Claudio Sadler. L’organizzazione prima di tutto.

Interviste e protagonisti
di Alessandro Franceschini
09 dicembre 2009
L'incontro con Claudio Sadler, poliedrico chef protagonista della scena milanese. "Ho una visione aperta e non mi è mai piaciuto rinchiudermi nella mia cucina. Ho sempre cercato le sfide all’esterno del mio ristorante"...
Tratto da L'Arcante N° 11
“Mi diverto ancora, anche se forse un po’ meno rispetto al passato. Le difficoltà non sono diminuite col passare degli anni, anzi! Ci vuole fermezza mentale e non sempre è semplice”. Esce dalla cucina del suo nuovo bristrot, trafelato, ma composto. “Mi segua pure” e ci dirigiamo all’interno di una classica corte vecchia Milano, con le ringhiere ben ristrutturate, ma prima di entrare nel suo ufficio, preleva dalla cucina del suo tempio, il ristorante Sadler, un suo collaboratore, chef, e mi chiede di aspettare. “Allora avevo pensato a questo piatto”: scambio di idee, creazione, disegni ed il suo fido assistente in camice bianco si dirige verso il suo “ufficio”, la cucina di un ristorante bistellato, per cercare di metterle in pratica, cioè a tavola. Non c’è una formula magica dietro la genesi di un piatto, una folgorazione geniale o un lampo di genio. Se c’è una caratteristica che traspare immediatamente dopo le prime battute che scambi con Claudio Sadler è la sua semplicità, razionale e precisa, senza enfatizzazioni, isterismi o atteggiamenti da prima donna: “Le idee per i piatti vengono nei modi più disparati. Andando la mattina al mercato piuttosto che mangiando da colleghi, perché no. Poi, ovvio, ci vuole creatività”. Ma non fine a se stessa. Non vuole entrare nella polemica che nei mesi scorsi ha animato il mondo della ristorazione italiana, quindi Striscia la Notizia ed il filone dei “Fornelli Polemici”, passando per la cosiddetta cucina molecolare e l’uso di addittivi alimentari, perché non gli interessa, né la polemica né la cucina molecolare: “Si, qualche volta li uso, come la colla di pesce o l’agar-agar, ma non è questo il punto: è una questione di dosi, quantità ed equilibrio, come in tutte le cose. Se una persona, mediamente, al ristorante mangia 600 grammi di cibo e tra questi ben 40 dovessero essere di addittivi, allora è ovvio che ci sono problemi”. Più che non amare i giornalisti, non ama apparire, andare in televisione e stare sotto i riflettori: “Non mi piace la cucina molecolare. E’ moda. Il problema è che i giornalisti hanno sempre bisogno di novità, altrimenti dovrebbero parlare sempre dei soliti piatti e delle solite materie prime”. L’altro problema è che tutti confondono la creatività con la necessità di sferificare, gelatinizzare e quant’altro. L’equazione è sbagliata. La fama certamente non gli manca, Sadler è oramai un marchio, che si è diffuso attraverso la poliedricità delle sue attività, partendo dai libri, sua non nascosta grande passione, che lo ha avvicinato al grande pubblico, facendo così a meno di comparsate televisive di ogni sorta. Un universo che si compone oggi di due ristoranti, Sadler ed il bistrot Chic ‘N Quick, un’attività di catering, i libri, due ristoranti all’interno del polo fieristico milanese di Rho ed un ulteriore a Pechino. Un manager più che uno chef? “No, non mi piace questa definizione perché non ne ho le competenze. Sono un organizzatore. Ho una visione aperta e non mi è mai piaciuto rinchiudermi nella mia cucina. Ho sempre cercato le sfide all’esterno del mio ristorante”. Esterno ha spesso significato per lui anche estero, oriente in particolare. Per quattro anni ha vissuto l’esperienza giapponese con un suo ristorante a Tokio: “Esperienza fondamentale per me. Ho moltiplicato il mio modo di pensare e capito che all’estero la gente vuole dalla cucina italiana identità e territorio. Niente contaminazioni con la cucina locale”. Non è bastato, però, a causa del noto e stranoto, e non solo nell’agroalimentare, vizio italiano di non saper far sistema, come i francesi per esempio: “Difficilissimo esportare prodotti di nicchia italiani. Enti a riguardo non ne esistono. Non c’è una Sopexa italiana”.
Ripercorrere la sua storia è come avventurarsi in un cantiere in perenne fermento. Nel 1982 il ristorante La Vecchia Pavia, a due passi dalla Certosa. Poi, dal 1986 l’esperienza con l’Osteria di Porta Cicca nel cuore dei navigli milanesi. Qui la prima stella Michelin nel 1991. Nel 1996 si sposta in “conchetta”, sempre navigli ed è solo Sadler, con l’arrivo della seconda stella. Infine dal settembre 2007 nuovi locali, sempre il fiume milanese davanti e sempre lo stesso nome con a fianco il bistrot, gestito dall’ottimo collaboratore Francesco Palumbo “Trovare soci e collaboratori affidabili, fondamentale”. In mezzo a tutto questo l’esperienza di una scuola di cucina, Q.B. “ora non più. Insegnare è bellissimo ma ti assorbe completamente se vuoi farlo bene”, i libri per Giunti Editore, consulenze e tanto altro. La piazza milanese, con le sue caratteristiche, la conosce bene: “Non è vero come si legge spesso che Milano è una piazza morta per la ristorazione. Milano è una città che vive e pulsa col peso della quotidianità sulle spalle, con il suo stress esasperante. L’offerta si è dovuta adeguare al business e non al turismo. Nonostante questo è la città con più ristoranti stellati d’Italia. E poi bisogna guardare Milano nel suo complesso, considerando la provincia e le tante offerte che ci sono: dalle birrerie artigianali ai buoni ristoranti etnici”. Milano città esigente quando si parla di alta ristorazione, che cambia freneticamente: “Oggi c’è meno disponibilità a spendere, ma anche meno cultura. I clienti in alcuni casi sembrano tutti diventati ispettori delle guide”. Non si rilassano, non vivono l’alta cucina come un’esperienza a 360 gradi, completa, in tutte le sue sfaccettature. “Per carità, tutti sbagliamo, ma non si va al ristorante alla ricerca sempre e solo dei difetti”. Se cerchi di spostare il discorso sulla ricerca delle materie prime e gli parli di possibile omologazione, ti ferma subito: “Intendi se ci sia il rischio di omologazione poiché tutti utilizziamo gli stessi fornitori di materie prime? Si, c’è questo rischio, ma è un problema di costanza. Avevo trovato in passato piccoli fornitori di materie prime solo per me. Ma non poteva esserci continuità di fornitura”. In carta ha anche il menù del mercato, ma non solo quello, anche piatti che ci rimangono per mesi, alcuni dei quali oramai rappresentativi del suo stile in cucina, come la padellata di crostacei o la milanese con puntarelle e carciofi. “Organizzazione, questo è fondamentale per un ristorante ,anzi, è tutto. Poi viene il resto”.
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