Lungarotti e il nuovo approccio stilistico

Lungarotti e il nuovo approccio stilistico

Attualità
di Barbara Giglioli
26 giugno 2025

Meno estrazione, più bevibilità. Rubesco e Torre di Giano, vini simbolo dell’azienda umbra, sono al centro di un progetto di rinnovamento. Chiara Lungarotti: «abbiamo capito che era il momento di cambiare passo»

Nel cuore verde dell’Italia, dove la viticoltura incontra arte, memoria e paesaggio rurale, sorge una delle realtà più rappresentative del vino italiano. Siamo a Torgiano, suggestivo borgo umbro in provincia di Perugia, dove la famiglia Lungarotti ha dato vita a un autentico rinascimento enologico, trasformando il paese in un punto di riferimento per la viticoltura regionale.

Lazienda viene fondata negli anni Sessanta da Giorgio Lungarotti, agronomo lungimirante e innovatore, capace di valorizzare un territorio allora poco conosciuto e di portarlo alla ribalta come una delle aree più affascinanti del panorama vinicolo nazionale.
«Nel 1968 questuomo visionario ottenne il riconoscimento della DOC per Torgiano, a tutela della tipicità di questo territorio», racconta Alessandro Alì, direttore commerciale di Cantine Lungarotti. Un progetto fondato sulla qualità, che puntava già allora su ricerca, sostenibilità e valorizzazione delle varietà autoctone, anticipando tendenze oggi centrali nel mondo del vino.

Il cambio stilistico di due vini simbolo

Rubesco e Torre di Giano sono vini simbolo della cantina Lungarotti: due etichette storiche nate nel 1962 dalla visione lungimirante di Giorgio Lungarotti, che segnarono un importante punto di svolta per l’azienda. 

Oggi, questi vini sono protagonisti di un progetto di rinnovamento che rilegge il passato in chiave contemporanea. Come spiega Chiara Lungarotti, amministratore delegato, lazienda è entrata in una nuova fase, decisa a raccontarsi con maggiore immediatezza, restando fedele alla propria identità. «Per stile, territorio e immagine non c’è stata una rottura con il passato – spiega la produttrice –. Il processo evolutivo è nato da una riflessione interna: abbiamo capito che era il momento di cambiare passo».  

Negli ultimi anni si è avviato infatti un processo di adeguamento ai gusti contemporanei: si torna a uno stile più fresco, dinamico, snello. «Sono i corsi e ricorsi della storia  – spiega Vincenzo Pepe, enologo della cantina –. Con la gestione di Chiara, abbiamo riflettuto su un diverso approccio sia in vigna che in cantina».

Meno estrazione e non più colorino nel Rubesco

Il Rubesco, ad esempio, in passato rinforzato con l’aggiunta di colorino per ottenere vini corposi e strutturati, oggi viene invece reinterpretato in chiave più leggera, cercando una maggiore bevibilità e autenticità. «L’obiettivo è ritrovare l’essenza del sangiovese in purezza, puntando su maturazioni più tardive – continua Pepe – 25 anni fa acquistammo le defogliatrici termiche per avanzare le maturazioni, oggi invece il sole abbondante ci concede di rinunciare a questa operazione e anticipa le vendemmie anche di 45 giorni, un tempo si iniziavano quando oggi si finiscono».

Il cambiamento climatico ha un ruolo centrale, certo, ma anche dal punto di vista tecnico qualcosa è cambiato. «Stiamo lavorando sulla sezione delle esposizioni nei nuovi impianti, preferendo quelle meno estreme, per contrastare fenomeni di surmaturazione che mal si adattano allo stile elegante dei vini Lungarotti».

In cantina invece l’alleggerimento del Rubesco passa per l’abbandono delle estrazioni spinte, una riduzione dei rimontaggi e maturazioni più contenute. Il risultato è un sangiovese più agile, con gradi alcolici che tornano intorno ai 12-13 gradi, recuperando un’identità che sembrava perduta negli anni delle concentrazioni estreme.

Torre di Giano: il trebbiano torna centrale

Questa evoluzione, messa in moto già con l’arrivo di Chiara Lungarotti, ha avuto effetto anche sul Torre di Giano. «In passato si è ricorso al vermentino per rafforzare il profilo aromatico del trebbiano, considerato più neutro. 

Oggi questa logica viene rivalutata: il trebbiano, vitigno tardivo, si rivela sempre più adatto a un clima che anticipa la maturazione - commenta l’enologo- mentre il grechetto, che veniva usato per dare corpo e grado, potrebbe in futuro essere ridotto o eliminato, lasciando al solo trebbiano il ruolo di unico protagonista». Oggi la percentuale di trebbiano e grechetto è fissata a 70% e 30%.

