Nuova Zelanda. Un infante di 201 anni (appena compiuti)

Nuova Zelanda. Un infante di 201 anni (appena compiuti)

Mondo Vino
di Ilaria Ranucci
18 novembre 2020

Viniplus di Lombardia - N°19 Novembre 2020 | Dall’enorme successo del sauvignon blanc alla necessità di nuovi ettari da coltivare. La Nuova Zelanda del vino è un complesso e variegato universo ancora da scoprire, senza cadere in facili, quanto erronee, generalizzazioni

Tratto da Viniplus di Lombardia N°19 - Novembre 2020

A volte la definizione di “Nuovo Mondo” nel mondo del vino, quando attribuita a un Paese o continente, gli sta decisamente stretta. Ci sono, infatti, Paesi nei quali la viticoltura ha una storia radicata e continua, pur senza raggiungere quella millenaria presente in Europa. Non è sicuramente il caso della Nuova Zelanda, dove la prima comprovata coltivazione della vite risale ad appena il 25 settembre 1819, 201 anni fa, ad opera di un missionario di nome Samuel Marsden. Non risulta peraltro che il reverendo abbia anche prodotto vino. Benché breve, la storia del vino in Nuova Zelanda è davvero affascinante, anche perché le condizioni di partenza non erano delle migliori: la maggior parte degli immigrati che l’hanno raggiunta, infatti, non provenivano da Paesi con una forte tradizione vitivinicola. Ecco perché, per la maggior parte della sua storia, birra, distillati e tra i vini solo quelli liquorosi, sono stati le bevande locali di elezione. Addirittura anche in Nuova Zelanda, come negli Stati Uniti, nel 1919 è stata votata una legge per l’introduzione del proibizionismo. L’unica differenza è che qui la legge non è stata approvata di un soffio grazie alle truppe stanziate in Europa durante la Grande Guerra. In ogni caso, sino a quasi alla fine del XX secolo, erano in vigore severe leggi sulla vendita di alcolici, che in Italia, Paese di millenaria tradizione vitivinicola, sarebbero culturalmente inconcepibili. Nel coacervo di origini e visioni diverse che hanno dato origine alla Nuova Zelanda di oggi, ve n’è una fondamentale sotto il profilo vitivinicolo, quella croata. Basta guardare i cognomi di alcuni dei principali produttori: Fistonich, Babich, Yukich. Una comunità i cui flussi migratori si erano dapprima indirizzati verso l’estrazione della resina Kauri, ma che poi si è realizzata ed ha prosperato facendo leva sulla conoscenza del vino.

ANCHE IN NUOVA ZELANDA IL VINO PARLA UN PO’ DI ITALIANO

Il “padre” della viticoltura neozelandese ha un nome che suona normale a noi italiani: Romeo Bragato. Nato in Dalmazia, ma formatosi alla Scuola Enologica di Conegliano, Bragato è stato chiamato nel 1895 in Australia come consulente enologico del Department of Agriculture di Victoria, e presto è stato anche invitato in Nuova Zelanda. A lui si deve una attenta analisi del potenziale della Nuova Zelanda comePaese produttore di vino. Viaggiando in diverse zone ha fatto importanti considerazioni sui vitigni e stili adatti a diverse zone. Spesso con notevole prescienza, come nel predire il successo del pinot nero nell’Isola Sud o il potenziale per produrre ottimi syrah. Interessante come, pur andando nella vicina Nelson, Bragato abbia ignorato del tutto quella che ora è di gran lunga la zona principale di produzione, vale a dire Marlborough, che invece sarebbe esplosa solo più di 50 anni dopo la sua morte grazie al sauvignon blanc. Un’accoppiata vino-territorio che da sola è riuscita a portare la Nuova Zelanda nel mondo del vino contemporaneo, con un grandissimo successo commerciale. Una storia recentissima, con la prima vite piantata nel 1973 e il primo successo del sauvignon blanc di Marlborough arrivato solo nei primi anni ’80 del Novecento. La prima annata del Cloudy Bay, per citare un esempio famosissimo, è il 1985. Ad oggi, osservando i dati preliminari della vendemmia 2020, il vitigno rappresenta il 74% delle uve raccolte in Nuova Zelanda e la zona di Marlborough rappresenta il 78% del raccolto.

