Mario Tognini e il nebbiolo delle Alpi, l’amore di una vita

Mario Tognini e il nebbiolo delle Alpi, l’amore di una vita

Interviste e protagonisti
di Sara Missaglia
09 luglio 2023

Lo storico cantiniere di Triacca Vini è in procinto di andare in pensione dopo 42 anni di lavoro in uno dei luoghi più suggestivi di tutta la Valtellina, la Tenuta La Gatta. Nel suo racconto mezzo secolo di storia nella certezza che il suo matrimonio con il vitigno che ama non si scioglierà mai

Tratto da ViniPlus di Lombardia - N° 24 Maggio 2023

Enologo e agronomo, un tandem vincente per la viticoltura di qualità, spesso gestito sotto forma di consulenze. Ma in cantina la conduzione del “quotidiano” fa la differenza, perché è necessario tradurre indicazioni e consigli in prassi operativa costante: come dire che ci vuole qualcuno che “abiti lì”, dove il vino si fa, giorno dopo giorno. La cura dei dettagli applicata con sano pragmatismo, la gestione delle emergenze e i piccoli e grandi segreti per regalare personalità ai vini fanno capo alla figura del cantiniere, da sempre centrale nella storia vitivinicola del nostro Paese. Un lavoro da backstage dove la parola chiave è umiltà. Il primo requisito è la capacità di ascolto: non solo nei confronti dell’enologo, di quello che “ha studiato” come dice Mario Tognini, ma anche del vitigno di cui si ha cura.

Triacca Vini è una cantina storica in Valtellina, che ha raggiunto dimensioni importanti: 38 ettari vitati per circa 300mila bottiglie. Eppure camminare nel quartier generale dell’azienda, la tenuta La Gatta a Bianzone, sembra un viaggio a ritroso nel tempo: affacciata su una terrazza naturale che guarda verso le Alpi Orobie, circondata dalla bellezza di una natura fatta di vigneti e meleti, è un monastero domenicano del ‘500 e conserva ancora l’antica cantina, oggi barricaia, la cappella privata, le sale della residenza affrescate e la terrazza al centro di un giardino circondato da rose, erbe aromatiche, ulivi, lavanda, fichi e limoni. Se non fosse per le cime imbiancate potremmo quasi trovarci in costiera amalfitana: terrazzamenti in luogo degli scogli, il cielo blu come mare. L’aria è sottile, e anche se lo scorrere dell’Adda è diverso dal suono delle onde, sembra che il Mediterraneo abiti qui. Mario Tognini sembra non avere età, oltre ogni schema temporale, capace di stregare chiunque gli stia vicino. Pervicacia granitica, fierezza da vendere dietro quegli occhi blu che si muovono veloci e raccontano un senso della meraviglia che non si è mai sopito. Istinto da uomo di montagna, intuizioni da Harry Potter, sorriso che fa subito simpatia. Lo guardi in viso e nei segni del tempo ritrovi quei filari che ha percorso milioni di volte: perché fare vino è una partita “zero system” come si dice in gergo tecnico, a ogni vendemmia ricominci da zero. E la natura, che mai governi, è il tuo migliore alleato: mai nemica ma amica, nel tempo impari a fare i conti con lei e ad accettare “quello che arriva”. Ci vogliono coraggio e sensibilità ma, soprattutto, un amore infinito. Che è molto più di quella che chiamiamo “passione”.

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Chi è Mario Tognini?
Sono il cantiniere della casa vinicola Triacca da 42 anni, da quando avevo vent’anni. Dopo il militare, quasi per scherzo, ho iniziato a lavorare qui: mio padre prima di me lavorava per la cantina, sembrava allora una scelta in ottica quasi di continuità. Ho respirato il vino da sempre: il vino è la mia storia e ha fatto parte dei miei discorsi e pensieri sin da ragazzo. Questi luoghi hanno un non so che di magico, impossibile separarsene, sono sempre rimasto qui. E per me questa è una famiglia. Vendemmia, vinificazioni, travasi, filtrazioni, imbottigliamento: seguo l’intero ciclo di trasformazione del nebbiolo dalla raccolta alla bottiglia. Amo questo lavoro perché dall’uva arrivo al vino, e curo il suo percorso quasi come fosse un bambino.

