Enozioni in quota, Rocce Rosse di Ar.Pe.Pe. in verticale

Enozioni in quota, Rocce Rosse di Ar.Pe.Pe. in verticale

La Verticale
di Sara Missaglia
02 maggio 2023

Sette calici per tre decenni: una verticale che assomiglia a un XI grado di difficoltà, quello che caratterizza le arrampicate più difficili. Capocordata Armando Castagno, senza alcuna sicurezza, né chiodi né moschettoni. Perché quando si sa volare, bastano le ali.

«Bisogna volere l’impossibile perché l’impossibile accada»: nella massima eraclitea questa verticale prevede un percorso non contro ma verso il tempo, quello che è stato e quello che stiamo vivendo. Armando Castagno si muove lungo i terrazzamenti valtellinesi in versione Sherlock Holmes, per indagare su un vino che è nato per essere degustato in verticale. Conan Doyle probabilmente non immaginava che le indagini nell’ambito dell’Affair Enozioni fanno ricorso esclusivamente a un calice e alla capacità di decifrare le sfumature del liquido che contiene. Il Rocce Rosse di Ar.Pe.Pe. è un vino progettato per durare nel tempo, capace di sottolineare il particolare rapporto che l’azienda ha con questa vigna. Un vino che rappresentò un vero e proprio trampolino di lancio da uno sprofondamento autentico che aveva, negli anni ’80, investito l’intera Valtellina.

Armando CastagnoAr.Pe.Pe. è un’azienda che ha tante date di nascita, ma è con il 1984 che convenzionalmente identifichiamo il nuovo percorso voluto da Arturo Pelizzati Perego dopo anni di fratture che si lascia alle spalle, con la dolorosa cessione del marchio originario e dell’attività. Il Rocce Rosse 1984 esce ben sei anni dopo e testimonia la nuova vita e soprattutto il nuovo stile di fare vino di qualità, in assoluta e perfetta coesione con il territorio che lo ha visto nascere. È frutto di una terra aspra, più che eroica quasi disperata, espressione profonda di quella fatica nell’allevare nebbiolo delle Alpi su una montagna apparentemente inadatta. È testimonianza della minuzia, del dettaglio, dell’artigianalità dei singoli atti gestuali, che in Valtellina sono una necessità, un dovere, non una scelta. Il labirinto dei terrazzamenti si fonde in un paesaggio plasmato dall’uomo nell’unico modo possibile: se non antropizzato dalla viticoltura, la Valtellina non sarebbe che una terra aspra tra roccia e ghiacciai, una sottile striscia di territorio circondata da vette altissime. È lì che abitano gneiss e micascisti, scisti di granito e diorite fortemente ferrettizzate, pietre durissime, tenute insieme dal loro stesso peso. Le terrazze sul versante retico guardano a Sud: la bizzarria della Valtellina è proprio il suo orientamento, perché il fiume che ha scavato la valle, l’Adda, lo ha fatto in senso longitudinale. Un canalone dove il vento è un fattore determinante per la sanità delle uve: quella Breva che spira dal lago di Como, da Colico, il punto di contatto con il mondo lacustre.

La Valtellina non ha altitudini estreme: i vigneti, oggi, anche per effetto del cambiamento climatico, si spingono al massimo fino a 900 metri di altitudine: il fattore determinante è la latitudine, ovvero la climatologia. Una valle stretta tra il calore che arriva dal lago e il freddo gelido che arriva da Nord, dalla vicina Svizzera: qui la nebbia non fa in tempo a sostare, spazzata via, fortunatamente, dal vento, per vini figli della roccia e del clima. E la particolarità genetica del nebbiolo delle Alpi rende questi vini trasparenti, filigranati, delicatissimi, caratterizzati da un’elevata acidità, mai particolarmente morbidi.

La Sassella non è nel cuore, ma nel ventre della valle, in corrispondenza di uno dei costoni più incredibili del nostro Paese fino a circa 450 metri s.l.m.. Viscere cromatiche che diventano giardino da lavoro, disseminato di fichi d’India, che sottolineano il carattere mediterraneo del microclima. In una valle lunghissima e strettissima i vigneti rasentano quasi la follia: in quei fazzoletti di terra c’è qualcosa di improbabile, di tenace, quasi evocativo di una fatica e di una disperazione di fondo. In quello scambio incessante tra il salire e lo scendere che in passato durante la vendemmia veniva fatto con una brenta sulle spalle di circa 70 chili d’uva, c’è quel passo lento e sospirato che rende ogni gesto immortale. Oggi l’elicottero rende la fatica più lieve, ma non intacca la determinazione nell’allevare nebbiolo tra i massi.

