Nasce il “Vin Méthode Nature”

Nasce il “Vin Méthode Nature”

Approfondimento Francia
di Samuel Cogliati Gorlier
25 novembre 2020

Viniplus di Lombardia - N°19 Novembre 2020 | In Francia il Syndicat de défense des vins nature’l vara la propria carta metodologica e il proprio logo. Altri soggetti avevano già assunto iniziative simili in passato, ma stavolta le autorità statali avallano il progetto

Tratto da Viniplus di Lombardia N°19 - Novembre 2020

Definire annoso il dibattito è un eufemismo. Quando iniziai a occuparmi stabilmente di vino, quasi vent’anni or sono, si discuteva già di vini ottenuti in modo ecologico, usando uve coltivate al riparo dalla chimica e dall’invadenza di un’enologia additiva. Le definizioni erano sfocate, ma presto un vocabolo e i suoi derivati fecero breccia: natura. Fin dalle prime edizioni il salone del gruppo Vini Veri, a Villa Favorita (Sarego, Vicenza), sposava il motto “Vino secondo natura”. Presto però le parole natura e naturale finirono nel mirino delle autorità e furono messe in stato d’accusa, con un crescente attrito, sfociato addirittura in denunce e ammende nei confronti di produttori e commercianti che se ne giovavano. In Francia, dove il fenomeno era persino anteriore e più maturo – in certi ambienti si parlava di vins nature fin dagli anni Ottanta –, si aprì presto una riflessione sull’opportunità di inquadrare e normare questa dicitura. Un passo necessario, sostenevano in molti, visto che i vini naturali esistono già nei fatti. Senonché sia la terminologia, che scontenta chi ne è estromesso, sia il merito della valutazione creavano costante disaccordo. Il dibattito coinvolse anche i poteri pubblici; nel 2014 l’apposita commissione dell’Institut national de l’origine et de la qualité (INAO) non prendeva ancora posizione ma chiosava: «La commissione nazionale ha effettivamente constatato che l’utilizzo dei termini nature e naturel […] rappresenta attualmente una zona grigia del diritto, poiché non esistono disciplinari di produzione privati, con certificazioni e controlli particolari». E teorizzava un compromesso: «l’espressione “vinificazione naturale” per un verso costituisce un’ipotesi di lavoro interessante e, per altro verso, sembra indurre una minor confusione dell’espressione “vino nature” o “vino naturale”». Oltre cinque anni dopo, è proprio questa soluzione ad averla spuntata.

L’APPROVAZIONE DELLA REPRESSIONE FRODI

Nato nell’estate del 2019, il Syndicat des vins nature’l ha optato per un dialogo serrato con l’amministrazione pubblica; anzi, si è in qualche modo adeguato alle sue richieste. I diretti interessati spiegano che la scelta di costituirsi in sindacato, anziché in associazione, deriva proprio dall’auspicio di veder riconoscere dalle istituzioni uno status giuridico a pieno titolo. Nell’àmbito della trattativa, il ripiego dei vignaioli ha riguardato eminentemente il lessico: alla dicitura vin nature si è sostituita vin méthode nature, perché secondo la Repressione frodi d’Oltralpe la prima era contraria alla regolamentazione europea. In compenso il Regolamento UE 2019/33 consente di utilizzare una menzione descrittiva che si riferisca al metodo di produzione del vino; ecco dunque individuato l’escamotage (formale ma forse non solo). 
A inizio febbraio 2020 il Syndicat presenta ufficialmente la propria carta; il 21 dello stesso mese avviene l’appuntamento decisivo con la DGCCRF (Direction générale de la concurrence, de la consommation et de la répression des fraudes), concluso con una fumata bianca. Se a inizio maggio gli aderenti alla carta erano 251 (84 vignaioli, 78 commercianti del settore e 89 appassionati), il sindacato punta a quadruplicare i propri iscritti nel volgere di tre anni. L’operazione, che intende non solo dare regole precise, ma anche dare visibilità e mettere ordine nella comunicazione in questa materia, si rivolge infatti anche a enotecari, ristoratori, distributori e semplici appassionati, che possono scegliere di sostenerla.

