Il vino in Polonia. Una storia ancora tutta da scrivere e raccontare

Il vino in Polonia. Una storia ancora tutta da scrivere e raccontare

Mondo Vino
di Sara Passerini
21 gennaio 2023

Sebbene il vino polacco abbia radici che risalgono al XII secolo, una vera e moderna consapevolezza è nata solo all’inizio del nuovo millennio. Ecco una fotografia delle principali tappe della storia del vino in Polonia e, soprattutto, quella dell’attuale e dinamico presente

Tratto da Viniplus di Lombardia - N° 23 Novembre 2022

Fino a vent'anni fa, in Polonia, parlare di vino significava parlare di “wino owocowe”, una bevanda alcolica a base di frutta di vario tipo, o di “wino domowe”, un vino casalingo di scarsa qualità. Oggi, al contrario, parlare di “Polskie Wino” vuol dire raccontare un settore dell’economia polacca in pieno sviluppo, di piccoli e grandi produttori che sperimentano tipologie, studiano zone e vitigni, partecipano a degustazioni, fiere e panel di confronto. A questo bisogna aggiungere il fiorire di giornali di settore, podcast specializzati, una maggiore apertura da parte di ristoranti di lusso e wine bar a selezionare e proporre vini polacchi, artisti che creano etichette bellissime e giovani che in pieno stile europeo ricercano la socialità attraverso un bere che non coincide necessariamente con il binge drinking. Insomma, oggi il vino polacco rappresenta un territorio da esplorare e un mercato che, sebbene non privo di contraddizioni, è tutto ancora da capire e indagare.

Clicca sull'immagine per scaricare il PDF dell'articolo

Un po’ di storia
Se l’interesse per la viticoltura, in Polonia è relativamente recente, essa ha in realtà radici che affondano in un passato lontano e in zone che, a seconda dei momenti storici, non facevano ancora parte degli attuali confini. Già nel XII secolo si trova menzione della presenza di vigneti nelle vicinanze di Cracovia; la vite era coltivata con successo dai monaci cistercensi e benedettini almeno fino al tardo Medioevo, in quello che viene chiamato Periodo Caldo Medievale. Nella regione di Zielona Góra le prime viti comparvero con l'arrivo dei coloni dalle Fiandre nel 1150. Il vino acquistò importanza e la sua popolarità eguagliò addirittura quella della birra e dell'idromele. A differenza dei vigneti monastici e di corte, quelli dei cittadini erano a scopo di lucro, situati in zone favorevoli alla coltivazione della vite, vicino alle principali vie di comunicazione. A quel tempo, la Slesia era il principale centro vinicolo. Nella valle dell'Odra, le piantagioni si estendevano da Racibórz a Stettino, ma erano concentrate intorno a città come Gubin, Zielona Góra e Krosno. L’arrivo della piccola era glaciale e quello, negli anni successivi, di eventi non certo favorevoli alla vinificazione misero in crisi la viticoltura in Polonia: le invasioni dei tartari, le guerre intestine prima della fase illuminista, la spartizione dello stato tra Russia, Prussia e Austria, poi la fillossera, le guerre mondiali e infine il Comunismo. A dirla tutta, ci fu una rinascita della vinificazione polacca durante la Seconda Repubblica Polacca: a quel tempo erano presenti vigneti nella valle del Dnestr in Podolia (che oggi Polonia non è) e nelle aree appartenenti alla Germania fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ovvero la Bassa Slesia e la regione di Lubuskie. Con il Comunismo, però, la produzione si arresta e la maggior parte dei vigneti viene convertita ad altre colture. Nel 1961 c'erano ufficialmente solo 37 ettari di vigneto, per la maggior parte di proprietà di scuole agrarie. I pionieri della moderna vitivinicoltura compaiono solo negli anni Ottanta a partire da Roman Myśliwiec, un carismatico alpinista che nel 1982 decise di fondare Winnica Golesz a Jasło, nel profondo sud-est della Polonia, un vivaio che diviene poi fondamentale negli anni successivi per i primi vignaioli. Come un’onda, tra gli anni Novanta e i primi anni del nuovo secolo, nacquero nuove cantine. Nonostante l’interesse crescente da parte degli agricoltori, le leggi polacche dei primi anni del 2000 erano ancora vincolanti: non riconoscevano legalmente la produzione di vino delle cantine di piccole dimensioni e impedivano, quindi, ai vignaioli, di poter iniziare una vera e propria attività commerciale in questo settore. Dopo una lunga battaglia, la normativa è stata modificata nel 2008 e nel giugno del 2009 ha debuttato il primo vino polacco: Feniks, un vino bianco prodotto nella valle dell’Odra dalla cantina Winnica Jaworek, blend di uve phoenix ed elbling. Da allora la Polonia ha percorso un invidiabile tragitto nel mondo del vino crescendo in quantità, consapevolezza, sperimentazione e investimenti.

