Bertagna: una questione di terra, famiglia e caparbietà

Bertagna: una questione di terra, famiglia e caparbietà

Interviste e protagonisti
di Paolo Valente
11 giugno 2022

Il Montevolpe rosso è uno dei vini più premiati nella storia delle Rose Camune Oro. Genuino e immediato, ricco e complesso, come Gianfranco Bertagna

Tratto da Viniplus di Lombardia - N° 22 Maggio 2022

Sono dolci le colline moreniche create dall’antico ghiacciaio che ha scavato il lago di Garda e che formano la cintura, ad anfiteatro, che cinge le terre subito sotto il bacino, a cavallo tra le province di Brescia,
Mantova e Verona. Sono dolci e intervallate da piccoli pianori; rendono vario e rilassante il paesaggio.
Qui la viticoltura ha origini antiche, forse una decina di secoli. Fino agli anni ’70 del Novecento in questa area trovavano dimora praticamente solo vigneti. La zona è sempre stata siccitosa, le piogge sono limitate e in estate nemmeno l’erba riesce a essere verde. La vite, con la sua capacità di resistenza alla carenza di acqua ha sfamato per decenni, le popolazioni. Si coltivava il vigneto e si portavano le uve alla cantina sociale di Ponte sul Mincio.
Poi, nel 1973, arriva l’irrigazione. E la coltivazione della vite viene soppiantata da quella cerealicola cui si affianca l’allevamento, di mucche in particolare. La vigna rimane solo nelle zone più alte delle colline dove è difficile coltivare altro. I nuovi contadini-allevatori riescono a sostenere le famiglie, anche con solo una decina di ettari e qualche mucca nella stalla. Ma poi, si sa, le cose cambiano ancora e le bestie e la poca terra non bastano più. Il contadino deve decidere, deve specializzarsi: vigna o vacche? Era la fine degli anni ’80 e avere gli animali significava anche fare tanti sacrifici, non avere mai un giorno libero, seguire il loro calendario e i loro orari. La vigna, quindi, ritorna come una buona alternativa. E si riprende lo spazio che aveva abbandonato; grazie anche al cambio generazionale si passa da una logica di produzione di quantità a una produzione di qualità.

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È in questo contesto che ha operato, e opera tuttora, l’azienda Bertagna, viticoltori da quattro generazioni. Gianfranco Bertagna gestisce l’azienda dal 1984, quando perde il padre improvvisamente, in un incidente. Deve prendere lui, ancora giovane, le redini della cantina di famiglia. Ma la sorte non gli risparmia una brutta avventura che lo tiene fermo per quattro anni, tra ospedali e riabilitazione. Gianfranco è caparbio, con tanta voglia di fare e, soprattutto, legato alla sua terra e alla sua azienda. Combatte la contrarietà della famiglia che gli suggerisce di vendere tutto e decide di proseguire nell’attività che è stata di suo padre e, prima ancora, del nonno. Tra il 1991 e il 1992 compie la trasformazione completa dell’azienda: coltiva solo la vite e produce vino. Nel 1995 escono le prime bottiglie: mille di Merlot, mille di Cabernet e mille di Tocai, nome che all’epoca poteva ancora essere utilizzato, oggi sostituito da Friulano.
Gianfranco si avvale fin da subito della consulenza di un agronomo e di un enologo perché capisce che occorre essere specializzati per fare un buon prodotto, ma soprattutto un prodotto genuino, come ricorda lui stesso: «Ho sempre cercato di dare genuinità, più che la bontà, al prodotto finale. Anche in cantina ho sempre ricercato prodotti che facessero bene alle persone».

Gianfranco coltiva i suoi vigneti, 14 ettari tra proprietà e affitto, in regime di agricoltura sostenibile, nessuna irrigazione, nessuna concimazione, solo taglio dell’erba nel vigneto. Le rese sono basse e molto inferiori a quelle consentite ai disciplinari. Il sesto di impianto ottimale prevede tra i 4500 e i 4800 ceppi per ettaro, mentre i tentativi a 5500 ceppi/ettaro non hanno mai dato i risultati sperati. Il clima gode di una costante ventilazione con correnti est-ovest e l’estate è meno umida che nel resto della pianura.
La predilezione per la vicina Valpolicella porta Gianfranco a sperimentare l’appassimento delle uve. Prima in pianta, poi in un fruttaio dedicato. Monte Volpe è il nome di una piccola collina nei pressi della cantina. In quei luoghi le vigne ci sono sempre state e ci sono rimaste anche quando si è espiantato tanto. Monte Volpe era, ed è, l’habitat ideale per le volpi che, al di là della celebre favola di Esopo, con il vino c’entrano poco. C’entrano invece con la salubrità dei luoghi: si dice, infatti, che le volpi vivano e prolifichino solo se l’ambiente non è inquinato. Ed è così sul Monte Volpe dove, ancora oggi, ne danno prova anche se condividono le tane con i tassi; ma questa è un’altra storia.

Per Bertagna Montevolpe è anche, e soprattutto, il nome del vino che per otto anni ha vinto la Rosa Camuna Oro della guida Viniplus di Lombardia. Gianfranco è orgoglioso di questi riconoscimenti che gli hanno portato notorietà e soddisfazioni personali; racconta del piacere di ricevere telefonate da clienti sconosciuti che hanno assaggiato il vino e che gli chiedono dove possono trovarlo per ricomprarlo. Una quindicina di anni fa erano tremila le bottiglie del Montevolpe rosso. Oggi sono quindicimila. E anche i vitigni utilizzati sono leggermente cambiati. Inizialmente, alla moda dei toscani, anzi dei Supertuscan, merlot e cabernet. Dopo sei o sette anni si concretizza la passione di Gianfranco Bertagna per la Valpolicella con l’aggiunta di corvina, vitigno che contribuisce all’eleganza del vino. E anche la vinificazione si è evoluta per dare sempre maggior equilibrio. Nei primi anni solo barrique, poi vengono aggiunti i tonneau e adesso sono state introdotte le botti da 25 ettolitri.
L’uva viene raccolta a piena maturità, sana, in tre momenti di vendemmia differenti, a seconda del vitigno. Disposta in cassette, subisce un appassimento che varia tra i quaranta e i sessanta giorni. A fine novembre la pigiatura, cui segue la fermentazione alcolica in uvaggio a temperatura controllata tra i 20 e i 22° C. Poi una lunga macerazione sulle bucce. Maturazione per oltre dodici mesi in legno di rovere francese e affinamento in bottiglia per almeno sei mesi.