Non solo Icewine. Il vino canadese alla fine dell’ “era glaciale”?

Non solo Icewine. Il vino canadese alla fine dell’ “era glaciale”?

Mondo Vino
di Ilaria Ranucci
06 gennaio 2022

Cresce la qualità dei vini fermi e degli spumanti, così come le premesse per una produzione che riesca ad andare oltre i famosissimi “vini del ghiaccio”.

Tratto da Viniplus di Lombardia - N° 21 Novembre 2021

L’immagine del Canada agli occhi degli Europei è tutt’altro che quella di un paese vitivinicolo. Se vogliamo è un aspetto ironico se pensiamo che proprio la costa orientale del Canada, l’estuario del fiume San Lorenzo, potrebbe essere la mitica Vinland, la “terra delle viti”, raggiunta da Leif Eriksson più o meno nel lontanissimo anno mille. Del Canada abbiamo in mente gli inverni freddissimi, le vaste distese inabitate del nord, i boschi di conifere più che le viti. Per i sommelier poi, l’immagine “glaciale” del Paese è rafforzata dal suo prodotto vitivinicolo più celebre, l’icewine, prodotto da uve raccolte congelate, in pieno inverno, quando la temperatura esterna è abbondantemente sotto lo zero (inferiore a -8 gradi centigradi). Di fatto gli icewine, di cui il Canada è il primo produttore al mondo, sono la tipologia di vino canadese più famosa ed esportata, intensamente dolce e per lo più prodotta con i vitigni vidal e riesling. E se è vero che il paese è vastissimo, la seconda nazione più estesa al mondo dopo la Russia, e che gli inverni sono rigidissimi, è anche vero che, proprio in virtù della distanza tra le coste, quasi 5.000 chilometri, il Canada ha un ampio territorio che si trova tra il 41° e il 51° parallelo di latitudine nord, proprio nel pieno della fascia di riferimento per la coltivazione della vite nell’emisfero settentrionale. Dall’inizio del XXI secolo, il numero dei produttori di vino, oggi circa 600, si è moltiplicato e la produzione di vini fermi e spumanti di qualità, dopo trascorsi non sempre eccitanti, si sta affermando, complici anche gli investimenti esteri. Non ci dobbiamo stupire se non li abbiamo mai incontrati. Impossibile negare che molto debba ancora essere dimostrato, sopratutto ai livelli più elevati di qualità. Sicuramente ci sono le premesse per capire meglio il Paese e guardare oltre i “vini dal ghiaccio”.