Produttori. Il punto della situazione
Il numero di produttori è cresciuto con costanza dagli anni dieci del nuovo millennio: i produttori di vino autorizzati sono aumentati al ritmo di diverse dozzine all'anno: nel biennio 2015/2016 le cantine che potevano vendere vino erano 103, nel 2016/2017 sono salite a 151, nel 2017/2018 a 197 e nel 2019/2020 il numero ha raggiunto quota 294. Secondo le dichiarazioni presentate al Centro nazionale per il sostegno agricolo, i produttori ufficiali, nel biennio 2020/2021, erano 330, numero che sale a circa 550, se si sommano anche i produttori “amatoriali”. Nell’ultimo biennio la tendenza al rialzo è stata mantenuta anche se con un’impennata inferiore rispetto agli anni precedenti; una delle cause è da ricercarsi naturalmente nella pandemia, che nonostante non abbia azzerato il mercato ha comunque messo in difficoltà, come nel resto d’Europa, una parte importante del settore. Le zone di produzione sono quelle storiche e più vocate, anche se negli ultimi anni si trovano piccoli vigneti un po’ in tutto il Paese, comprese regioni nel nord-est come la Varmia e la Masuria, nel nord-ovest, come la Pomerania Occidentale; e persino nel voivodato di Łódz, zone che per clima e mancanza di tradizione sono da considerarsi se non un esperimento di certo una sfida. Ma chi sono oggi i vignaioli polacchi? “Sono soprattutto grandi appassionati” afferma il giornalista enogastronomico Maciej Nowicki. Secondo lui i produttori di vino polacchi possono essere divisi in due gruppi. Il primo è composto da realtà molto piccole, proprietarie di 1-2 ettari di vigneto, che curano tutta la filiera e, dopo essere diventati ufficialmente dei produttori, hanno aperto una sala degustazione annessa alla cantina e investito nell'enoturismo. Il secondo gruppo, sempre più in crescita, comprende invece aziende che hanno a disposizione notevoli capitali, sono proprietarie di almeno 10-12 ettari di vigna in zone storiche, nonché di palazzi o manieri ristrutturati attrezzati all’interno con sale di accoglienza per i turisti e magari anche Spa e ristoranti di lusso.

