Sciatt vs Chisciöi

Sciatt vs Chisciöi

In giro per cose buone
di Andrea Grignaffini
11 febbraio 2023

Due specialità golose e storiche, patrimonio popolare per tutte le famiglie valtellinesi, presenti in diverse varianti e contaminazioni con un comune denominatore: il grano saraceno

Tratto da Viniplus di Lombardia - N° 23 Novembre 2022

Questa è la storia di un medico senese, Pietro Andrea Mattioli, risalente al ‘500, che esercitava la sua professione in Trentino lasciando commenti scritti esplicativi nel suo Commentario del 1554 riferentesi al grano saraceno. E qui il medico spiega in modo dettagliato i vari procedimenti e passaggi per l’utilizzo di questa novità gastronomica destinata alla sopravvivenza di tante popolazioni indigenti.

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Il grano saraceno appartiene alla famiglia delle Poligonacee e pur non essendo un cereale, risulta molto versatile, come si legge anche nei Promessi Sposi. Infatti i “villani” lo trasformavano in farina per sconfiggere la fame e lo modificavano in tante versioni: pane, polenta, minestra, cotto in brodo di carne e aggiunto a riso o orzo, previa però sempre una lunga cottura. Il Manzoni cita un passaggio in cui Renzo trovandosi nella bottega di Tonio per invitarlo al matrimonio, lo trovò intento a manipolare un mattarello per preparare una piccola polenta bigia a base di grano saraceno. Ai tempi era molto conosciuto anche con altri nomi: fraina, fagopiro, formentone, grano nero. Questo grano è di provenienza Nord-Asiatica, e ancora oggi è coltivato in Asia centrale, Giappone ed Europa centrale. Dalla fine del Quattrocento arrivò anche nel Nord Italia per la sua capacità di resistere al freddo tanto da trovare citazioni documentate nel 1616 in Valtellina, dove ben presto divenne un ingrediente legato alla tradizione locale. Importante il ruolo del grano saraceno nei lunghi periodi di carestia che portò in cucina a utilizzarlo completamente, come le foglie cotte e in insalata, i semi nelle minestre, la farina per trasformarla in polenta nera o grigia, il pane e altre specialità, infatti la maggior parte dei piatti tradizionali della Valtellina è a base di grano saraceno.

Come nel caso del Chisciol (plurale: chisciöi). Il professor Gianluigi Garbellini, ricercatore e studioso, spiega che il Chisciol di Tirano ricorda la “quiche”, la tipica “tortina” della Lorena, anche se poi si tratta di una frittella bassa e grande come il fondo della padella dove cuoce a fuoco lento in poco burro o olio fino a diventare croccante e di un bel colore dorato. Nei paesi limitrofi a Tirano, come nel caso di Bianzone, prende il nome di Frìtula per la forma non perfetta (tre parti di “saraceno” e una di farina bianca) o nel caso di Grosio dove prende il nome di Fiadarda (metà e metà tra saraceno e bianca). Ovviamente le varianti e le contaminazioni sono tante, queste valgono in linea assolutamente di massima se non che ovviamente l’ingrediente principale di queste golosità è la farina di grano saraceno, l’aggiunta di farina bianca, il formaggio Valtellina Casera, strutto di maiale, sale e acqua. Gustarlo regala un piacere unico se poi è anche accompagnato da una insalatina che ripulisce il palato e ovviamente salumi e formaggi. Il grano saraceno ebbe molto successo fino all’inizio del ‘900 poi subì un lunga contrazione di utilizzo fino attorno agli anni ‘50 per un maggiore miglioramento di vita del Dopoguerra, questo però non fece scomparire dalle tavole il tradizionale Chisciol tiranese. Il mondo cambia in tutti i sensi evolvendosi ma per molti valtellinesi i sapori delle cose buone di un tempo sono rimaste e la tradizione rimane ancora, tanto da creare un sodalizio, come la “Confraternita del Chisciol e dei vini del tiranese”. Dal piatto e leggermente croccantino al gonfio e morbido si passa al mondo degli Sciatt, provenienti dal paese di Teglio, in provincia di Sondrio, ma ormai di casa in tutta la Valle. Gli sciatt sono frittelline rotonde, croccanti, e dorate con all’interno una farcia di formaggio fuso, aromatizzate alla grappa, fritte e adagiate su un letto di insalata fresca (meglio se cicorietta, amarotica quanto basta o tarassaco) ben innervata da aceto di vino. Si preparano impastando farina di grano saraceno, farina bianca, acqua e inserendo all’interno un cuore di formaggio tipico delle Valli, (il solito Valtellina Casera di cui sopra, ovviamente piuttosto fresco). A proposito del nome il termine Sciatt in vernacolo locale non significa “sciatto”, ma letteralmente significa “rospo”, forse per quella gobba creata dal ripieno di formaggio all’interno delle frittelle. E proprio questo connubio – croccantezza ed esplosività interna – è il segreto del successo di questa golosissima preparazione.

L’ABBINAMENTO DI… Nicola Bonera
Tra vette e prati, cucina povera ma ricca di sapore

L’intensità aromatica del grano saraceno cerca rifugio in un vino di fascino, eleganza, vivo ma tutt’altro che potente o penetrante. La frittura da un lato e la cottura in grassi a fuoco moderato dall’altro esaltano la grassa dolcezza del formaggio, chiedendo al vino un significativo contributo delle componenti acido-saline. Se da un lato troviamo una certa succulenza la risposta del vino può essere duplice: tannini setosi o una buona presenza pseudocalorica. L’arco alpino lombardo propone una grande varietà di vini bianchi, rosati e rossi che possono esaltare, con la loro vivacità, le caratteristiche di questi due piatti tradizionali; la scelta del colore e delle peculiarità palatali penderà per uno dei vini in funzione del posizionamento a tavola delle due ricette, se come antipasto o come piatto unico o principale. All’inizio di un pasto, come da consuetudine consolidata, si potrebbe proporre un Metodo Classico dal dosaggio garbatamente percettibile. Se queste ricette vengono realizzate nelle cosiddette mezze stagioni si potrebbe sfruttare la gioventù di un vino rosato con minima percezione tannica. Se la stagione vede le temperature abbassarsi è opportuno godere di un abbinamento più tradizionale e sfoggiare la complessità di un vino rosso dalla tannicità mediamente presente.
1 Metodo Classico Brut 2017 Terrazze di Montevecchia, da uve sauvignon 50% e viogner 50%, 30 mesi sui lieviti, prodotto in collina a Montevecchia (LC).
2 Impallidito Alpi Retiche IGT Rosato, Alberto Marsetti, da uve nebbiolo, prodotto nella sottozona Grumello a Sondrio (SO).
3 Dinebbie Ronchi Varesini IGT Rosso Laghi D’Insubria Vitivinicola, da uve nebbiolo, prodotto in collina ad Albizzate (VA).