Etichette e bottiglie guardano alla tradizione in chiave contemporanea 

In cantina la botte grande continua ancora a rappresentare il cuore dell’affinamento, ma il lavoro sulle estrazioni è stato reso più delicato. Si tratta di una riscoperta delle radici, ma in chiave moderna, con uno sguardo attento all’evoluzione del gusto. Il colore, un tempo elemento distintivo soprattutto nei rossi, oggi non è più una priorità: si torna a vini che non devono per forza colpire l’occhio per convincere. 

Una trasformazione ben calibrata, che coinvolge non solo il prodotto, ma anche il modo di raccontarlo, in un dialogo continuo tra narrazione, territorio e contemporaneità. «Le etichette riflettono questo spirito: è stato ripreso il design originale, aggiornandolo con eleganza- spiega sempre Vincenzo Pepe- Il Torre di Giano torna alla bottiglia renana, il Rubesco alla bordolese, con un richiamo ai primi albori anche con il colore verde».

La grotta delle vecchie annate 

C’è un luogo magico nella cantina Lungarotti, capace di lasciare senza fiato: è la grotta delle vecchie annate, uno degli spazi più affascinanti e identitari dellazienda. Un lungo corridoio sotterraneo, custodito come un caveau, dove riposano le grandi riserve di Rubesco fin dai primi anni Sessanta.

Un autentico archivio enologico, che racconta la storia della famiglia e dei progetti più ambiziosi dellazienda attraverso bottiglie che escono dalla grotta solo in occasioni speciali: degustazioni verticali, eventi esclusivi, incontri in cui il tempo diventa protagonista. Qui si manifesta appieno la forza del progetto Lungarotti: la capacità dei suoi vini di attraversare i decenni senza perdere eleganza, ma anzi, acquisendo complessità e carattere. Un patrimonio raro, curato con orgoglio e dedizione, che continua a emozionare generazioni di appassionati.

Il museo del vino 

La cantina non è solo vino: è anche cultura e territorio, in una regione – lUmbria – fatta di paesaggi mozzafiato, borghi intatti e città darte. A Torgiano, la famiglia Lungarotti ha saputo valorizzare tutto questo fondando due istituzioni uniche nel panorama italiano: il Museo del Vino e il Museo dellOlivo e dellOlio.

Non semplici collezioni, ma luoghi di narrazione dove la cultura materiale contadina viene raccontata con rigore scientifico e passione divulgativa. Il vino si intreccia così con larte, la storia e lidentità del territorio.

Un progetto culturale che va oltre limpresa agricola: un invito a vedere nel gesto del bere un atto consapevole, legato a una memoria collettiva e a una bellezza che merita di essere custodita.

Presente e futuro

Oggi la guida dellazienda è nelle mani di Chiara e Teresa Lungarotti, figlie di Giorgio, che con visione e sensibilità portano avanti leredità paterna. Lapproccio è quello di una realtà moderna e dinamica, attenta alla sostenibilità ambientale e fortemente orientata allinternazionalizzazione.

La gamma Lungarotti è ampia e coerente: dai rossi strutturati ai bianchi freschi e sapidi, passando per gli spumanti metodo classico e i vini dolci della tradizione umbra. Grande attenzione è riservata ai vitigni autoctoni come il grechetto e il trebbiano Spoletino. Il filo conduttore? Un equilibrio intelligente tra innovazione tecnica e rispetto delle radici, che si riflette tanto nel calice quanto nella filosofia aziendale.

Lungarotti resta uno degli esempi più solidi e ispirati di come una casa vinicola familiare possa essere ambasciatrice del territorio, senza rinunciare alla capacità di evolversi.  

La degustazione

Torre di Giano 62 Bianco di Torgiano DOC 2024 - Lungarotti

All’esame visivo è paglierino con sfumature dorate. Al naso colpisce per autenticità e freschezza, con note di frutta fragrante, arancia amara, acacia e pesca bianca. Al palato ha un ingresso fresco, con una struttura che si fa sentire in seconda battuta, per poi cedere il passo a un'incredibile sapidità, memoria dellantico lago pleistocenico salato che un tempo copriva le colline di Torgiano.

Rubesco 62 Rosso di Torgiano DOC 2022 - Lungarotti

Alla vista si presenta con un bel rubino, segno distintivo del vino. Al naso offre profumi speziati con sentori di pepe, tabacco dolce, confettura di frutti rossi e violetta. «Entra in punta di piedi, ma ha il muscolo di una ballerina», commenta Marco Rossi, export e marketing manager. In bocca ha una piacevole bevibilità, con buona concentrazione e un tannino maturo, preciso, che graffia con stile. «Lavorare sul territorio è come lavorare su un vinile» – aggiunge – È un vino armonico, dal lungo retrogusto fruttato, capace di raccontare il territorio con eleganza e autenticità».