Bordeaux tra profonda crisi e resilienza

Bordeaux tra profonda crisi e resilienza

La Francia in presa diretta
di Samuel Cogliati Gorlier
11 giugno 2025

La regione di riferimento della Storia e del mercato francesi in difficoltà cerca di reagire

Il Bordolese è un punto di riferimento imprescindibile per la Francia del vino, specie quello di pregio. È qui che sono nati i primi classements ufficiali, è il primo areale per produzione di vini Aop, è spesso a Bordeaux che si guarda per sancire (a torto o a ragione) il successo di un’annata. 

Eppure l’Aquitania è in profonda crisi. Il crollo delle vendite Oltralpe colpisce da anni soprattutto i rossi, e Bordeaux coltiva uve rosse per l’88%. Ben il 40% dei viticoltori e quasi un quarto della produzione fanno capo a cantine sociali. Un movimento gigantesco, per centinaia di milioni di bottiglie l’anno, in 65 appellations. Ma di queste, più dei due terzi sono Aop “minori”, e producono spesso vini di gamma modesta. Questo sistema è entrato in profonda crisi. 

A fine 2024 le superfici a denominazione d’origine erano “solo” 94.600 ettari. Molto, ma solo 6 anni fa erano più di 111.000. L’ultimo biennio ha registrato infatti grosse campagne di espianto (di certo solo un inizio). A soffrire in particolare le Aop “generiche” Bordeaux (–10%) e quelle delle “Côtes” (–26%). I rossi sono colpevoli di questa contrazione per l’84% del totale. La produzione, oltre 5 milioni di ettolitri un decennio fa, è precipitata a 3,5 milioni l’anno scorso. 

A fronte di questi dati allarmanti, Bordeaux però non tentenna. Oltre alla riduzione delle superfici vitate per contenere la sovrapproduzione, la resilienza è affidata a vari tentativi di innovazione.

Primo: diversificare la produzione. I bianchi secchi guadagnano terreno (10,5% contro 8,5% dieci anni fa). Si pensi all’esempio di Sauternes, dove molti châteaux blasonati introducono o rafforzano questa tipologia, facendo leva sul sauvignon. Ma anche il Médoc, storicamente solo rossista, si muove. Le istanze ufficiali hanno votato localmente una proposta di Aop Médoc blanc, con vitigni tradizionali ma anche esogeni: chardonnay, chenin, gros manseng e viognier. A fine anno la richiesta arriverà all’Inao.   

Sono però soprattutto i crémant a provare a sfruttare il momento d’oro dei vini spumanti. La loro quota è passata in dieci anni dallo 0,8% al 4%! 

Secondo: l’introduzione di vitigni sperimentali. Tra questi, sia vitigni di altre regioni e altri Paesi (come l’alvarinho o il touriga nacional, il marselan, il castets) sia vitigni ibridi o resistenti (floréal, sauvignac, souvignier gris, liliorila, voltis...). Lo scopo è puntare su cultivar più adatte al cambiamento climatico. Alcune di esse sono già state ufficialmente accolte in certi disciplinari di produzione.

Terzo: una virata sullo stile dei rossi: meno tannini, meno alcol, meno concentrazione, più freschezza, élevages meno lunghi, legno usato con più giudizio. Basterà?