesoclima, morfologia, ecc.) – potrebbe essere messo parzialmente in dubbio, in questi casi. Nondimeno il legislatore ha ritenuto questi territori sufficientemente coerenti da avallarne l’ambizione a differenziarsi dalla generica denominazione d’origine regionale. E questo sin dall’inizio: Morgon fu insignito del titolo di Aoc a sé stante nel lontano 1936, contestualmente alla creazione dell’appellation Beaujolais. Un attestato che coronava un millennio di storia viticola, se è vero che le prime testimonianze scritte della viticoltura locale risalgono all’anno 956. 

In principio furono Chauvet e Lapierre

Morgon sfugge in parte all’assetto che regola buona parte della struttura produttiva del Beaujolais: il négoce. La maggioranza delle bottiglie regionali è infatti commercializzata da grosse maisons che vinificano uve, oppure affinano o imbottigliano vini acquistati presso viticoltori. Nomi come Jadot e soprattutto Georges Dubœuf (questa casa acquista da 300 fornitori e vende in 120 Paesi quasi un quarto della produzione regionale!) incarnano da tempo, in Francia come all’estero, l’immagine stessa del beaujolais (sia esso “normale” o nouveau). Nonostante alcuni meriti nella diffusione dei vini regionali, quest’attività commerciale ad ampio spettro ha contribuito nel tempo a dare del beaujolais l’immagine di un vino basico, di scarse pretese, tutt’al più goliardico ma assai standardizzato. Per i più si tratta di una tipologia imbrigliata nelle maglie di una vinosità elementare, fatta di aromi fruttati (esteri) estemporanei, ma incapace di invecchiare. Succube di un successo commerciale che, negli anni Ottanta e Novanta, non ha certo giovato all’accuratezza produttiva, l’identità del Beaujolais ha dunque finito per collimare con quella del suo peggior vino novello. 

Chi conosce la regione sa invece che è capace di dare vini fini, golosi, fragranti, ma anche sorprendentemente longevi, soprattutto quando provengono dai migliori terroir vinificati con perizia. Sono l’esempio più luminoso della tendenza dei più grandi beaujolais a “pinoter”, ovvero ad assumere con l’evoluzione tonalità gustative che li avvicinano ai nobili pinot noir di Borgogna. Morgon – e alcuni suoi lieux-dits più quotati, tra i quali spiccano la Côte du Py e Javernières – ha indubbiamente questo potenziale. Due secoli or sono André Jullien scriveva nella sua celebre Topographie che i vini di Morgon «durano a lungo e finiscono sempre bene». Con i suoi 400 vinificatori, che detengono il 40% delle vendite dirette, Morgon rimane dunque un piccolo baluardo della logica vitivinicola artigianale, che fa da contrappeso all’industria. 

Forse meno nota è l’opera, in verità cruciale, di un gruppo di vignaioli che, a partire dai primi anni Ottanta, intraprese un lavoro di emancipazione del vino dall’imperante modus operandi dell’epoca, dominato da un’enologia correttiva molto pesante. Seguendo le intuizioni e gli insegnamenti dell’enologo e studioso Jules Chauvet, la cosiddetta “banda Lapierre” incarnò un nucleo di veri e propri pionieri dei vini “naturali”. Al centro di quel movimento e di quella riflessione, il tentativo di affrancarsi quasi del tutto dall’uso dei solfiti, ma anche la predilezione per pratiche coerenti con questo approccio, dall’utilizzo dei soli lieviti indigeni per la fermentazione al rifiuto dell’alterazione dei parametri enologici. Il tutto, ovviamente, partendo da uve sane e mature. A guidare questo gioioso manipolo di vignaioli “sovversivi” fu proprio Marcel Lapierre, affiancato da altre personalità di rilievo, quali Jean Foillard e Jean-Paul Thévenet. È così che, nella recente storia vinicola francese, Morgon si configura come un centro di irraggiamento delle tendenze alternative alla vinificazione invasiva convenzionale. 

