Alla corte della soffice Torta di Rose
Non solo vino
di Andrea Grignaffini
01 agosto 2022
Ideata a fine ‘400 da Cristoforo di Messisbugo, è un dolce amatissimo e riproposto non solo a livello casalingo ma anche da moltissimi pasticcieri
Tratto da Viniplus di Lombardia - N° 22 Maggio 2022
Mantova, 1490. Isabella D’Este siede al tavolo d’onore con Francesco II Gonzaga, l’uomo al quale ha appena giurato fedeltà. Per l’occasione è stato imbastito un banchetto sontuoso: dai soffitti pendono cinquanta lampadari a illuminare la tavola spropositata, lunga più di quaranta metri. Gli ospiti sono un centinaio, “gentil'huomini e gentildonne” che vestono di sete provenienti da oriente, in un tripudio di ornamenti sontuosi esibiti voluttuosamente. Il cicalio degli ospiti è interrotto dalla rappresentazione della commedia composta per l’occasione da Ludovico Ariosto; quindi il vociare riprende in attesa dell’inizio del banchetto, per poi essere sostituito da esclamazioni di stupore di fronte al susseguirsi delle portate. Madrigali a più voci, liuti e clavicembali annunciano il primo servizio di mensa e si prosegue così fino al nono. Uova di storione pescato nel vicino Po, ostriche, pavoni, gru e pernici fanno la loro apparizione sulla tavola decorata con statue di zucchero e così rimpinguata di ogni bendidio. Novantanove portate che appagano la vista con i loro elaborati impiattamenti e dichiarano tutta la forza e l’opulenza della corte mantovana. Tra queste spicca il dolce ideato per l’occasione da Cristoforo di Messisbugo, scalco della corte ferrarese che ha progettato l’intero banchetto in onore degli sposi. Un soffice impasto lievitato composto di rose ben disposte in cerchio, una sorta di bouquet a richiamo dei ricci ramati che solcano il viso della bella Isabella e della sua giovinezza in fiore. Si tratta della celebre “Torta di Rose” (o “delle rose”) che ancora ai giorni nostri viene apprezzata e riproposta in tutti quei territori che al tempo ricadevano sotto i domini appena citati. Se quello narrato è in realtà un banchetto che si tenne alcuni anni dopo, in occasione del rientro dalla Francia dei neosposi Ercole II d’Este e Renata di Francia, leggenda vuole che fu proprio lo stesso geniale cuoco di corte ad aver inventato questo celebre dolce per il matrimonio tra Isabella d’Este e Francesco II Gonzaga, in occasione di un banchetto non dissimile da questo, tenutosi nel 1490.
Liscia, sfogliata e magari farcita con una voluttuosa crema al burro, la torta di rose, oggi come allora, è un dolce amatissimo, proposto con costanza sia in ambito casalingo che professionale. La soffice miscela di farina, uova, burro e zucchero, a detta di alcuni troverebbe la sua massima espressione con l’aggiunta di vaniglia pregiata. Andrebbe poi servita cosparsa di zucchero a velo, o bagnata con un rosolio delicato. Come accade spesso con le ricette storiche, sono molte le varianti e ogni pasticciere ha la sua. Uno dei suoi più famosi interpreti contemporanei è Riccardo Camanini, cuoco e patron del Lido 84 di Gardone Riviera. Il suo è un doppio impasto nel quale si utilizza farina di grano antico veronese, uova, burro, lievito madre e un tocco di vaniglia di Tahiti. Il tutto accompagnato da uno zabaione aromatizzato al Vov e alla scorza di limone del Garda. Sempre all’insegna della classicità, a renderle omaggio da diversi anni, è anche Matias Perdomo, che la serve nel suo ristorante di Milano, Contraste, e ne ha fatto la punta di diamante di “Roc”, il suo servizio di gastronomia a domicilio. Di impronta classica anche la torta delle rose a quattro impasti proposta da Iginio Massari e Achille Zoia in “Cresci. L’arte della pasta lievitata” e quella di Davide Longoni, maestro contemporaneo della lievitazione. Si ispira a essa, discostandosene tuttavia in modo evidente, la torta di mele alle rose di Alain Passard, tre stelle Michelin all’Arpège di Parigi. Qui la tradizionale sofficità dell’impasto cede il passo a una rilettura in termini di croccantezza e friabilità, oltremodo arricchita nella sua essenza dall’aggiunta del pomo. E in effetti le rivisitazioni a opera di mani più o meno autorevoli non mancano, con una sfilza di manicaretti che imbastiscono le pagine dei social. Nel solco della modernità tracciato da Passard, si colloca la torta di rose rifinita sulla griglia a fuoco vivo da Diego Poli, pasticciere del St. Hubertus. Una lettura generalmente in chiave classica quella offerta dai molti che si cimentano con questa torta a casa, concedendosi solo qualche piccola divagazione sul tema. Così la torta di rose di Alessia Agostino che, tradizionale nell’aspetto, si riempie di un sottile strato di marmellata ai frutti rossi. Non mancano tuttavia le versioni in cui si insinua il cioccolato, magari a gocce, o nelle quali la farcitura si fa di crema aromatizzata all’arancia. La versatilità di questo dolce, fatto di pochi ingredienti genuini, è forse la vera chiave del suo successo. Deliziosa se servita spoglia, per gli amanti della semplicità che preferiscono saggiare la bontà degli ingredienti, allo stesso modo la torta di rose può essere declinata in infinite e golose varianti, una più apprezzabile dell’altra. Variazioni che si susseguono nel tempo da più di cinquecento anni, a testimonianza dell’immortalità di questa preziosa e storica ricetta.
L’ABBINAMENTO DI… Nicola Bonera
L’equilibrio degli opposti: voluttuosità alla ricerca della freschezza
Un dolce di tradizione nella bassa Lombardia, da sempre realizzato a partire da ricette tramandate da generazioni. Chi scrive ne è un grande appassionato, sia per quanto riguarda il consumo che per la realizzazione, tempo permettendo. La torta di rose è per me un ritorno all’infanzia felice. La ricca presenza del burro, circondato dai soffici strati dell’impasto, avvolge il palato come una calda coperta. La dolcezza della crema di burro e zucchero in cottura aggiunge profumi e forza al dolce, l’aromaticità della vaniglia incrementa l’intensità e il ricordo. I vini che soddisfano le esigenze della torta di rose possiedono notevole freschezza e potere detergente, per lasciare il ricordo aromatico del piatto senza la burrosità che potrebbe appesantire l’assaggio. Le uve adatte spaziano da quelle aromatiche a quelle con caratteristiche riconoscibili e nitide. La Lombardia propone un ricco ventaglio di soluzioni, dalla vivacità aromatica dei moscato dell’Oltrepò Pavese, in particolare dalla zona di Volpara, alla freschezza salina dei vini passiti prodotti con l’uva turbiana nel basso Garda, la zona del Lugana. Altre eccellenti proposte derivano dall’areale di San Colombano al Lambro o dalla Valcamonica, dove grazie alle uve Manzoni bianco e riesling, talvolta unite ad altri vitigni, locali o internazionali, si ottengono vini dolci di grande fascino ma soprattutto freschezza.
1 Il Sant Valcamonica IGT bianco passito 2016 Rocche dei Vignali, da uve Manzoni bianco 100%. Vinificazione in barrique.
2 Ravel vino passito 2015 Ca’ Lojera, da uve turbiana 90% e malvasia 10%. Vinificazione in barrique.
3 Oltrepò Pavese Moscato 2020 Bruno Verdi, vino frizzante da uve moscato bianco 100%, vinificazione in acciaio.