“In Vino Veritas”, lo spettacolo di Vinicio Marchioni

“In Vino Veritas”, lo spettacolo di Vinicio Marchioni

Attualità
di Sara Missaglia
14 gennaio 2025

Al Teatro Manzoni di Milano è andato in scena un monologo dell’attore calabrese: ispirato alla celebre espressione latina, un percorso tra ricordi personali e i grandi miti del vino.

In vino veritas: sono ignoti l’origine e l’autore, ma questo motto dalla cultura greca e romana è sopravvissuto ai secoli ed è arrivato ai nostri giorni. L’espressione testimonia un vino vissuto e raccontato a partire dal suo potere liberatorio, in grado di rivelare anche i dettagli più intimi o segreti di una storia personale o di una comunità. Un vino in grado di abbattere le limitazioni imposte dall’autocontrollo, dando via libera alle emozioni e alle verità nascoste. L’alcol quindi come strumento per svelare le emozioni, in una modalità che, da ambito filosofico e letterario, è entrata a far parte del nostro comune modo di pensare. Effetto dell’alcol, dell’ebbrezza e della sua capacità di sciogliere le barriere inibitorie? Non solo. Il vino si rivela essere, nelle parole dell’artista, un elemento contaminante tra comunità, verità e comportamento umano: una sorta di collante anche transgenerazionale per consentire a una comunità di guardare in faccia la realtà, viverla e raccontarla anche con durezza, ma in modo diretto, senza filtri o edulcorazioni.

L’autore 

Vinicio Marchioni, classe 1975, romano d’adozione e calabrese da parte materna,  è un artista eclettico che ha raggiunto un’importante popolarità anche grazie all’interpretazione del ruolo di Freddo nella serie Romanzo Criminale, dove ha indossato i panni di un componente della banda della Magliana. Nel suo percorso professionale non solo televisione, ma anche pellicole cinematografiche come l’interpretazione nei recentissimi “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi, “Un altro Ferragosto” di Paolo Virzì e “Diamanti” di Ozpetek. Con oltre 25 anni di teatro alle spalle, ha recitato nello spettacolo “Chi ha paura di Virginia Wolf “di Antonio Latella, candidato al Premio Ubu. Grazie ad un’importante capacità interpretativa, fonetica e lessicale, attraverso le quali, con sorprendente velocità, muta registro linguistico con accenti anche dialettali, dà voce a una serie di personaggi complessi e dai mille volti, diventando interprete dei più attuali fenomeni di costume del nostro Paese.

Lo spettacolo

Tante gemme e numerosi cammei che compongono un puzzle divertente e suggestivo: protagonista il nettari degli dei, che nelle parole e nei racconti di Vinicio Marchioni non è certo quello dell’Olimpo, ricco, sofisticato e ricercato, ma un vino semplice, come semplici sono le sue origini. Semplici in quanto appartenenti a un mondo contadino e rurale, ma non per questo banali o prive di valore.

Lo spettacolo nasce da una serie di ricordi enologici della storia di famiglia, in cui il protagonista è la figura del nonno, che porta lo stesso nome, anche se in realtà si trattava di un nomignolo. Sullo sfondo delle musiche originali eseguite dal vivo dai maestri Pino Marino e Alessandro D’Alessandro e attraverso canzoni dell’epoca, l’attore ripercorre un percorso personale intrecciato a un viaggio che prevede tante tappe nel passato. Da Dioniso a Charles Bukowski, da Gaber a Proietti, da Baudelaire ad Alda Merini: artisti e letterati che hanno scritto, interpretato e dedicato pensieri non solo al vino come bevanda, ma allo spirito e alle emozioni che è in grado di regalare. 

«Quando siamo troppo vicini, le cose non le vediamo. Quando ero bambino, mi ricordo, mio nonno diceva sempre che un uomo non è mai sé stesso se prima non beve almeno due bicchieri di vino. Ovviamente lui lo diceva quando ne aveva bevuti sicuramente più di due. Crescendo ho capito ciò che intendeva dire, perché senza due bicchieri di vino si crea distanza tra le persone». In queste parole di Marchioni il senso di comunità nei confronti della quale il vino diventa un elemento aggregante: «i calici riempiono la distanza tra ciò che eri prima di ieri e quello che sei oggi». Il vino come incontro, come introduzione ad un nuovo rapporto, come inizio e, perché no, anche come farmaco contro le perdite amorose. Non è solo l’effetto della possibile ebrezza o della leggerezza legata all’alcol, ma della capacità del vino di unire e di tenere insieme individui e comunità. Non è una consolazione o un sollievo momentaneo sulla scia di un altro motto, il “bere per dimenticare”: il vino è invece un momento di unità e di condivisione sincera e non artefatta. Una condivisione autentica, come lo era il vino contadino di Nonno Vinicio.