La vinificazione beaujolaise 

La cosiddetta vinificazione beaujolaise può dare adito a grossi equivoci. Si può infatti essere facilmente tratti in inganno e pensare che si riassuma banalmente nella macerazione carbonica: la macerazione di grappoli interi non diraspati e non pigiati, contestuale alla fermentazione intracellulare di tipo enzimatico anziché affidata ai lieviti, il tutto svolto in vasche saturate di CO2. La procedura così descritta corrisponde invece allo schema della produzione de novelli, ma nella realtà la vinificazione del beaujolais (e a maggior ragione del morgon) è più sfumata e articolata. Il metodo è infatti di solito una cosiddetta “semi-carbonica”, ovvero una convivenza dei due tipi di fermentazione, con la prevalenza di una macerazione tradizionale, e senza saturazione del vaso vinario con anidride carbonica. Solo una parte del raccolto è dunque vinificata con sistema carbonico, oppure questa metodologia corrisponde unicamente a una breve fase iniziale del processo, che prosegue in modo più classico. Si conciliano così facendo impatto gustativo immediato e fruttato con la maggiore struttura data da un’estrazione fenolica tradizionale. Fondamentale sono comunque la lentezza del processo e il controllo rigoroso della temperatura (sotto i 25 °C), al fine di non estrarre dai raspi le componenti vegetali più acri. 

Beaujolais e Beaujolais-Villages La denominazione d’origine

Il cru Morgon occupa 1.127 ettari vitati nel comune di Villié-Morgon, nel settore centro-settentrionale del Beaujolais: l’areale ritenuto più qualitativo, su cui ricadono infatti anche tutti gli altri cru.

Dal punto di vista geologico il terroir è connotato da una matrice prevalentemente granitica e scistosa, ma anche argilloso-calcarea. Proprio gli scisti, ricchi di manganese, generano degradandosi suoli argillosi ad alta vocazione viticola (tra di essi la celebre collina del Py). Si tratta di suoli poveri e drenanti, ampiamente vocati alla viticoltura. La povertà delle terre contribuisce al contenimento delle rese di produzione, uno dei grandi crucci della viticoltura e del vitigno locali, il vigoroso Gamay. Il disciplinare prevede comunque un rendimento massimo di 56 ettolitri/ettaro (con deroghe annue fino a 61 hl/ha, in caso di annate generose). 

L’altitudine dei vigneti è compresa tra 220 e 480 metri circa, variabilità che condiziona sia il profilo gustativo dei vini sia la data di vendemmia, più tardiva per le vigne elevate. 

Sul piano climatico il Beaujolais si situa al crocevia tra residue influenze oceaniche, tendenze semi-continentali e strascichi di elementi mediterranei capaci di risalire la valle del Rodano. Le estati possono in effetti rivelarsi assai calde. 

Il vitigno principale è il Gamay (bacca nera e succo bianco), che può essere affiancato da cultivar bianche: chardonnay, aligoté e melon de Bourgogne (ormai rare ma storicamente presenti nel Beaujolais), a patto però che la loro distribuzione in vigna sia promiscua al Gamay e non ecceda il 15% del totale. Una normativa che riflette l’antica propensione locale per la disposizione dei ceppi en foule, ovvero in ordine sparso anziché in filari, con potatura ad alberello e alte densità di viti per ettaro (il disciplinare impone almeno 6.000 piante/ha, ma spesso si raggiungono concentrazioni più che doppie). 

In fase di vendemmia la cernita delle uve è obbligatoria. Il grado alcolico naturale minimo è di 10,5% e i vini devono essere secchi (zuccheri <3 g/l) al momento della commercializzazione, autorizzata dal 15 marzo dopo la vendemmia. 

Dalla cantina al bicchiere 

L’incontro di questo particolare terroir, del talento (troppo spesso sottovalutato) del Gamay e della sensibilità di questo tipo di vinificazione messa a punto nei decenni rivela la classe cristallina che può nascondersi dentro una bottiglia di morgon. Un nettare che unisce una vena vinosa di immediata golosità a una insospettabile capacità di invecchiare (anche 15 o 20 anni!), assumendo allora toni e movenze assai più aristocratiche: note speziate e orientali, un frutto trasfigurato ma preservato nella sua purezza, una presenza tattile al contempo delicata e tonica, presieduta dalla delicatezza del tannino e dal garbo di un’acidità gentile. Ci troveremo allora dinanzi a una nuova, inattesa esperienza gustativa, che ci farà dire: «non chiamatelo beaujolais: è morgon!». 

