Dazi e vino. Quale impatto su costi, gestione della produzione e indirizzi politici?

Dazi e vino. Quale impatto su costi, gestione della produzione e indirizzi politici?

Attualità
di Paola Marcone
28 agosto 2025

Aumento dei prezzi a scaffale, riduzione di rese e stoccaggi, stop ai discussi “health warnings” in etichetta. Le prime conseguenze dell’accordo sui dazi tra Unione Europea e USA.

L’accordo commerciale sui dazi tra Unione Europea e Stati Uniti d'America è ormai operativo nella misura lineare del 15% per diverse categorie merceologiche e anche se il Commissario europeo al commercio, Maros Sefcovic, e il Ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, continuano a ribadire come nel documento sottoscritto dai due Paesi sia stato lasciato margine per future revisioni, a oggi vino, alcolici e birra - e chissà per quanto - si trovano a fare i conti con il balzello voluto da Donald Trump.

Tre notizie apparse sulla stampa aiutano a chiarire quanto imposizioni come i dazi influenzino drasticamente non solo i costi del prodotto, ma spingano anche a rimodulare la gestione della produzione e rivalutare indirizzi politici non solo di natura commerciale.

Aumento dei costi a scaffale

Secondo l'Unione Italiana Vini (UIV) nel 2024 sono state importate negli Stati Uniti 482 milioni di bottiglie di vino italiano, per l’80% posizionate nelle fasce più competitive con un prezzo franco cantina di 4,2 euro al litro, mentre solo il 2% delle bottiglie era collocato in fascia super premium. 

Se prima dell’introduzione dei dazi la bottiglia italiana che usciva dalla cantina a 5 euro veniva venduta in corsia a 11,5 dollari, ora il prezzo della stessa bottiglia si attesta intorno ai 15 dollari, anche a causa del rapporto svantaggioso sull’euro della moneta statunitense. L’aumento del prezzo dall’origine allo scaffale è quindi quantificabile in un + 186% contro un + 123% pre dazi. Per l’Osservatorio UIV, poi, nella ristorazione il problema sarà ancor più gravoso perché la stessa bottiglia da 5 euro rischierà di costare al tavolo, tenuto conto degli usuali ricarichi, circa 60 dollari.

All’evidenza cifre insostenibili, che Lamberto Frescobaldi, Presidente UIV, prevede produrranno danni per le aziende italiane stimati in “317 milioni di euro cumulati nei prossimi 12 mesi, mentre per i partner commerciali d’oltreoceano il mancato guadagno salirà fino a quasi 1,7 miliardi di dollari. Il danno salirebbe a 460 milioni di euro qualora il dollaro dovesse mantenere l’attuale livello di svalutazione”.

Moscato d’Asti, Pinot grigio, Prosecco, i rossi toscani e piemontesi sono considerati i vini più esposti a perdite, in considerazione dei numeri del loro export verso gli USA. 

Riduzione di rese e stoccaggi

I vini tutelati dal Consorzio Asti DOCG (Asti DOCG, Canelli DOCG e Strevi DOC) sono esportati per ben il 60% sul mercato statunitense e sono l’esempio di come l’introduzione dei dazi imponga un’attenta valutazione della gestione della produzione.

Proprio il Presidente del Consorzio, Stefano Ricagno, ha infatti annunciato la necessità di ridurre rese e stoccaggio in quella che è la punta di diamante della produzione, spumantistica e non, a base di moscato d’Asti, sottolineando come Il contesto internazionale, sempre più instabile e aggravato dai dazi imposti dall’amministrazione Trump, ci impone un’attenta gestione dell’offerta.”

Per la prossima campagna vendemmiale, quindi il Consiglio di amministrazione del Consorzio ha deliberato di ridurre la resa massima per Asti Spumante e Moscato d’Asti a 90 quintali per ettaro, di cui 5 riservati allo stoccaggio fino al 31 marzo 2026, salva diversa valutazione se dovessero mutare gli scenari, mentre le aziende potranno riclassificare in autonomia i prodotti detenuti come mosto bianco aromatico o vino bianco.

Cambio di indirizzi politici

Nel 2023 Il Ministro della Salute irlandese, Stephen Donnelly, annunciava che l’Irlanda sarebbe stata, a partire dal maggio 2026, il primo Paese al mondo ad applicare sui prodotti alcolici etichette con avvertenze sanitarie contro i rischi di malattie epatiche e cancro.  

La Commissione Europea nulla aveva osservato e diversi Paesi, tra cui l’Italia, avevano chiesto all’Organizzazione mondiale del Commercio (WTO) di dichiarare che il Regolamento irlandese sugli “health warnings” costituisse un ostacolo alla circolazione degli scambi e delle merci all'interno del mercato dell'Unione. 

Ora, a pochi mesi dall’effettiva vigenza della normativa e con ancora in piedi la discussione sulla legittimità della misura, il Governo irlandese ha annunciato il rinvio dell’obbligo di avvertenze sanitarie in etichetta, posponendolo al 2028.

Il motivo? L’Irlanda, paese produttore di whisky con il 37% delle esportazioni dirette negli Stati Uniti, teme che in uno scenario internazionale in cui il commercio è fortemente condizionato dai dazi, gli avvisi sanitari in etichetta costituiscano un ulteriore ostacolo alla competitività commerciale dell'Irlanda.

Il Ministro per le Imprese Peter Burke, infatti, in una lettera pubblica indirizzata nei mesi scorsi a Carroll MacNeill, Ministro della Salute, aveva chiaramente sottolineato come l'idea di apporre etichette di avvertenza sanitaria sugli alcolici sia stata "sviluppata in un periodo in cui le pressioni economiche geopolitiche erano molto diverse da quelle attuali", chiedendo così, “Nonostante i benefici generali della proposta per la salute (…) di prendere in considerazione la possibilità di sospendere l'introduzione dei nuovi requisiti proposti”.

Possibilità che il Governo ha reso certezza con il rinvio al 2028 dell’obbligo di avvisi sanitari, tornando così sui propri passi dopo anni di discussione sulla necessità di rendere più incisivamente consapevoli i consumatori dei rischi dovuti al consumo di alcol.