COMUNICAZIONE, TRACCIABILITÀ E TRASPARENZA

La carta Vin Méthode Nature non ha solo implicazioni produttive, ma punta anche a comunicare i propri contenuti in modo coerente e propositivo. Per questo motivo, il Syndicat scommette anche sulla trasparenza e sulla divulgazione. La carta sarà esposta dagli aderenti in ogni fiera o salone, e nel limite del possibile è richiesto ai rivenditori di fare altrettanto. Per ogni etichetta e relativo quantitativo che desidera certificare, il vignaiolo deve presentare una dichiarazione entro il 10 dicembre; il successivo impegno a rispettare la carta avviene «sul proprio onore» al momento dell’immissione del vino sul mercato. Da quel giorno in poi le bottiglie dovranno essere chiaramente identificabili, mediante l’apposizione del relativo logo. Tutte le informazioni fornite dal produttore saranno infine rese pubbliche online. Per ottenere il logo, i vignaioli devono anche eseguire un’analisi di laboratorio dei solfiti con metodo “Frantz Paul”, inoltrarla al sindacato e garantire la tracciabilità del vino. Il Syndicat provvede inoltre ad alcune verifiche a campione (analisi di laboratorio su residui di pesticidi di sintesi e sulle caratteristiche fisiche del vino, nonché sui registri di cantina), tuttavia per appena l’1% dei vini aderenti ogni anno.

GLI ATTORI, LE CIFRE, LE PROSPETTIVE

A febbraio 2020, il Syndicat ha approvato all’unanimità la carta (25 i presenti), mentre tre mesi dopo i vignaioli aderenti erano già 91. Oltre 170 etichette hanno già inoltrato la domanda per la prima annata, da commercializzarsi a partire da quest’anno. Particolarmente ben rappresentati sono il Sud della Francia e la valle della Loira, ma tra gli associati si contano già anche aziende straniere (svizzere, italiane, cilene, slovacche). Il gruppo di lavoro iniziale era così composto: Gilles Azzoni (vignaiolo in Ardèche), Jacques Carroget (vignaiolo della Loira e referente della Fédération nationale d’agriculture biologique), Sébastien David (vignaiolo nella Loira e presidente di Loire Vin Bio), Antonin Iommi-Amunategui (editore e organizzatore del salone “Nature”), Éric Morain (avvocato), Christelle Pineau (antropologa, giornalista e scrittrice). Allo stato attuale “Vin Méthode Nature” è un marchio privato, ma Carroget auspica che nel volgere di qualche anno possa tradursi in una normativa pubblica. Il dialogo con le istituzioni (francesi ma in prospettiva anche europee) è destinato a rimanere serrato, con facoltà di controlli. «L’obiettivo a medio-lungo termine è dar vita quanto meno a un marchio europeo, senza tuttavia dover scendere a compromessi sulla sostanza della nostra normativa interna», spiega il Syndicat. Un punto che resta assai scivoloso, dato che l’organizzazione apre ai produttori stranieri, ma la dicitura è per ora riconosciuta dalle sole autorità francesi, donde un nuovo disorientamento normativo sulla sua liceità e sul suo impiego in àmbito internazionale. Se nulla vieta a un’azienda italiana di iscriversi, l’utilizzo della menzione e del logo potrebbero prestare il fianco a contestazioni giuridiche al di qua delle Alpi. Già poche settimane dopo il varo di questa novità non è mancato chi, come l’europarlamentare Elena Lizzi, ha sottoposto un’interrogazione alla Commissione di Bruxelles, non per caldeggiare un’estensione dell’accordo al resto dell’Unione ma lamentando una concorrenza sleale dei vignaioli francesi nei confronti degli altri: «Ho chiesto alla Commissione se ritiene accettabile che il vino possa essere etichettato con la denominazione vin méthode nature, che è stata creata per aggirare le norme europee. I consumatori potrebbero essere indotti in errore da etichette con una dicitura non riconosciuta a livello europeo». Tuttavia le motivazioni della deputata sarebbero da ricercare anche in uno scetticismo di fondo sulla possibilità di definire un concetto di “naturalità” nel vino.