La selezione delle aziende

Jean Foillard 

69910 Villié-Morgon – tel. +33(0)4.74.04.24.97www.leclachet-foillard.com 

Importato in Italia da Caves de Pyrène (Alba)

Jean Foillard è uno dei punti di riferimento assoluti di Morgon. In oltre trent’anni di vitivinicoltura si è imposto per la sua cura delle vigne e per la precisione della vinificazione. Se il morgon “base” è un ottimo rappresentante della denominazione – sia nella versione “domaine” sia in quella “négoce”, da uve acquistate –, le sue cuvée di vertice sono incontestabilmente la “Côte du Py” e la “3,14” (prodotta con le più vecchie viti del medesimo lieu-dit), probabilmente quanto di meglio sia possibile reperire in zona. 

Il morgon 2016 (versione “négoce”) è un vino di schioccante leggerezza e bevibilità, che non rinuncia a una vinosità fresca e propositiva. 

La Côte du Py 2016 possiede più classe e carattere: appena aspra nell’impatto, ma intessuta di un ordito educatamente ed elegantemente minerale (grafite), sa occupare con autorevolezza la bocca senza pesare. Vino dal fruttato cristallino, sgargiante, pieno e rigoroso. Puro piacere, per un fagiano o un pollo ruspante arrosto. 

M. Lapierre 

Domaine des Chênes, 69910 Villié-Morgon – tel. +33(0)4.74.04.23.89 – www.marcel-lapierre.com 

Importato in Italia da Velier (Genova) 

Marcel Lapierre, scomparso nel 2010, ha lasciato l’azienda di famiglia in buone mani. Oggi sono la moglie Marie e il figlio Mathieu a perpetuare con coerenza l’impostazione impressa al vigneto (bio dal lontano 1981!) e alla vinificazione (il meno interventista possibile, con un uso dei solfiti assai limitato, fermentazioni spontanee e senza filtrazione). 

I vini offrono un profilo immediato, goloso, franco, spigliato e molto spontaneo. Il morgon 2016 rivela polpa, delicatezza nella lieve e linfatica trama tannica, il tutto avvolto in una confortevole morbidezza; la bevibilità è poderosa nonostante i 13 gradi alcolici. Chiude sulla liquirizia e la scorza di arancia amara. Da abbinare a un antipasto di roast-beef all’inglese con insalata russa. 

Joseph Chamonard 

Corcelette, 69910 Villié-Morgon – tel. +33(0)4.74.69.13.97g.chanudet@wanadoo.fr  

Importato in Italia da Sarfati (Milano)*

Jean-Claude e Geneviève Chanudet lavorano i loro 4,5 ettari vitati in regime di agricoltura biologica (non certificata) dagli anni Ottanta. Il morgon proviene da vecchie viti, piantate nell’immediato Dopoguerra su un terroir scistoso. La vinificazione è classicamente beaujolaise, con una macerazione semi-carbonica e una fermentazione spontanea, affidata ai lieviti indigeni. L’unico additivo enologico impiegato sono i solfiti, in dosi “omeopatiche”. L’affinamento avviene in buona parte in legno grande. 

Il morgon del domaine Chamonard è tra i più affidabili in circolazione per finezza, fragranza e spontanea leggiadria. Nelle annate migliori sa anche invecchiare in maniera prodigiosamente raffinata, come dimostra ad esempio il 1998, oggi arrivato a fine corsa ma ancora di straordinario fascino. 

* Trasparenza sul conflitto d’interessi: l’autore desidera segnalare che svolge attività di consulenza professionale per Stefano Sarfati. 

Jean-Paul Brun – Domaine des Terres Dorées  

565 route d’Alix, 69380 Charnay-en-Beaujolais – tel. +33(0)4.78.47.93.45 – contact@terresdorees.fr 

Importato in Italia da Teatro del vino (Calenzano) 

L’azienda di Jean-Paul Brun si trova “fuori zona”, ovvero a Charnay-en-Beaujolais, e copre ormai oltre 40 ettari in varie denominazioni, tra cui un ettaro a Morgon. L’approccio viticolo è poco invasivo e tendenzialmente ecologico da lungo tempo; le vinificazioni sono affidate ai lieviti indigeni. 

Il morgon 2016 ha un’impostazione vinosa piuttosto diretta, ma sostenuta da una vena odorosa dolce, frutto dell’affinamento. Non gli manca finezza. Dallo stile piuttosto classico, merita ancora un anno o due di bottiglia. 

Altre aziende notevoli: 

Jean-Marc Burgaud, Damien Coquelet, Jean-Claude Desvignes, Château des Jacques, Jean-Paul Thévenet.