Biava, eredità dell'oro rosso di Scanzo

Biava, eredità dell'oro rosso di Scanzo

Interviste e protagonisti
di Sofia Landoni
11 giugno 2022

Ha proseguito il lavoro del nonno, contadino nella forma e nell’anima, e ne ha fatto il perno del suo agire quotidiano. Con Manuele Biava la passione si è trasformata in uno degli emblemi della viticoltura bergamasca

Tratto da Viniplus di Lombardia - N° 22 Maggio 2022

Esistono dei territori che somigliano a dei bauli di legno intarsiati dal tempo, strabordanti di carte e foto sbiadite. Sono le zone più celebri e longeve del vino italiano, imponenti al pari di una quercia secolare. Poi esistono altre zone, altrettanto storiche ma molto, molto più piccole. Sono degli scrigni. Contengono qualcosa di prezioso, ben celato, separato da tutto il resto. Il solo atto di aprire una piccola scatolina rannicchiata nella moltitudine del mondo ha già di per sé un enorme fascino. Il Moscato di Scanzo sta al vino italiano come questi piccoli cofanetti. Manuele Biava ha scelto di far ruotare intorno a questa preziosissima gemma tutta la sua vita, seguendo le orme di chi gli ha mostrato un modo di vivere zeppo di sacrifici ma definitivamente appagante. E la conseguenza di un lavoro fatto per passione non può essere altro che lʼeccellenza. Un’eccellenza che AIS Lombardia ha premiato più volte con la Rosa Oro, sin da quando, nel 2011, è nato questo importante riconoscimento.

Poche bottiglie, appena 1.200. Eppure il Moscato di Scanzo di Biava si trova stampato sulle carte dei vini di tutto il mondo, ben posizionato sulle vette della ristorazione. Il segreto di questi risultati ha un unico ingrediente fondamentale: la passione. Del resto, lui in mezzo alle vigne c’è cresciuto, trascorreva le sue giornate dal nonno, un uomo apparentemente austero e burbero ma capace di aprirsi in un sorriso quando calcava il suo vigneto. Manuele se lo ricorda ancora: le mani rugose che avevano imparato a conoscere la vigna, quando calava il sole depo- sitavano gli attrezzi da campo e afferravano la pipa, che accompagnava le riflessioni solitarie davanti al camino acceso. Manuele osservava la vita del nonno e la comparava al mondo. Lui desiderava questa dimensione, quel rapporto con la natura tanto romantico quanto pragmatico. Aveva deciso presto Manuele: quello sarebbe stato il suo lavoro. 

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Dal nonno non attinse solo la passione. Da lui, così amico di Luigi Veronelli e così familiare con la vigna di Scanzo, Manuele ha imparato l’arte della pazienza, la finezza della scelta e l’attenzione al dettaglio. Se infatti una gran dose di meriti va solo ed esclusi-vamente al territorio, un’altrettanto importante fetta di responsabilità è da imputarsi allo “stile Biava”. Le colline dell’intorno di Scanzorosciate giocano il ruolo primario, il punto di unicità assoluta che rende grandioso questo minuscolo segmento bergamasco. Sass de luna si chiama, ed è croce e delizia del Moscato di Scanzo. Croce, poiché le privazioni della roccia rallentano notevolmente lo sviluppo della pianta, che im- piegherà molti più anni del normale a iniziare la sua vita produttiva. Delizia, perché a quella bianchissima roccia calcarea si deve il profilo elegante di un vitigno che è per natura ruvido.

Il Sass de luna possiede due facce: quella esterna, a contatto con l’aria, è friabile e fragile, soggetta alle intemperie e all’usura; quella interna, al contrario, è dura e compatta, impenetrabile se non allo sforzo estremo delle radici, che da questi suoli privi di terra attingono tutto. A fronte di questa fatica incalcolabile, sarebbe un delitto non esaltare al meglio le uve che ne derivano. Ed è qui, precisamente su questo punto delicato, che Biava gioca le sue carte, con tanto di asso nella manica. «L’attenzione assoluta al più piccolo dettaglio e l’appassimen- to naturale sono i miei imperativi» ci racconta Manuele. «Quando ci avviciniamo al momento della vendemmia passo io in campo a fare una prima selezione tagliando i grappoli che non ritengo idonei a diventare Moscato di Scanzo. Poi i vendemmiatori operano una seconda selezione al momento della raccolta. Infine, in cantina, viene selezionato acino per acino. Ri- mane un grappolo già abbastanza spargolo, da curare a vista sui graticci per 90 giorni, tempo in cui si svolge l’appassimento naturale, delegato solo all’azione dell’aria che queste colline ci regalano».

L’emozione di ricevere un numero così elevato e ripetibile nel tempo di riconoscimenti è tanta, e risponde alla tenacia del lavoro quo- tidiano. «L’AIS è sempre stata un serio punto di riferimento per la mia attività di produttore. Mi interessa avere il riscontro di degustatori esperti, bisogna sempre mettersi in discussione e confrontarsi. Dall’AIS ho sempre percepito molto rispetto per il nostro lavoro di produttori e un sostegno alla mia attività in particolare, trovando nei loro riconoscimenti uno sprone a proseguire su questa strada».