LE REAZIONI

Prevedibilmente eterogenee e contrastanti le reazioni del mondo viticolo. Antonella Manuli, della Fattoria La Maliosa, prima azienda italiana ad aderire, spiega: «Ho scelto di iscrivermi al Syndicat sin dalla sua fondazione, prima ancora che si parlasse di un disciplinare, proprio perché mi interessava l’approccio sindacale, anziché associativo. Mi ha poi confortato l’approccio tecnico, consistente nel mettere a fuoco il metodo di produzione più che il risultato finale. Credo che sia un’iniziativa intelligente, un sasso nello stagno, lanciato non per fare rumore ma per risolvere i problemi». Velier SpA, proprietaria della distribuzione TripleA, antesignana della diffusione commerciale del vino naturale in Italia, ha raccolto il parere di alcuni vignaioli francesi che importa. Secondo Mark Angeli (Loira), «per coloro che desiderano un riconoscimento, questo disciplinare è molto serio». Christian Binner (Alsazia) è d’accordo: «Questo logo rispetta la filosofia vera e originale dei vins nature», e rincara: «garantirà anche la distinzione con i futuri vini industriali senza solfiti, che vedremo spuntare presto nei supermercati, che non necessariamente provengono da uva biologica e la cui assenza di solforosa nasconde manipolazioni ben più nocive». Cauto un altro alsaziano, Florian Beck-Hartweg: «Da una parte, è vero che il movimento del vino naturale si contraddistingue per la sua libertà, prerogativa che dà un senso al movimento […]. Questa carta è un vero lavoro da equilibrista, e allo stato attuale delle cose penso che se la cavi piuttosto bene». Assai più scettico Sébastien Riffault (Sancerre): «Un’azienda vinicola di tipo industriale potrà ottenere senza difficoltà il logo VMN su una delle sue cuvée prodotta ad hoc senza solfiti, anche se il resto della sua produzione si aggira su milioni di bottiglie ed è del tutto industriale». Da questa parte delle Alpi, Angiolino Maule (Gambellara), fondatore della storica associazione VinNatur, si dice «profondamente deluso. Quest’operazione mi pare una presa in giro. Il Syndicat prevede l’1% di controlli l’anno, ed eseguiti da chi? Dopo 13 anni di lavoro, VinNatur procede tuttora a un controllo annuo per ciascun associato, avvalendosi di un unico ente certificatore affidabile, perché con dipendenti interni al riparo da conflitti d’interesse. Mi pare il minimo sindacale, eppure scoviamo talvolta residui di pesticidi nei vini di qualche iscritto, che viene ovviamente sanzionato. I costi non sono una scusante: con soli 70 euro per campione si tracciano ormai 230 princìpi attivi. Quella del VMN mi sembra dunque una scorciatoia commerciale. Io credo fermamente alla necessità di arrivare a una certificazione ufficiale sul vino naturale, ma la strada è lunga e complessa. VinNatur sta continuando a lavorarci».

IL NODO DELLA TERRITORIALITÀ

Un altro punto resta pendente, e non manca di sollevare dubbi e pareri discordi: il rapporto con il concetto di territorialità. Fin dagli esordi, uno degli assunti dei vini naturali è sempre stato potenziare e migliorare l’espressione del terroir. Eppure, paradossalmente, nel tempo molti produttori sono usciti, volontariamente o meno, dalle denominazioni d’origine. A tal punto che, sul piano commerciale, la forza di altri significanti ha finito per prevalere: marchi aziendali “forti”, linee commerciali, certificazioni. Insomma: si può pensare o temere che i clienti acquistino una certa etichetta indotti dalla pregnanza di nomi e simboli che non rimandano all’origine geografica. È un rischio connaturato anche al logo Vin Méthode Nature, che rischia di scalzare proprio ciò che intende difendere? Fiducioso Christian Binner, che ritiene di no: «Il fatto che questa carta sia validata dalla Repressione frodi, dalla Difesa dei consumatori e dall’INAO significa che è ufficiale e controllata dalle pubbliche autorità. Questo farà sì che molti vini naturali abbiano finalmente un riconoscimento all’interno delle AOC».