Birra artigianale italiana: tra difficoltà e possibili soluzioni
Non solo vino
di Maurizio Maestrelli
11 febbraio 2023
Dopo la pandemia, arriva la crisi economica e per la birra artigianale italiana la situazione non sembra essere tra le più rosee. Una prima chiusura “d’eccellenza” e le possibili strade per sopravvivere ai tempi difficili che stiamo attraversando. Per non perdere la possibilità di bere le piccole produzioni locali e per difendere un settore imprenditoriale ancora giovane
Tratto da Viniplus di Lombardia - N° 23 Novembre 2022
La notizia è arrivata all’improvviso e, inutile negarlo, ha provocato uno scossone emotivo in chi segue da sempre il mondo della birra artigianale. Il Birrificio Bi-Du di Olgiate Comasco, fondato nel 2002 da Beppe Vento, ha chiuso i battenti. Sebbene non fosse forse annoverabile tra i pionieri del movimento, certamente apparteneva alla prima ondata di quella che sarebbe diventata una realtà diffusa in tutto il territorio nazionale e che comunque, nella Lombardia, aveva una delle sue “patrie” storiche. Chi scrive ricorda ancora di aver fatto parte della giuria di un embrionale concorso, che negli anni sarebbe poi diventato “Birra dell’Anno”, nel quale si decretava la “birra più buona” e la “birra più originale” in un periodo storico nel quale i numeri delle birre iscritte non permettevano la suddivisione nelle decine di stili e categorie alle quali oggi i concorsi ci hanno abituati. E se nella “categoria” originale la vittoria era stata attribuita alla Febbre Alta del piemontese Birrificio Troll, la palma della migliore in assoluto l’aveva ottenuta proprio lui, Beppe Vento con la sua Artigianale.
Chiamata così, con quella semplicità che gli è sempre stata connaturale, tanto che anni dopo mise alle spine una sua birra chiamata, con una certa ironia, “Quella Lì”. Ma se forse è troppo presto per intonare il de profundis per le birre di Vento, e noi per primi non ne abbiamo nessuna voglia, di certo la chiusura dell’impianto non è una bella notizia. Magari il Bi-Du si trasformerà in una beer firm, ovvero in un birrificio senza impianto, e ce lo auguriamo perché sarebbe un peccato perdere del tutto birre splendide come la Rodersch, la stessa Artigianale o la Confine. Tuttavia, la notizia trasforma in concreta realtà un campanello d’allarme che nel mondo della birra artigianale è stato lanciato da tempo. La pandemia prima, con la relativa chiusura per lunghi periodi di pub e birrerie, principali se non unici canali di vendita per le birre artigianali, e la crisi economica con il folle rincaro dei costi fissi poi sono stati quello che, nel linguaggio della boxe, si traduce con un “uno-due” da KO. E se non basta citare il caso Bi-Du per capire che la situazione non sia rosea, qualche tempo fa il Consorzio Birra Italiana, la prima alleanza produttiva su scala nazionale tra produttori agricoli, malterie e birrifici indipendenti, nata a marzo 2019 con il supporto di Coldiretti, era stata chiara parlando di un crollo del 34% del raccolto 2022 dell’orzo per malto a causa della siccità e di altri eventi meteo estremi e di una contestuale “esplosione dei costi relativi all’energia aumentati del 180%”. Due dati a dir poco impattanti anche senza poi passare in rassegna tutte le ricadute quali l’aumento dei costi per imballaggi, bancali, vetro, metallo, etichette e tappi e segnalando addirittura un problema relativo al reperimento dell’anidride carbonica. Insomma, le difficoltà per un comparto relativamente giovane quale è quello della birra artigianale, ancora oggi definibile come “di prima generazione”, e tutto sommato fragile, per quantità prodotte (la media nazionale per birrificio si aggira sui 600 ettolitri l’anno e solo una manciata di aziende supera i diecimila ettolitri), e per modalità di vendita si sono acuite nell’ultimo triennio fino a diventare spesso insostenibili.
Va detto però che la fragilità del sistema era pregressa e troppo spesso molti protagonisti sono rimasti al palo della loro, certamente faticosa e impegnativa, vita quotidiana. Carenza di comunicazione, scarsa propensione al marketing o al brand building, una vena di vera o falsa superiorità psicologica GABRIELE ZANON GABRIELE ZANON verso le grandi aziende, non hanno giocato a loro favore. Ma ciò che vale per molti non vale per tutti, perché c’è chi si è mosso per tempo per trovare sbocchi commerciali in grado, almeno si spera, di guardare al futuro con meno timore. Il piemontese Baladin, ad esempio, ha da anni imboccato la strada dei locali “a marchio” garantendosi così uno sbocco sicuro e non discutibile sul mercato, e dietro di lui si sono mossi altri. Il caso Doppio Malto, di cui abbiamo recentemente scritto su queste pagine, è emblematico ma altri esempi si potrebbero fare. Tra questi uno è quello relativo al birrificio marchigiano IBeer, nato nel 2015 sulle colline intorno a Fabriano, da Giovanna Merloni, imprenditrice e birraia che ha saggiamente puntato sull’incremento dell’indipendenza produttiva, buona parte dell’orzo che utilizza arriva infatti da sei ettari di proprietà recentemente convertiti al biologico, e sulla gestione diretta di alcuni punti vendita. Lo scorso maggio ha infatti aperto “Spirito Agricolo Birra e Cucina”, questo il nome scelto per la neonata catena di locali, in pieno centro a Rimini e da poco ha raddoppiato sbarcando proprio in Lombardia, a Gallarate, dove è spuntato il secondo “flagship pub”. Certo, la sfida non è facile, necessita d’investimenti oltre che di strategia che in questo periodo chiunque può fare fatica a impegnare. Va detto però che forse quell’uno-due pugilistico di cui abbiamo parlato potrebbe anche servire come “crisi di crescita” che, per quanto non desiderata, presto o tardi arriva per tutti. Quello della birra artigianale è sempre stato, tranne forse i primi davvero pionieristici anni, un settore nel quale sembrava andare tutto bene, facendo a volte di tutta l’erba un fascio e promuovendo chi la birra artigianale la sa fare per davvero bene e chi invece nella birra artigianale pensava di aver trovato un business facile e con pochi rischi.
Non lo è mai stato e, oggi come oggi, lo è ancora meno. Sarebbe tuttavia una disgrazia per i consumatori, e per i loro palati, perdere per strada anche i pezzi pregiati di questo mosaico che ormai ricopre l’intera penisola, che ha contribuito in maniera decisiva ad ampliare la conoscenza di questa antica e nobile bevanda, a dare lavoro e prospettive a un numero non trascurabile di giovani, rivitalizzando un settore che sembrava avviato verso una certa omologazione. Commerciale ma anche organolettica. All’alba della prima vera rivoluzione birraria, avvenuta negli Stati Uniti nei lontani Anni Settanta, circolava uno slogan che anche adesso, qualche volta, capita di vedere sotto forma di adesivo sulla porta di qualche locale o birrificio artigianale. Diceva semplicemente, ma efficacemente: “Support your local brewery” ovvero “sostieni il tuo birrificio locale”. E, a patto che sia di valore, è quello che oggi dovrebbero fare tutti gli appassionati.