Cosa ti ha insegnato il vino?
Mi ha insegnato a lavorare, parlare poco e usare la testa e le mani. Mi ha insegnato il coraggio nel fare e nel dire le cose: con il nebbiolo non può mentire, ed è necessario mantenere i piedi per terra. In vigna e in cantina non si imbroglia, il nebbiolo è molto esigente.

Il tuo rapporto con il nebbiolo delle Alpi?
Un vitigno particolare e complesso: ma una volta che riesci a domarlo ti regala infinite soddisfazioni. Le nostre vendemmie sono tutte diverse, il rapporto con la natura cambia di continuo e in modo non prevedibile. Spesso a ridosso della raccolta la situazione può precipitare in modo irreversibile. Ricordo annate difficili: il 1987, il 1991 e il 1992 furono caratterizzati da piogge abbondanti per tutta l’estate, e il nebbiolo arrivò in cantina in condizioni quasi compromesse. Fu la velocità nella vinificazione a consentirci un parziale recupero: evitare di lasciare per troppo tempo il nebbiolo sulle bucce e svinare presto furono i segreti per dare comunque valore al frutto.

Barrique o botte grande?
La barrique è uno degli strumenti migliori per l’invecchiamento del vino: va usata in modo corretto e con vini idonei a questo tipo di maturazione. In tutti questi anni ho capito che non bisogna avere fretta, ogni annata deve fare il suo corso. Mi guidano occhi, naso e palato: gli strumenti tecnologici forniscono parametri oggettivi e verificabili, ma la sensibilità gustativa cresce nel tempo. Ho imparato a usare i miei sensi, a fidarmi di loro.

Un’annata di soddisfazioni?
Senza dubbio la 2002: descritta da tutti come una delle annate non soddisfacenti, fu per noi un millesimo ricco di freschezza, morbidezza ed eleganza. Nulla della semplicità rurale sembrava aver contaminato i vini di quella vendemmia. Alla fine era stato proprio il nostro nebbiolo a trovare le soluzioni.

Il tuo vino del cuore?
Valtellina Superiore Riserva La Gatta: è un vino versatile, multiforme, legato a questa terra e adatto a ogni situazione. Un vino di scatto e mai d’attacco, accogliente, coinvolgente, fedele al varietale. Vibrante, espressivo, non arrogante né prepotente: è il vino di questa Tenuta, della nostra casa. Nei miei vini cerco eleganza ed equilibrio, classe nella gestione dell’alcol e ampiezza nel respiro.

Dalla Tenuta La Gatta saranno passati tanti ospiti illustri: un ricordo particolare?
Sicuramente Gualtiero Marchesi nel 2015, affascinato dall’abbinamento dei piatti con i nostri vini. E prima ancora la visita del Presidente Ciampi nel 2003: per il pranzo ufficiale presso l’Hotel Posta di Sondrio venne richiesto un vino da abbinare al dessert. All’epoca in Valtellina questa era una tipologia poco diffusa: nella parte alta della Tenuta avevamo un vigneto di moscato rosa parzialmente di proprietà, un fazzoletto di terra dove avevamo avviato una sperimentazione nell’ordine di pochissime bottiglie. Lo presentammo con tre bottiglie ancora privo del nome e con un’etichetta appena abbozzata. Il vino piacque moltissimo, in particolare alla Signora Franca, la moglie del Presidente: nacque l’idea di chiamarlo “Vino del Presidente”, che Ciampi approvò senza riserve. Completammo l’acquisto del vigneto e nel 2009 uscirono ufficialmente sul mercato le prime bottiglie.