SAUVIGNON BLANC DAL PROFILO UNICO, MA NON SOLO

L’ascesa del sauvignon blanc di Marlborough non è una storia di lento adattamento e di fortuite scoperte. Nasce già da un progetto enologico evoluto, in un Paese in cui la produzione di vino è fortemente concentrata nelle mani di pochi grandi produttori. Proprio per questo, una volta verificato il gradimento internazionale di questo prodotto, la crescita è stata vorticosa e da subito bene indirizzata creando un vino memorabile e distintivo. Grazie a un connubio vitigno-terroir fatto per farsi notare: il profilo aromatico del sauvignon blanc di Marlborough è caratterizzato da una presenza molto percettibile dei sentori erbacei, ad alto volume ma di grande piacevolezza perché ben bilanciati da sontuosi sentori di frutta, anche tropicale. Al successo del sauvignon blanc è seguito, a circa un decennio di distanza, quello del pinot nero, che è oggi il secondo vitigno più coltivato in Nuova Zelanda: le zone di riferimento sono in primo luogo Martinborough, nella regione di Wairarapa, nella parte sud dell’Isola Nord, e sempre più le zone più a sud dell’Isola Sud. Di queste ultime si conosce soprattutto il pinot nero del più freddo Central Otago. Il pinot nero ha raggiunto nel 2020 il 7,7% delle uve raccolte nel Paese. Un vitigno che sta avendo una forte crescita è poi il pinot grigio, ormai il terzo vitigno con il 6,5% delle uve raccolte. È l’uva di maggiore successo tra quelli che in Nuova Zelanda sono spesso collettivamente indicati come gli “aromatic whites”, tra i quali riesling, pinot grigio, gewürztraminer, chenin blanc, viognier. Il pinot grigio neozelandese presenta diversi stili, da quello immediato e fresco a uno più strutturato, anche con permanenza sui lieviti. E lo chardonnay? Non ha avuto in Nuova Zelanda il successo riscontrato in altri paesi. È stato solo brevemente, negli anni ’90, il vitigno più coltivato, soppiantando ibridi e müller thurgau, ma lasciando presto lo scettro all’inarrestabile sauvignon blanc. Rimane comunque coltivato in diverse zone, soprattutto nella parte settentrionale dell’Isola Nord, Gisborne, Auckland, Hawke’s Bay. Nel 2020 ha rappresentato il 6,2% delle uve raccolte, in crescita. Anche a Marlborough, nell’Isola Sud e nella roccaforte del sauvignon blanc, è in crescita l’attenzione a questo vitigno: è tra quelli che ha vissuto una recente evoluzione stilistica, verso uno stile più borgognone, meno burroso e marcato dal legno. I primi quattro vitigni raggiungono quasi il 95% del raccolto. Dei rimanenti va segnalato un 2,5% di merlot e circa l’1% di riesling. A questi bisogna aggiungere una serie di esperimenti e piccole produzioni, spesso da parte pochi produttori con molta voglia di sperimentare. Nel complesso, il totale della superficie vitata è ben lontano da quello dei principali paesi produttori: stando all’ultimo dato disponibile, la stima 2020 raccolta nel 2019 dalla associazione New Zealand Winegrowers, la Nuova Zelanda conta 39.935 ettari vitati. Poco più della Champagne e meno della metà della sola regione di Bordeaux in Francia. Nonostante questa modesta superficie complessiva e la prevalenza di pochi vitigni, i vini della Nuova Zelanda presentano una grandissima varietà di espressioni, per un motivo ben comprensibile: gli ettari vitati si distribuiscono su diverse latitudini.

