L'impatto ambientale obiettivo primario anche in viticultura

L'impatto ambientale obiettivo primario anche in viticultura

Non solo vino
di Marco Tonni, Pierluigi Donna
15 aprile 2008

Gli agronomi di Sata gruppo di consulenti in viticoltura ed olivicoltura, affronta da questo numero un vasto argomento, importante e articolato: l’impatto ambientale di viticoltura ed enologia...

Ricordiamo quale è la filosofia del nostro intervento in vigneto, perché essa è la premessa all’approccio sull’impatto ambientale di cui parliamo in questo testo.

La vigna deve essere guidata nel suo sviluppo, dall’impegno delle persone che in ogni Azienda operano, affinché accompagni l’uomo nella sua esigenza di produrre vini che siano sinceri come la pianta che li fa nascere.

La consulenza rappresenta l’anello di congiunzione tra il territorio ed il desiderio del

vino: si devono interpretare con sensibilità ed esperienza sia gli obiettivi dei Proprietari che le esigenze delle loro Vigne. Ma ricordiamo che Territorio significa anche, e soprattutto, Ambiente. Il minimo impatto ambientale deve essere l’obiettivo assoluto,

imprescindibile: Mens sana in corpore sano, per tutti i vignaioli coscienziosi non può che tradursi “uva sana in ambiente sano”.

Chi possiede un terreno e non ha lo spirito del mercenario ma quello del vignaiolo, deve ovviamente pensare a proteggere la propria produzione ed il proprio reddito, come è giusto che sia, ma nel medesimo tempo deve fare tutto il possibile per lasciare ai propri

figli un vigneto bello e sano almeno quanto l’ha trovato lui.

Ma chi pensa all’uva e insieme alla Vigna che la porta e alla Terra che la ospita – e ci ospita -, non deve ragionare per compartimenti stagni. Curare una malattia è concettualmente sbagliato, se prima non si ragiona su come ridurre la suscettibilità della pianta: una vite meno suscettibile è la chiave di volta del successo di una strategia di prevenzione e lotta rispettosa dell’ambiente. Così, se non volete che a vostro figlio venga il mal di gola, copritelo prima che esca d’inverno!



Le malattie della vite

Numerose avversità possono colpire la vite, in particolare funghi, causando la perdita completa della produzione. La coltivazione della vite, fino all’800 estesa ovunque, con l’arrivo di Peronospora, Oidio e Fillossera (un insetto) dall’America nella seconda metà dell’800, si ritirò solo nelle aree che noi ora chiamiamo più “vocate”, ma che a quei tempi furono nicchie di salvezza dalla distruzione completa, dove per motivi climatici, microclimatici o pedologici la suscettibilità della vite o la virulenza dei patogeni erano minori. Solo con la scoperta degli antiparassitari adatti e dei portinnesti (resistenti alla Fillossera) la vite si salvò. Altre malattie più o meno gravi affliggono la vite, talvolta endemiche e talaltra gentilmente omaggiate dal Nord America, ma non è il caso di discuterne ora.

A distanza di 150 anni dal loro arrivo, abbiamo a disposizione decine di sostanze che possono proteggere perfettamente foglie e uva dagli attacchi parassitari: questo è il vantaggio. I difetti sono l’inquinamento, la tossicità e il costo, oltre che, paradossalmente, proprio la loro elevatissima efficacia.



I Fitofarmaci ed il costo

Fare viticoltura costa, anche perché oltre al lavoro si devono impiegare i fitofarmaci.

Piuttosto che eseguire operazioni laboriose e costose per ridurre le condizioni di suscettibilità della pianta, è più comodo “spruzzare pesticidi” (se li usiamo così, diventano null’altro che cattivi!).



