Moncalisse, la voce nuova del Trentodoc

Moncalisse, la voce nuova del Trentodoc

Attualità
di Sara Missaglia
07 novembre 2025


Julia e Karoline Walch presentano a Milano il progetto indipendente dedicato al Metodo Classico: dodici ettari alle pendici del Monte Calisio, una parcella storica di chardonnay, un’architettura scavata nella roccia e uno stile fondato su finezza, verticalità e tempo.

A Milano, presso il ristorante Aprea, Moncalisse si presenta per la prima volta: sul tavolo, due vini e un racconto coerente che parla di altitudine, rigore tecnico, rispetto assoluto della materia prima. Moncalisse è la nuova società voluta da Julia e Karoline Walch, figlie di Elena Walch: un progetto separato ma con radici familiari, creato per esplorare in modo autonomo la potenzialità del Metodo Classico trentino, con un’identità distinta e una traiettoria stilistica precisa. In anteprima le prime due etichette: Millesimato Extra Brut Riserva 2019 e Montis Arcentarie Blanc de Blancs Extra Brut Riserva 2017, realizzati per mano dell’enologo Stefano Bolognani e con la consulenza di Odilon de Varine, figura di riferimento nella Champagne. L’idea di istituire un soggetto indipendente riflette la volontà di costruire un percorso esclusivamente dedicato alle bollicine, con una visione moderna e artigianale del Trentodoc.

Il luogo: geologia, altitudine e memoria

«Era chiaro che un vigneto così non si ritrova facilmente. Lì abbiamo capito che doveva nascere qualcosa di nuovo, qualcosa che meritava di essere raccontato», commentano Julia e Karoline Walch: siamo a Civezzano, in località Seregnano, alle pendici del Monte Calisio (circa 600 m s.l.m.). Qui la luce è chiara, l’aria tesa, l’escursione termica marcata. Il vigneto si distende su un altopiano aperto, con le montagne a protezione alle spalle e un’esposizione ampia che garantisce sole e ventilazione: un equilibrio naturale tra freschezza e piena maturazione che definisce il profilo sensoriale dei vini. Moncalisse poggia su un mosaico geologico raro per concentrazione e prossimità, tra rocce metamorfiche (filladi/scisti) a stratificazione sottile e friabile, terreni calcarei, che aggiungono verticalità e precisione e porzioni vulcaniche in quota, a rimarcare energia e impulso minerale. «È un crocevia di tre diversi terreni. La roccia prevalente è la fillade, molto friabile: le radici possono esplorarla e trarne nutriente minerale», precisa l’enologo Stefano Bolognani. La memoria del luogo è impressa nella pietra: le “coppelle”, incisioni scavate dall’uomo risalenti all’Età del Ferro e del Bronzo, affiorano tra le vigne. Segni antichi, legati a riti e comunicazione tra vallate, che restituiscono al sito una dimensione simbolica. «Segni che conferiscono al luogo una dimensione unica e ci dicono che questo posto era speciale per l’uomo da tempi antichi», sottolineano le sorelle Walch.

La parcella storica: un ettaro che guida lo stile

Il cuore agronomico di Moncalisse è una parcella storica di un ettaro a Chardonnay con viti di 60–70 anni allevate a pergola semplice: un patrimonio genetico e culturale che il team ha scelto di restaurare e custodire. Dalla “parcella nobile” nasce il vino che definisce il lessico dell’azienda: finezza, profondità, salinità d’altura. I due vini presentati sono chardonnay in purezza, ma nel tempo verranno trasformati in un blend con una percentuale di pinot nero di circa il 30%. Stefano Bolognani: «Il 2017 deriva integralmente da vecchie viti. Resa sotto i 70 q/ha, uva intera, mosto fiore: cerchiamo freschezza, eleganza e salinità». Accanto a questo ettaro, un vigneto di 12 ettari complessivi di proprietà, con nuovi impianti a guyot e un progressivo ingresso del pinot nero a completare la tavolozza varietale, sempre nel segno della sobrietà stilistica e della massima selezione.

Viticoltura di precisione e sostenibilità concreta

La viticoltura è manuale e misurata, supportata da stazioni meteo dedicate e da un approccio scientifico che consente interventi mirati e minimi. Nessun diserbo chimico, solo lavorazioni meccaniche del sottofila, sovescio per arricchire la sostanza organica e favorire l’assorbimento dei nutrienti e compost a base di letame e matrice vegetale per una fertilità resiliente. Sempre Stefano Bolognani: «Il Trentino vive nella natura e noi vogliamo salvaguardarla. Interveniamo solo quando serve, nel modo più sostenibile possibile».

La cantina-scultura: gravità, roccia e luce

La nuova cantina, firmata dagli architetti David Stuflesser e Nadia Moroder, è scavata nella roccia e ispirata alle forme circolari delle coppelle e dei grappoli: è ancora un cantiere aperto, i cui lavori di ultimazione sono previsti per la prossima primavera. La parte ipogea assicura buio e temperatura stabile; la lavorazione per gravità evita stress meccanici all’uva. L’autoproduzione energetica tramite fotovoltaico contribuisce in modo sostanziale all’equilibrio ambientale dell’azienda. La scelta della champagnotta leggera (830 grammi) riduce l’impronta carbonica del packaging. Per Julia e Karoline, «la cantina riprende le forme rotonde del vigneto: una scultura immersa nel paesaggio». Il logo nasce dalla pianta dell’edificio: una doppia “M” che rimanda a Moncalisse e alle due sorelle, resa grafica della geometria architettonica e del legame con il luogo.