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LA BREVE MA INTENSA STORIA DEL VINO CANADESE
Anche la viticoltura canadese si è molto evoluta nel corso degli ultimi 50 anni, quelli di fatto della modernizzazione. La sua configurazione deve comunque ancora molto ad alcune peculiari vicende storiche. A partire dal proibizionismo, che ci ha rimandato una struttura di mercato in cui la vendita di vino tra le diverse province subisce ancora oggi limiti e divieti. Talvolta far circolare il vino all’interno del Paese è persino più complesso che importarlo dall’estero. Sempre il proibizionismo ha lasciato il segno sul sistema di distribuzione, all’epoca sottoposto a stretti controlli tramite monopoli provinciali, per lo più ancora esistenti come attori principali in un regime di oligopolio. È un proibizionismo decisamente “atipico” quello canadese, perché in parte si è convenientemente dimenticato di considerare il vino locale come alcolico da proibire. Di conseguenza, proprio nel pieno della temperanza, proibiti i distillati, le birre e il vino di importazione, la produzione di vino è temporaneamente esplosa, salvo poi crollare dopo la fine del proibizionismo nei vicini Stati Uniti. Alle origini della viticoltura canadese non c’è la vitis vinifera, che invece è un partner molto recente. Come implicito, infatti, nel nome “Vinland”, il Canada era ricco di viti autoctone, purtroppo poco vocate alla produzione di vino. Nel tempo sono nati, più o meno spontaneamente, vitigni ibridi che, insieme agli ibridi francesi, hanno dominato a lungo la produzione di vino. Tuttora sono molto presenti, soprattutto nella parte est del Paese, nel Québec e nelle province altlantiche. Un fattore, quest’ultimo, distintivo del Canada, visto che in Europa le varietà ibride hanno avuto relativamente poco successo, nonostante tutta la sperimentazione nata come conseguenza della crisi fillosserica. Un impiego su più larga scala della vitis vinifera è iniziato non sporadicamente solo negli anni ’60 del Novecento, grazie alla firma, nel 1988, del CUSFTA, un accordo commerciale per il libero scambio di merci tra Canada e USA. Da allora il vino statunitense è diventato più competitivo in Canada, costringendo a una dura resa dei conti i produttori locali. Proprio come in Europa dopo la creazione della Unione Europea, è iniziato qui un periodo di sussidi pubblici, che ha portato all’espianto di molte varietà di ibridi a favore di quelle di vitis vinifera, unica speranza di competere sul piano della qualità con i vini californiani. Un altro evento storico che ha segnato l’attuale configurazione del settore vitivinicolo canadese è stata la disastrosa annata 1972. I produttori dell’Ontario, tuttora la principale provincia per la produzione di vino, hanno ottenuto la possibilità di integrare i vini locali con vini o mosti di importazione, sino a un massimo del 25%. Una misura “temporanea” che permane tuttora con limiti molto vicini a quello originario. Nel periodo degli espianti il vino “straniero” ha toccato punte del 90%, compromettendo anche la percezione di qualità del vino. Ne consegue che l’attuale disciplina delle denominazioni, diverse da provincia a provincia, ma relativamente simili nelle due principali, Ontario e British Columbia, discrimini per prima cosa in base alla provenienza geografica delle uve. La distinzione, semplice per gli addetti del settore ma non sempre compresa dal consumatore finale, è tra vini pronti e relativamente semplici, il cui costo unitario è tenuto basso da uve di importazione, e vini più ambiziosi e spesso curati quasi artigianalmente, prodotti con uve coltivate localmente. Occorre sempre prestare attenzione: i vini VQA sono quelli a denominazione di origine e prodotti con uve coltivate in Canada; i “100% Canadian Wine” non sono vini a denominazione ma comunque sempre prodotti con uve coltivate nel paese; i blend internazionali sono invece prodotti in Canada, ma contengono anche uve coltivate altrove.

UN “GIGANTE NANO”
Guardando al Canada come Paese produttore, fa quasi sorridere il confronto tra la sua vastità e la superficie vitata: appena 12.309 ettari, secondo i dati del 2019. Lo 0,3% della produzione mondiale, meno della metà della nostra ben più piccola Lombardia. Sono ripartiti prevalentemente all’interno di due province, Ontario e British Columbia, rispettivamente con 6.900 e 4.486 ettari. Entrambe le province hanno un proprio sistema di denominazioni e sottodenominazioni ancora in crescita. Con evidenti similitudini rispetto ad altri Paesi extraeuropei ed emergenti, permane ma è in diminuzione una forte concentrazione su una o due zone. Nuovi vigneti vengono man mano impiantati in altre zone, spesso dopo attento studio. Anche in Canada, come in altri Paesi di tradizione più recente, i nuovi impianti nascono già evoluti. Certamente non c’è la profonda conoscenza empirica dei territori tipica dei Paesi storici, ma le nuove aziende già possono contare su notevoli competenze scientifiche. Data la stazza di questo “gigante”, non è semplice trovare una cifra comune dal punto di vista geologico o climatico. E anche referenti e regole sono diversi, con in comune una forte attenzione alla qualità e alla promozione del territorio, anche facendo leva sul turismo di qualità.