I Fitofarmaci e la tossicità

La tossicità verso l’uomo è molto variabile, a seconda della sostanza. La ricerca mette a disposizione sostanze sempre più efficaci verso gli organismi nocivi e sempre meno tossiche verso l’uomo e l’ambiente. In linea di massima, si può tranquillamente affermare che al consumatore fa molto più male il vino che i residui che vi sono contenuti (sempre presenti, ma a livelli infinitesimi). L’efficacia dei fitofarmaci ed il loro impatto ambientale

L’impatto ambientale è la nota dolente, perché è subdolo. Nel breve periodo non si vede, non si sente e non si tocca, ma noi ci rendiamo conto ora dei disastri dei nostri padri e del nostro stile di vita, i nostri discendenti si renderanno conto dei disastri di cui noi possiamo essere autori. Abbiamo detto che negli ultimi anni sono state scoperte e prodotte dalla ricerca numerose sostanze molto valide: proprio per la loro notevole efficacia, troppo spesso ci si affida esclusivamente ad esse, trascurando quei fattori importantissimi che possono aiutare la pianta ad essere meno suscettibile o l’ambiente a essere meno predisponente verso attacchi parassitari, ossia quegli elementi che hanno determinato in modo naturale la salvezza della nostra amata vite nel XIX secolo e che possono tutt’oggi permetterci di ridurre l’utilizzo dei fitofarmaci e l’impatto ambientale.



Come affrontare il problema?

Ciascun viticoltore può ridurre gli interventi chimici nella sua proprietà lavorando di più in vigna e accettando un livello di rischio “adatto” al suo temperamento e alla sua coscienza ambientale.

Ma, dato che belle parole e prediche al vento non riducono l’inquinamento, vediamo alcuni esempi concreti che possono aiutare a capire meglio di cosa stiamo parlando: se desideriamo produrre molto e abbattere i costi di produzione, la via più semplice è fornire più cibo alla vite (concimazione), renderla più vigorosa e più produttiva (potature), lavorare il terreno per subire meno competizione nutrizionale ed idrica da parte dell’erba e ridurre gli interventi di sistemazione della chioma (sistemazione dei germogli, cimature, sfogliature) per abbattere le ore di lavoro.

Viceversa, se vogliamo essere amici dell’ambiente, dobbiamo fornire il giusto nutrimento al terreno, avere una pianta equilibrata, lasciare l’inerbimento tra le file in modo che si riduca l’umidità (quest’ultima, amica intima dei funghi patogeni) e che nell’erba si moltiplichino insetti e acari predatori e parassiti naturali dei fitofagi (sono quelli che si nutrono a spese della vite), nonché lavorare molto per mettere foglie e grappoli in una posizione che migliori il microclima e quindi riduca la suscettibilità alle malattie.

Esattamente tutto il contrario di prima ed esattamente ciò che serve per fare uve di qualità!

Chi pensa all’ambiente, studia strategie di riduzione del numero di interventi che rientrino in limiti ragionevoli di rischio, verificando attentamente la fase fenologica della pianta, le caratteristiche di persistenza (durata dell’efficacia) dei prodotti utilizzati, gli eventi meteo passati e quelli previsti (e, concedetecelo, molto del il rischio sta proprio qui!).



Biologico o non biologico, questo è il problema…

No, non è questo il problema. Il dilemma si può risolvere molto semplicemente dicendo che se si vuole fare biologico ci si deve credere veramente, perché è una strategia produttiva sicuramente più impegnativa e costosa e che a priori non genera nessun vantaggio commerciale.

Dal punto di vista ambientale, a prescindere dalle prese di posizione di parte, il biologico in sé non è necessariamente migliore delle strategie convenzionali, ma dipende da come lo si applica, da che conoscenze e sensibilità si mettono in campo, da quanto ci si vuole impegnare per attuarlo nel modo più adatto a ridurre l’impatto. E, sull’altro fronte, identici ragionamenti si possono applicare a ogni metodo di produzione, che sia tradizionale, guidato o integrato.



E la Cantina?

SATA sta programmando un importante convegno in Franciacota ad inizio Maggio, sul tema dell’impatto ambientale della cantina, quindi avremo tempo per riferire approfonditamente di ciò.

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