Il vigneto Rocce Rosse è caratterizzato dalla presenza di rocce metamorfiche, pressate dal peso dei millenni e aventi come protoliti, le pietre originarie, granito e diorite, feldspati, manganese, ossido di ferro. Da qui la particolare colorazione rossa, che vira al rubino, quello del vino: il confine della storia della cantina Ar.Pe.Pe. e di questa Riserva è molto sottile. La verticale, che prevede che si parta dall’anteprima non ancora in commercio per poi andare indietro nel tempo, non è altro che una fantastica opportunità per conoscere il territorio, la filosofia, il credo di donne e uomini coraggiosi. Coraggiosi e onesti, se è vero che Indro Montanelli scrisse nel 1970 che «i valtellinesi vivono soprattutto di due cose, di vino e di onestà. Il vino lo spremono da certe vigne inerpicate a terrazzi sui fianchi delle montagne […]. L'onestà è quella che impedisce ai benestanti di diventare ricchi e ai poveri di diventare miserabili». Un vino onesto e senza filtri, che è fondamento degli aspetti sociologici e antropologici della produzione stessa: un vino che cambia il tessuto sociale della comunità, che ne è motore, preghiera, alfabeto.

La verticale di Valtellina Superiore Sassella DOCG Riserva

Annata 2016 (anteprima)
Si tratta di un vino in anteprima, che sarà in commercio probabilmente dal prossimo ottobre. L’estratto è elevato, per effetto di quelle ceneri che il sottosuolo valtellinese, totalmente privo di calcare, non trattiene: la mineralità è quindi autentica, profonda, in presenza di un’acidità distintiva. Un «vino che non fa prigionieri», commenta Armando, dal carattere affilato evidente. Sale che assale, verrebbe da dire: un mix salino che sembra purificare il vino, quasi distillarlo. Pulizia e finezza: un vino quasi geometrico, cartesiano, purissimo, lirico e fragile e, al tempo stesso, forte e generoso. La vendemmia è del 22 ottobre, seguita da una macerazione di 97 giorni in tini di legno da cui ha tratto finezza. L’affinamento è di 34 mesi in botti da 50 hl di castagno e di rovere; la percentuale alcolica volumica, valida per tutti i campioni in degustazione, è del 13%. Al naso menta e timo limonato, tra erbe aromatiche che lasciano presagire, da qui a 30-40 anni, un futuro presumibilmente da vermouth. Al palato è grazia e proporzione, non ha una sola nota slegata. Nessuna sensazione di amaro, per una chiusura che rimanda a un’infusione salina.

Annata 2013
La vendemmia è il 2 novembre, il Giorno dei Morti, come avveniva in passato: macerazione di 69 giorni in tini di legno, seguita da un affinamento di 39 mesi in tini e botti da 50 hl. La bellezza al naso è fatta di proporzioni: né nel colore né nel corredo olfattivo mostra indizi da decadimento. Erbe aromatiche freschissime in presenza di un frutto ancora croccante tra mirtillo, mora di rovo e ciliegia. Acidità smerigliante con un tannino levigatissimo. Un vino straordinariamente fanciullo.

Annata 2005
Qui le erbe aromatiche diventano più secche, tra alloro e rosmarino, e si aggiunge il pomodoro secco. La metrica olfattiva registra il cambiamento: il regime del sottobosco è sovrano nelle sue parti più verdi, dal muschio alla corteccia, dalla resina al fungo secco. Indizi della trasformazione: la 2005 sembra essere la naturale evoluzione del millesimo 2013. Vinificato in vasche di cemento vetrificato che hanno la forma di grandi parallelepipedi, ha avuto una macerazione di 25 giorni e un affinamento di 40 mesi in botti da 50 hl.

I viniAnnata 2002
La macerazione è stata di 35 giorni, con un affinamento di 48 mesi in botti da 50 hl: al naso ha la finezza floreale dei grandi vini. Una qualità regale al pari di un super Valtellina dotata di nobile austerità: al palato è saporito con una bella persistenza. Misurato e calibrato, in perfetta sintonia con l’alcol, non smette di avere irruenza e vitalità: 21 anni e poter mentire sull’età, senza il rischio di essere smentiti.

Annata 2001
Le radici della terra sono in evidenza, con una frizione più tannica; una parte iodata, affumicata, ematica ci ricorda che le viscere della terra sono nel vigneto. Sangue rappreso e una quota ferrosa lo rendono più amaricante. Una nota di caramello ricorda la creme brûlé, e al palato ha un attacco potente ma elegante: caparbio ma mai alterato, sempre equilibrato. Anche questo millesimo non cede in irruenza materiale e baldanza. Un mese di macerazione e 48 mesi di affinamento in botte da 50 hl.

Annata 1999
Il colore è eroico, impenetrabile, per un naso confetturato in cui si sente la buccia dell’uva. Sembra incredibilmente essere il vino più moderno, con un naso dolce e glicerico da rosolio, petali di rosa nel calice, per quello che è un peccato di gola. Stringe la mano e te la stritola, con una struttura materica baldanzosa ma di una finezza irrinunciabile.

Annata 1996
Al naso ha un tono marino, quasi portuale: ricordi di salamoia e di salicornia; al palato appare quasi innaturale, crudo. Un vino nudo perché concentrato sullo scheletro, che denuncia la sua struttura basata sulla acidità. Si dice che chi ha carattere ha un brutto carattere: il 1996 è tutto fuorché una personalità facile. Un vino senza filtri, per un’acidità quasi da riesling. Un vino fragile che, al momento giusto, tira fuori grinta e rabbia. «Mi spezzo ma non mi piego», sembra dire: il tannino è lì, fissa tutto. Memoria perenne, fierezza di chi ti guarda dritto negli occhi.