UN CLIMA MOLTO VARIEGATO, CON FORTE INFLUENZA OCEANICA

Le zone vitate in Nuova Zelanda coprono circa dieci gradi di latitudine, circa 1600 km di distanza da Nord a Sud. Come giustamente fece notare la Master of Wine Rebecca Gibb, le aree vinicole della Nuova Zelanda sono talmente differenti che, facendo un paragone con altri Paesi, coprono quattro diversi indici climatici. Otago presenta condizioni simili a Mosella e Champagne; Marlborough si colloca tra Oregon e Borgogna; la Bay of Islands, vicino all’estremo nord, è comparabile con il nostro Chianti Classico. Impossibile, quindi, parlare genericamente di “vino della Nuova Zelanda” e riferirsi a tutto il Paese come un’area dal clima freddo, come spesso, purtroppo, succede. Sono dieci le principali regioni vitivinicole: cinque nell’Isola Nord (Northland, Auckland, Gisborne, Hawke’s Bay, Wirararapa) e cinque nell’Isola Sud (Nelson, Marlborough, Canterbury, Waitaki Valley, Central Otago). Di tutte solo una, Central Otago, ha un clima semicontinentale e non marittimo. Oltre il 90% dei vigneti sono a meno di 50 km dalla costa e in particolare dalla costa orientale. È praticamente impossibile coltivare la vite nella costa occidentale perché i venti provenienti dal mar di Tasmania portano una elevatissima piovosità, che può superare 10 metri l’anno, soprattutto nell’Isola Sud. Le zone vitivinicole si trovano quindi ad est, protette dalle montagne e con una piovosità inferiore a 1.000 mm all’anno. Anche in questo caso Central Otago si distingue, nello specifico, per la minore piovosità, pari a meno di 400 mm all’ anno. Un tratto fortemente distintivo della Nuova Zelanda del vino è la forte escursione termica tra giorno e notte, che può arrivare anche a 30° C. Se a questo si aggiunge un effetto particolarmente marcato dei raggi solari, si comprende agevolmente come l’espressività aromatica sia uno dei principali tratti con il quale riconoscere i vini neozelandesi.

UNA PRIORITÀ PER IL FUTURO: TROVARE NUOVI SPAZI

Nella storia del vino della Nuova Zelanda l’esportazione rappresenta un aspetto fondamentale. Gli ettari vitati sono da anni in espansione e le previsioni sono di un ulteriore passo avanti nel 2021. Le varietà su cui dovrebbero concentrarsi gli investimenti sono quelle già affermate e sinora vincenti sul mercato: sauvignon blanc, pinot gris e pinot noir. La futura crescita dovrà però confrontarsi con il fatto che la terra vocata e teoricamente disponibile per la viticoltura si sta esaurendo nelle zone principali. Si stima che ci siano non più di 5.000 ettari residui potenzialmente interessanti a Marlborough. La viticoltura compete con altre attività ed è difficile impiantare nuovi vigneti anche in alcune zone storiche, ad esempio intorno a Auckland. Ne risulta la sempre maggiore esigenza di far espandere le zone sinora meno sfruttate, soprattutto nell’Isola Sud. Il ricambio generazionale è al giorno d’oggi un tema di crescente rilievo per i produttori locali, di uva e vino, benché la produzione sia concentrata nelle mani di pochi colossi. Si tratta spesso della prima generazione dedita al vino, i fondatori delle aziende, con tutte le difficoltà che questo comporta quando è il momento di passare il timone del comando. Anche in Nuova Zelanda è molto sentita l’importanza della tutela ambientale e da tempo la sostenibilità è una priorità condivisa e perseguita con programmi collettivi. Sono in via di sviluppo sia la viticoltura organica che quella biodinamica, anche per il forte interesse in alcuni dei principali Paesi importatori di vino neozelandese. In definitiva, la Nuova Zelanda del vino sta attraversando una fase di perpetua evoluzione. La conoscenza dei differenti terroir è in crescita, le vigne stanno invecchiando e, quindi, trovando equilibrio, la differenza tra le differenti caratteristiche dei cloni è ora ben compresa. Se un tempo i vini erano pensati e prodotti per un consumo nel breve termine, oggi stanno emergendo progetti più ambiziosi che mirano ad ottenere vini eleganti e strutturati, che hanno l’ambizione di donare il meglio di sé con il trascorrere del tempo. Insomma, La Nuova Zelanda del vino, al duecentounesimo compleanno, è ormai un giovane probabilmente pronto alla svolta. Il suggerimento per gli appassionati di vino? Prestate attenzione. Il successo già ottenuto è tanto, ma il potenziale qualitativo è ancora tantissimo.