Il tema della solitudine è un tema importante, che parte dalla malinconia: «ci sono molte sfumature della malinconia, tra cui anche il rimpianto, che ti fa rimanere attaccato ai dolori e alle gioie, facendoti diventare gioia e dolore in un tutt’uno. C’è anche la malinconia che diventa gratitudine: ti consente di non dimenticare i dolori e le gioie, come gradini dell’anima, dove appoggiare i passi della vita per superare i momenti difficili ed andare avanti. Il vino è una chiave per aprire le porte dei gradini all’interno di noi stessi»: nel messaggio di Vinicio Marchioni il vino diventa elemento di fraternità, di regalo del tempo, di modalità per non rimanere isolati. Nella gestualità del condividere un calice di vino c’è la possibilità di creare comunione e fraternità. Una tavola con più bicchieri, e le persone intorno. Mai soli. Il nonno di Vinicio sicuramente, il cui ricordo visivo scorre sullo sfondo del palcoscenico al termine dello spettacolo attraverso fotografie in bianco e nero o seppiate, era un agricoltore e un allevatore, impegnato sui campi, nella cantina e nella stalla.

Racconta l'attore che si alzava al mattino prestissimo e, prima di andare nei campi, era solito mangiare uno spicchio d’aglio e bere un bicchiere di vino, per poi avventurarsi nella campagna con ogni condizione meteorologica. Sicuramente una tempra forte, al pari del carattere. Al rientro, una colazione in pieno stile brunch, come diremmo oggi, con salumi, formaggi, pane e l’immancabile vino. Vino che accompagnava ogni celebrazione della famiglia, dalle nascite alle comunioni, dai matrimoni ai funerali. Il vino della domenica, quello con i piatti cucinati dalla nonna e con i gomiti sulla tavola: un vino di casa, un vino contadino e genuino, ma che fungeva da collante per l’intera famiglia. Innalzare i calici era un gesto liberatorio e beneaugurante, prima ancora del suo consumo. Così è avvenuto anche nei momenti più tristi della famiglia, quando la sorella di Vinicio non è venuta al mondo per una gravidanza non portata a termine. Sarebbe stata l’unica nipote bambina di nonno Vinicio: e anche in quell’occasione, pur nel dolore della famiglia, Nonno Vinicio alzò il calice, per gettare indietro quel dolore e ritrovare nel rosso del vino il colore pulsante della vita. Il vino diventa il ricordo di quando si era felici, riducendo la distanza tra le persone, inducendole a fermarsi e a raccontarsi. Un vino che regala tempo e ascolto. Il vino come contraltare e antidoto a tutto quello che ciò che è invece virtuale e digitale, come momento touch scalpitante di vita, di calore, di parole e di sentimenti.

Lo spettacolo è anche una storia di comunità e di affetti importanti, quelli dei nonni, a cui forse le generazioni attuali non sono più avvezze: nonni che vivevano per la famiglia e, soprattutto, per i nipoti, nei confronti dei quali sentivano la necessità di raccontare, anche con fare perentorio, verità che, benché oggi appaiano quasi scontate, in realtà erano frutto della volontà di trasferire esperienza e testimonianza di vita. Vinicio andava spesso nei campi con il nonno, e racconta di tanti piccoli episodi che non solo hanno regalato sorrisi e ilarità al pubblico, ma che hanno generato un pensiero amorevole e nostalgico nei rapporti tra nonni e nipoti.

Un racconto emozionante e sincero per oltre due ore di ricordi e battute, in cui non poteva mancare una degustazione condotta in collaborazione con AIS Lombardia: con i vini Grillo Doc Kàdos 2023 e Nero d’Avola DOC Trikelé 2021 di Duca di Salaparuta e con il Salento IGP Malvasia nera Mora Mora di Cantine Paololeo.