Enologia: guidare, non forzare

Alla guida tecnica c’è Stefano Bolognani, enologo trentino, affiancato – con sguardo esterno e ruolo di “facilitatore” – da Odilon de Varine. Un dialogo che ha rafforzato scelte di essenzialità e pazienza. Per Stefano Bolognani «è stato più che creare: guidare. Il vino stesso ci chiede cosa fare». La pressatura viene realizzata solo con uva intera e selezione del mosto fiore, e le fermentazioni avvengono prevalentemente in acciaio con quota di legno usato (circa 20%) per modulare lo scambio ossidativo senza cedere aromi marcati. La fermentazione malolattica asseconda la richiesta del vino per equilibrare la spinta acida, mentre le soste sui lieviti sono molto lunghe: 80 mesi per Montis Arcentarie 2017 e 56 mesi per Millesimato 2019. Commenta Karoline: «Non abbiamo fretta. Il tempo è il nostro primo ingrediente».

Le etichette del debutto

Montis Arcentarie 2017 — Blanc de Blancs, Extra Brut Riserva

Uvaggio: 100% chardonnay da viti storiche (60–70 anni) allevate a pergola semplice. Altitudine: circa 600 m s.l.m. Affinamento: 80 mesi sui lieviti; sboccatura tardiva; Extra Brut. Produzione: 4.936 bottiglie numerate.

Naso di acacia e rosa bianca, bergamotto e cedro; a seguire nocciola e mandorla tostata, croissant e pasta frolla. Bocca profonda e materica, con cremosità finissima del perlage e una tessitura salina che allunga il sorso. La struttura è verticale, il ritmo costante, il finale lunghissimo, cremoso e pieno su ritorni di agrume e gesso. È un Blanc de Blancs che parla la lingua della roccia e del tempo: elegante oggi, con ampie prospettive evolutive su registri di frutta secca, spezia dolce e idrocarburo fine.

Moncalisse Millesimato 2019 — Extra Brut Riserva

100% chardonnay da impianti più giovani a guyot. Altitudine: circa 600 m s.l.m. Affinamento: 56 mesi sui lieviti; Extra Brut. Produzione: circa 8.500 bottiglie.

Naso trasparente e fresco: biancospino, mela verde, pesca chiara; poi erbe alpine, un tocco di nocciola e gesso. Bocca tesa e pulita, perlage cremoso, progressione ritmica sostenuta da una mineralità vibrante. La sensazione è verticale, la persistenza nitida, con un ritorno agrumato e sapido. Fresco, verticale, salino e molto lungo. La freschezza del millesimo dialoga con una struttura precisa: pronto al servizio gastronomico, ma destinato a crescere in bottiglia, ampliando registro floreale e complessità di bocca.

Una scelta di metodo: coerenza e dettaglio

L’insieme delle scelte – dalle rese contenute alla pressatura delicata, dal legno neutro alla sosta prolungata – disegna un metodo che punta sulla trasparenza del terroir e sulla tenuta nel tempo. La linea è netta: dosaggi misurati, materia nitida, tensione salina. Moncalisse non cerca effetti speciali: solido come la roccia, terso come i cieli trentini. Sempre Stefano Bolognani: «Certamente le vigne più vecchie garantiscono un’uva più matura e una trama più netta; la 2019, nata fresca, esprime invece slancio e verticalità. Entrambe puntano su finezza ed eleganza».

Identità e architettura del brand

Il progetto è distinto per ragioni tecniche e narrative. La scelta di una società separata sottolinea la volontà di non sovrapporsi alla casa madre, pur condividendone il capitale culturale e la tensione qualitativa: «Abbiamo voluto un’identità staccata da Elena Walch. Un nuovo nome, un nuovo luogo, una nuova cantina: un capitolo dedicato unicamente al Trentodoc», commentano Julia e Karoline Walch. Moncalisse è, per vocazione, un progetto sartoriale: produzione limitata, attenzione maniacale al dettaglio, crescita misurata. L’obiettivo a medio termine è completare la piena espressività dei 12 ettari di proprietà, consolidando lo stile. Julia Walch: «Prima completeremo questo vigneto. Poi vedremo dove ci porta il futuro». Tra le linee guida immutabili, chardonnay e pinot nero come asse varietale.

La grammatica dell’altitudine

Con i suoi primi due vini, Moncalisse entra nel panorama del Trentodoc a pieno titolo: è la voce della montagna: luce radente, aria fine, pietra stratificata. È l’inizio di un percorso che promette profondità, prospettiva e longevità, scritto nel ritmo della roccia e nella pazienza del tempo. La chiusura è per le sorelle Walch: «Forse sarà il miglior metodo classico italiano. Ci crediamo».