Hai lavorato con diversi enologi: Domenico Triacca, Luca Triacca e Barbara Tamburini. Che cosa ti porti dietro da ognuno di loro?
Domenico Triacca è stato il primo e abbiamo lavorato insieme per 30 anni: mi ha sempre considerato una sua creatura, parlava di me come di un “enologo fatto in casa”. In tutti questi anni abbiamo iniziato insieme le nostre giornate alle 7.30 di ogni mattina, condividendo tutte le scelte in cantina. È sempre stato orgoglioso di me e del mio lavoro, e da lui ho imparato il rigore, l’onestà e il senso della fatica di questo mestiere. Con Luca Triacca ho compreso il valore strategico della comunicazione e dell’accoglienza: la Tenuta è diventata un simbolo per l’enoturismo, ed è oggi un luogo di ritrovo, convivialità, degustazioni, scoperta e condivisione. Ho lavorato con maggiore autonomia, forte di tutta l’esperienza degli anni che ho vissuto, condividendo con lui e con il fratello Giovanni le scelte strategiche più importanti. Infine Barbara Tamburini, di cui ammiro la determinazione e la precisione: Barbara non lascia nulla al caso, spacca il capello in quattro e, finché non è convinta, cerca sempre qualcosa in più. Pulizia e rigore, la disciplina è mentale e fisica.

Domenico Triacca modificò, nello storico vigneto del Valtellina Superiore Prestigio, l’andamento dei filari, girando il vigneto di 90 gradi rispetto alla montagna. Non più una disposizione a “ritocchino”, da Nord a Sud come nella tradizione valtellinese, ma a “girapoggio”, con i filari paralleli al fondovalle e con un orientamento Est-Ovest. Che eredità porti con te da questa importante innovazione?
Quando Domenico introdusse questa disposizione in via sperimentale ci venne tolta la Doc per tre anni (ndr: non era stata ancora introdotta la Docg per il Valtellina Superiore). Un provvedimento ingiusto che voleva penalizzare l’innovazione e una voce allora decisamente fuori dal coro. Oggi in Valtellina il girapoggio ha trovato più ampia diffusione soprattutto là dove la particolare morfologia del terreno lo consente: il grande vantaggio è la meccanizzazione del vigneto. A parte la vendemmia, che è sempre manuale, è possibile usare le macchine per i trattamenti e le lavorazioni del terreno, riducendo il numero di ore uomo impiegate in vigna: e anche quando le attività sono manuali si lavora comunque in piano e non in pendenza, e in montagna questo ha un grande significato in termini di fatica e impegno.

Il cambiamento climatico quanto sta influendo sui vini?
Credo che negli ultimi anni la gradazione media di una cantina in Valtellina sia cresciuta di un grado e mezzo se non di più. Quando l’uva matura eccessivamente rischiamo di perdere acidità, e questo può impattare in misura importante sui vini. La viticoltura oggi richiede freschezza: siamo sempre alla ricerca di zone a quote più alte dove esposizione e ventilazione si accompagnano a temperature in media più basse. Da questo punto di vista l’areale alpino della Valtellina, con le importanti escursioni termiche checolo caratterizzano, gode di maggiore tranquillità e sicurezza rispetto ad altre zone. Un consiglio per un ragazzo giovane che desidera fare il tuo mestiere? Ci vuole prima di tutto la passione. Poi la competenza arriva dopo, con tanta e tanta pratica sul campo. Occorre umiltà, qui coloro che si spacciano per fenomeni non servono: rispetto dei ruoli, senso pratico e curiosità.

E Mario in pensione cosa farà?
Se fossi partito qualche anno fa, se avessi avuto più tempo e i miei figli mi avessero seguito in questo percorso, avrei potuto provare a fare oggi un vino “Tognini”. In realtà considero i vini di Triacca realmente miei: è per questo che credo proprio che non riuscirò a stare lontano da questo mondo.