I PRINCIPALI TERRITORI: LA PAROLA CHIAVE È SEMPRE “ACQUA”
Un tratto che il Canada condivide con la maggior parte dei Paesi del vino è l’importanza dell’acqua. Solo che nel in questo caso non si tratta di oceano, mare o fiumi, ma prevalentemente di laghi, in qualche caso anche molto profondi. La principale provincia produttrice di vino è l’Ontario, che si colloca tra 41° e 44° parallelo latitudine nord. Il suo clima continentale, con inverni freddi ed estati calde è moderato dall’effetto di tre grandi laghi, Ontario, Erie e Huron, senza i quali la vitis vinifera faticherebbe a sopravvivere. Si articola in tre denominazioni regionali: Niagara Peninsula, Lake Erie North Shore e Prince Edward County. La principale è senza dubbio la Niagara Peninsula, dove si trova oltre l’80% dei vigneti. Un’area molto articolata, dato che subisce non solo l’influenza del lago Ontario, ma anche quella della imponente scarpata del Niagara. Il combinato disposto delle due influenze disegna diversi climi e profili geologici, sintetizzabili in almeno due zone principali: Niagara Escarpment la zona più fredda, e Niagara-on-the-Lake, più calda. La British Columbia, nella parte occidentale del Paese, tra il 48° e il 51° parallelo latitudine nord, si articola in 11 denominazioni. Di fatto però oltre il 90% della superficie vitata del 2019 si riconduceva a Okanagan Valley (86,8%) e Similkameen Valley (5.7%). Sono due aree interne, con clima continentale caratterizzato da una “mostruosa” escursione termica: da -20 gradi centigradi in inverno a +40 gradi centigradi in estate. Aride perché protette dalle influenze oceaniche dal Coastal Moutain Range. I vigneti delle due valli principali, di solito in pendenza, beneficiano di lunghe ore di sole a causa della latitudine molto a nord, indispensabili in presenza di una stagione produttiva breve, ma molto intensa. La Okanagan Valley, orientata da nord a sud, presenta molta difformità tra i vigneti esposti a est, più caldi, e quelli esposti a ovest. La zona sud, verso il confine con gli Stati Uniti, è maggiormente influenzata dall’effetto mitigante del lago Osoyoos. Simile al sud della Okanagan Valley è anche il clima della Similkameen Valley, sebbene presenti una maggiore escursione termica poiché non influenzata dall’effetto del lago, ma solo del più modesto fiume Similkameen. Quasi tutta la produzione residua si concentra in due province, Québec e Nova Scotia, in cui si registra la prevalenza di varietà ibride (tra cui baco, noir, vidal,l’acadie, marechal foch, seyval blanc)

VARIETÀ SENZA PREGIUDIZI
In Canada, come in altri Paesi del vino in crescita, c’è molta sperimentazione, soprattutto per quanto riguarda le varietà di vitis vinifera. Il tratto comune è sempre la freschezza, oltre al già citato ottimo livello di competenza tecnica, che porta a vini mediamente corretti, anche se con qualità variabile. Sono presenti numerose tipologie e tecniche, compresa una produzione qualitativa di spumanti, vendemmie tardive e qualche concessione alle tendenze più recenti, come i vini orange e naturali. Mancano ancora, purtroppo, statistiche ben consolidate a livello nazionale, ma nelle province principali rossi e bianchi hanno presenza molto simile. Molto numerosi, a testimonianza di un ampio spazio lasciato all’innovazione, sono i vitigni ammessi. Nel solo Ontario sono ammesse circa 80 varietà di vitis vinifera. La lettura dell’elenco, disponibile ad esempio sul sito della Ontario Wine Appellation Authority, rivela opzioni quanto meno curiose, come la possibilità di produrre un vino da rkatsiteli o anche provare a fare concorrenza alla Valtellina o alle Langhe allevando nebbiolo. La motivazione della presenza di un elenco così ecumenico è che sono varietà globalmente riconosciute come capaci di produrre vino di qualità, e questa è premessa sufficiente per permettere di usarle. Al momento non è emersa alcuna varietà di vitis vinifera che possa fare da porta bandiera al vino Canadese, un po’ come successo con il malbec in Argentina. Il tratto distintivo del Paese rimangono per ora gli ibridi, mentre le varietà di vitis vinifera più coltivate sono quelle classiche francesi: tra i bianchi molto chardonnay, riesling, pinot grigio (sia in stile italiano che alsaziano), sauvignon blanc. Tra le uve rosse, oltre ai i tre principali vitigni di Bordeaux, pinot nero e gamay. Il nebbiolo, per fortuna, ancora non ce lo toglie nessuno!