I vitigni
Tra i vitigni a bacca bianca troviamo il solaris, seguito da riesling, seyval blanc e johanniter, notevole è la diffusione di solaris, e non priva di polemiche tra i critici e gli appassionati che sostengono possa trattarsi di una scelta di comodo dettata dalla moda, anziché da una ricerca della giusta varietà per il giusto terreno. Nel voivodato di Lubusz, ad esempio, zona storica del vino in Polonia, c’è chi sostiene che si potrebbe puntare maggiormente su vitigni nobili come riesling, sylvaner e traminer, stesso discorso per la Bassa Slesia, visto il clima molto più mite. Tra i vitigni a bacca rossa vince incontrastato il regent, seguito da rondo, pinot nero e cabernet curtis. Riesling e pinot nero negli ultimi anni hanno registrato degli incrementi un po’ in tutte le zone. Cresce la popolarità delle varietà aromatiche, soprattutto muscaris e gewürztraminer (a spese dell'Odessa muskat), soprattutto nella Małopolska, mentre vi è un certo interesse per zweigelt (anche rosato) e blaüfrankisch. L’ampio uso dei vitigni Piwi è facilmente riconducibile alla storia della viticoltura polacca, che per resistere alle condizioni climatiche avverse ha sperimentato fin dal suo inizio vitigni ibridi di vecchia generazione come hibernal, bianca, sibera, leon millot o phoenix, seyval blanc; vitigni che spesso precludevano risultati di grande finezza o eleganza. L’impiego di ibridi di nuova generazione, come johanniter, cabernet curtis, solaris, rondo e altri permette invece di ottenere risultati di qualità, non solo in blend, ma anche in purezza. Oltre ai Piwi, in alcune zone si sta facendo spazio, con un discreto successo e alte aspettative, anche l’impiego di vitigni nobili: in questo caso le ragioni sono da rintracciarsi nel progressivo innalzamento delle temperature, nel maggior studio dei terreni e delle tecniche d’impianto e, infine, nell’interesse da parte del consumatore locale, sempre più attento e curioso. 

Stili e tendenze
Le tipologie proposte in molti wine bar delle città più cosmopolite della Polonia hanno poco da invidiare a quelle presenti in altri stati o mercati. Nei ristoranti stellati e non solo, infatti, iniziano a essere inseriti in carta vini locali e in generale, nonostante i prezzi non siano affatto competitivi, c’è la sensazione che la produzione di vino, oggi, sia uno dei settori più dinamici dell'economia polacca. La comunicazione che ruota intorno al vino, in presenza di una legge che vieta di pubblicizzare gli alcolici, è affidata per lo più ai social ed è inevitabilmente rivolta a un pubblico abbastanza giovane. Un target che condiziona anche lo stile di molte etichette, graficamente eccellenti e che sembrano reinterpretare la scuola del manifesto polacco dagli anni ‘50 agli anni ‘70. A proposito di etichette, va ricordato che in Polonia non è stato ancora introdotto, al contrario della maggior parte degli stati produttori di vino, un chiaro e comune sistema di classificazione e denominazione. A questo proposito, scrive ironicamente il giornalista Piotr Sarzyński: “Si può imbottigliare ciò che si vuole e chiamarlo come si vuole, ma non del tutto, perché per mettere annata e vitigno serve un certificato specifico, a pagamento”. Un argomento, quello delle denominazioni e dell’evoluzione delle leggi legate al mondo del vino in Polonia, che meriterebbe un approfondimento a parte. Le tendenze non differiscono molto dal resto d’Europa: piacciono e incuriosiscono i bianchi macerati – qualche anno fa l’apripista è stata Dom Bliskowice –, così come i Pét-Nat, i vini realizzati con il metodo ancestrale, considerati però da molti una sorta di “moda hipster”. Crescono la produzione e il consumo di Metodo Classico, che negli ultimi anni si sono conquistati il nome di “Musiak”, al posto del vecchio “Szampan”. Si nota, come del resto anche in Italia, un grande interesse nei confronti dei vini “naturali” e in generale verso una produzione che riduce le pratiche invasive sia in campo che in cantina. Scrive Kundera: "Spesso mi sembra che la cultura europea conosciuta nasconda tuttora un'altra cultura, sconosciuta, delle piccole nazioni dalle lingue curiose: quella dei polacchi, dei cechi, dei catalani, dei danesi. Si ritiene che i piccoli siano per necessità imitatori dei grandi. È un'illusione. Essi sono persino molto differenti. La prospettiva di un piccolo non è la stessa di un grande. (...)” Ecco l’approccio con il quale ha senso indagare gli sviluppi, i passi, i tentativi di progresso e le scoperte della Polonia del vino: non come una scipita e tarda imitazione, ma come un percorso originale da spiare con rispetto nel suo divenire.